La cura del malessere: i migliori horror ospedalieri

I dottori e le infermiere più malvagi del cinema, dagli anni 30 a oggi
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Giuro solennemente di non compiere mai atti finalizzati a provocare la morte”. È con questo sacro verbo che ogni medico in erba si appresta a mettere le proprie conoscenze al servizio del bene e della salute dei propri futuri pazienti. Sulla carta almeno… Si perché il grande e piccolo schermo traboccano di pazzoidi in camice bianco pronti a gettare alle ortiche il giuramento di Ippocrate in nome delle più atroci sevizie, perpetrate col solo scopo di dar sollievo ai propri sadici divertimenti. E anche coloro che, nelle vesti di infermieri e assistenti, sono chiamati ad affiancarli nel loro difficile compito, spesse volte non si sono fatti il ben che minimo scrupolo a dar sfogo ai propri brutali istinti, trasformandosi da angeli del reparto in autentico terrore di ogni clinica. Ed è così che, solo per la vostra brama di truculenze e nefandezze, vi proponiamo un piccolo compendio dei migliori horror ospedalieri; tutti i dottori e infermieri malefici che, fra apparizioni poco note e piccoli cult, hanno reso la nostra paura degli ospedali ancora più strisciante, preferendo una bella compressa di Zerinol Flou o una provvidenziale suppostona a uno spiacevole ricovero senza più possibilità di scampo.

 1. The Macabre Trunk (Miguel Zacarias, 1936)

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Prima del diabolico dottor Satana di Jesus Franco, prima del malefico professor Génessier de Gli occhi senza volto di Franju e decisamente molto prima dell’iconico e abominevole Dr. Phibes di Robert Fuest, c’era lui: il Dr. Maximiliano Renan. Dal Messico con furore ecco uno dei primi veri medici svitati della storia del cinema, così innamorato della fascinosa consorte al punto di tentare di curarne l’aggressivo cancro con una bella serie di trasfusioni di sangue, usando all’occorrenza giovani donne scovate e accoppate quale fonte del proprio esperimento. Un pazzoide a piede libero con la licenza di curare e di uccidere, pronto a rinnegare ogni briciolo di moralità alla base della propria professione pur di salvare il grande amore della propria vita. In linea di massima certamente molto nobile, non c’è che dire. Un po’ meno se si considera il punto di vista delle povere ignare donatrici, mandate all’altro mondo senza troppi complimenti.

2. The Mad Doctor (Tim Whelan, 1941)

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Alto, ombroso, fascinoso e, segretamente, un pazzoide coi fiocchi. Questo l’identikit del malefico dottor Sebastian protagonista del thriller poliziesco targato Paramount che, all’epoca della sua uscita in sala, causò non poche diserzioni dagli studi medici di gran parte degli States. L’allora aitante Basil Rathbone dona corpo e voce a un malatissimo professionista del bisturi che, un po’ come il caro vecchio Monsieur Verdoux chapliniano, non ha altra occupazione al mondo che procacciarsi ricche ereditiere da cui spillare quattrini e, all’occorrenza, anche qualche bel tocco di carne fresca da usare per i propri sadici esperimenti, affibbiando al fido assistente di turno l’eliminazione dei torsi umani non utilizzati. Due piccioni con una fava, insomma, per un racconto gotico ricco di suspense che ci farà certamente riflettere a lungo prima di scomodare ancora il nostro fido Kildare della porta accanto.

3. La casa dei mostri (Brooke L. Peters, 1957)

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L’altruismo è una gran bella cosa, specialmente se proviene da coloro che custodiscono il sacro dono della medicina. Ma quando si ha a che fare con uno folle chirurgo accecato dal proprio ego, per giunta desideroso di donare a sé stesso e al mondo intero nientemeno che l’eterna giovinezza, le conseguenze possono essere decisamente inaspettate. E così quel gran pazzoide di John Corradine, vestito il bianco camice del dottor Conway e inforcato l’immancabile bisturi, si prepara a sperimentare le proprie folli teorie, asportando e reimpiantando ghiandole a rotta di colla su innocenti cavie umane speranzose di curare la propria incipiente depressione. E saranno proprio questi poveri ignari avventori a trasformarsi ben presto in deambulanti morti viventi, andandosene a zonzo per la sinistra magione dello spietato mad doctor alla ricerca di succulenta carne fresca da addentare, dimostrando come, nella medicina così come nella vita, fra il dire e il fare c’è di mezzo un gran bel mare.

4. Mad Doctor of Blood Island (Eddie Romero, Gerando de Leon, 1969)

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Una procace figliola generosamente svestita viene massacrata di gran carriera da un mostro antropomorfo dalla verde pellaccia. Questo il folgorante incipit de terzo capitolo della cine-serie horror filippina denominata Blood Island, con protagonista stavolta il mitico dottor Lorca, un medicuccio da strapazzo che, al posto di curare l’incipiente cancro del signorotto locale, tramuta quest’ultimo in un abominevole essere imbevuto di clorofilla, il cui insaziabile appetito metterà a dura prova gli ormai assodati equilibri della catena alimentare. Sdoganato in ogni dove con il romeriano titolo alternativo di Tomb of the Living Dead, questo glorioso B-movie offre nudità e violenze in gran generosità, dimostrando ancora una volta come, se è vero che una mela al giorno leva il medico di torno, beh, allora sarà il caso di farne una bella scorpacciata, soprattutto se si ha la sfortuna di passare per questo stramaledettissimo atollo del terrore.

5. The Possession of Nurse Sherri (Al Adamson, 1978)

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Si sa che il Diavolo è tutto fuorché razzista, pronto a possedere chiunque senza distinzioni di pelle, sesso, religione e men che meno di carriera lavorativa. Perciò non stupisce affatto che persino un’innocente infermiera possa di colpo ospitare dentro di sé ogni genere di satanasso, soprattutto se questo altri non è che lo spirito incacchiato e terribilmente vendicativo di un antico predicatore, pronto a usare la nostra piccola crocerossina come veicolo dei propri porci comodi. Sul finire dei gloriosi anni ’70, in pieno tramonto della Disco e dell’era Carter, ecco che la Indipendent-International Pictures ci regala questo piccolo gioiellino di truculenza ed erotismo, conosciuto in mille e più modi diversi, da Black Vodoo a Beyond the Linving, passando per Hospital of Terror e Killer’s Curse. Insomma, tanti titoli diversi per un unico monito: mai svegliare l’infermiera che dorme, a meno di non prepararsi a ricevere qualcosa di ben più doloroso di una supposta extralarge.

6. Incubo in corsia (Brett Leonard, 1989)

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I tagli alla sanità sono la grande piaga dell’età moderna, non c’è che dire. Ne sa qualcosa la povera Cheryl Lawson, ricoverata in fretta e furia in un fatiscente ospedale psichiatrico senza il ben che minimo ricordo del proprio passato e, cosa ancor peggiore, preda del morboso e letale interesse del malvagio dottor Swan, autentico mad doctor con tanto di unghiacce affilate avvolte da resistenti guanti in lattice, il quale, nonostante le voci che lo davano morto da tempo, pare intenzionato a proseguire le proprie ricerche sulla riesumazione dei cadaveri, confezionando, come un novello Re-Animator, un siero in grado di riportare in vita i trapassati. Non serve specificare come gran parte delle cavie umane utilizzate dal nostro dottor Morte siano state opportunamente murate fra le pareti della clinica, pronte al tanto atteso risveglio in concomitanza con uno stranissimo terremoto. Redivivi squisitamente caserecci, liquami multicolori degni del miglior Tom Savini e, udite udite, suore fuori di cucuzza intente a benedire l’acqua di una gigantesca cisterna. Non manca proprio nulla in questa delirante opera prima, nella quale la paura del buon dottore risulta essere davvero l’ultimo dei problemi in lista.

7. Dr. Giggles (Manny Coto, 1992)

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Ridere è bello. Almeno così dicono. Fatto sta che, se a ridacchiare è un pazzoide scriteriato che si crede il miglior chirurgo al mondo senza aver mai aperto un manuale di anatomia, beh, diciamo pure che non è che ci sia tanto da star tranqulli. Soprattutto se il folle in questione si diverte un mondo a prelevare ignare vittime dal cuoricino debole sulle quale esercitare i propri obbrobri cardiovascolari, il tutto seguendo le altrettanto scriteriate orme paterne. Entrato a pieno titolo fra gli annali dei peggiori incubi cinematografici di sempre, con un incipit tra i più sorprendenti e deliranti che la celluloide abbia mai ospitato, il perfido dottor Rendell, impersonato dal paffuto scriteriato visone di Larry Drake, è divenuto, con la propria gelida risatina isterica, lo spauracchio di ogni reparto ospedaliero, giusto il sadico scoppiato in camice verde che non vorresti mai adocchiare in sala operatoria poco prima di cader vittima dei fumi dell’anestesia. Un medico dal cuore d’oro insomma. Peccato che il cuore con il quale si diverte a giocherellare non sia altro che il tuo, cavato fuori dal torace senza troppi complimenti.

8. Sick Nurses (Piraphan Laoyont, Thatsaporn Siriwat, 2007)

 

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Soliti come siamo a lamentarci senza ritegno del nostro sistema sanitario nazionale, sarebbe forse il caso di guardare un po’ ai nostri amici thailandesi, i quali, diciamoci la verità, non è che se la passino poi così tanto bene a livello di welfare. Si, perché, se mai vi trovaste nei sobborghi di Bangkok e doveste aver bisogno di curare un braccio rotto o una caviglia slogata, capitare fra le grinfie del giovane dottor Tar e delle sue procaci sette infermiere non è certo la miglior cosa che vi possa capitare. Giovani, carine e pericolosamente assassine. Così appaiono i nostri seducenti angeli in cappellino bianco, pronte come non mai a punire la diserzione di una delle loro compagne al primo accenno di voler rivelare i loschi affari perpetrati in quel della clinica ai danni degli ignari pazienti. Ma il fantasma della malcapitata accoppata non tarderà a tornare in piena attività, facendo passare al dottor Tar e alla sua ciurma uno spiacevole quarto d’ora. Dunque, alla luce di ciò, ricordate di non smettere mai di rendere grazie alla sacra istituzione della Muta.

9. Dementia (Mike Testin, 2015)

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La vecchiaia è una brutta bestia. Soprattutto se, dopo aver affrontato le umide e insidiose paludi del Vietnam, ci si ritrova come il povero e acciaccato George Lockhart (Gene Jones), costretto a soccombere al progressivo oblio della mente causato da un’incipiente demenza senile. Mano a mano che l’Alzheimer galoppa inesorabile, il nostro si rende conto di non poter più badare a sé stesso, arrivando all’unica conclusione possibile di dover ingaggiare un’infermiera a tempo pieno. La giovane Michelle (Kristina Klebe) sembra proprio la scelta adatta: premurosa, competente e, perché no, anche terribilmente carina, soprattutto agli occhi di un vecchio bacucco prossimo al traguardo finale. Tutte apparenze amici cari, perché, una volta installatasi nella grande abitazione che fa da sfondo alla vicenda, la nostra indecifrabile badante inizierà un sadico gioco al gatto col topo ai danni del povero smemorato reduce di guerra, un gioco che, con il suo protrarsi, rivelerà ben più di qualche sconvolgente verità. Di questi tempi bui, mai fidarsi dell’infermiera della porta accanto, su questo non ci piove!