Dieci note in nero: la musica e la sua ombra

Quando la musica e l'oscurità si incontrano: 10 film da (ri)vedere
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Le note di una canzone hanno da sempre su di noi l’effetto di un’iniezione di endorfine: sono un antidepressivo efficace che non necessita di prescrizione clinica. La musica è un piacere che ci concediamo ogni qual volta abbiamo bisogno di carica energetica o di estraniarci dal resto del mondo; tuttavia essa ha anche una storia lunghissima dove non sempre domina la bellezza e la gioia. La musica ha avuto, nei secoli, il suo lato oscuro, i suoi momenti neri. Ha attraversato rivoluzioni, tragedie  e inquietanti leggende, con i canoni estetici del bel comporre progressivamente sconfitti e sporcati da qualcosa di nuovo. Niccolò Paganini e il suo violino demoniaco, il rock psichedelico, il punk, il post-punk e la new wave, il black metal, da Bela Lugosi is dead dei Bauhaus al De Mysteriis Dom Sathanas dei Mayhem. Anche il musical, punto d’incontro tra musica, teatro e poi cinema, ha voluto guardare nell’oscurità o dissacrare la propria tradizione. Ecco dunque la nostra lista Dieci note in nero, ovvero dieci titoli dalle tonalità scure e grezze, dure come la roccia e sporche come il fango.

1. Il fantasma del palcoscenico (1974) di Brian De Palma

10 note in nero 1

Il patto col diavolo ai tempi del mercato discografico. Se Dorian Gray e Faust avessero avuto velleità melodiche, ce li ritroveremmo come Winslow e Phoenix a firmare col sangue il contratto dello spietato Swan. Laddove la tecnica era già risaputa, De Palma crea un capolavoro di colori e suoni, una ballad d’amore e dannazione che ancora oggi ci incanta e ci commuove, ricordandoci che gli artisti, quelli veri, se ne vanno più nell’indifferenza che tra gli applausi.

2. Tommy (1975) di Ken Russell

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Dall’omonima opera rock dei Who, un flusso continuo di musica e canto che ha ispirato molti (Tenacious D in the Pick of Destiny, per dirne uno recente e mainstream). Non solo ottimi arrangiamenti, ma anche una visione strabiliante, crudele ed allucinante, in una critica feroce all’America capitalista ed edonista del secondo dopoguerra, ben raffigurata dall’avido volto di Oliver Reed. Non viene neanche risparmiata la continua ricerca, da parte delle masse, di un nuovo dio da adorare, quando le nostre vite dovrebbero perseguire l’unico obiettivo della libertà.

3. The Rocky Horror Picture Show (1975) di Jim Sharman

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Vi lascio il tempo di fare un giro di Time Warp e poi potete continuare a leggere. Avete fatto? Bene, che dire di questo “cult tra i cult” di cui è già stato detto praticamente tutto? Forse solo che è proprio quella sua mancata volontà di perfezione a renderlo probabilmente “il musical”. Quella sua anarchia che ha reso possibile pensare un Victor Frankenstein con tacchi e calze a rete. Un inno alla diversità, a quella santa mostruosità che il mondo, addirittura l’universo, con le sue regole infrangibili, non accetterà mai.

4. American Pop (1981) di Ralph Bakshi

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Non è da tutti riprendersi da un fallimento come Il Signore degli anelli e poi buttarsi su un’opera così geniale. Una Heimat musicale: una famiglia, quattro generazioni che attraversano la storia della musica americana dagli anni Venti agli Ottanta, dal charleston al punk rock. Soprattutto una storia di sangue, morte, droga e disagio sociale, in cui la musica fa più da triste accompagnamento che da trionfale sottofondo, fino a sfociare nell’incubo. Bakshi invece si riconferma uno dei più grandi animatori della storia.

5. Cry Baby (1990) di John Waters

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Stavolta si può ridere di gusto, grazie al genio di Waters che concepisce questa per niente velata presa per il culo a Grease ed eredi. Cry-Baby non è di certo Danny Zucco, anche se il volto è quello pulito di Johnny Depp. Vive con due nonni sciroccati e malviventi (Iggy Pop e Susan Tyrrell), frequenta tipi poco civili o di brutto aspetto (Traci Lords e Kim McGuire). Però suona e canta come un Elvis posseduto dal Maligno e quella lacrima che gli scende su una sola guancia vuole dimostrare che la bontà e la purezza albergano anche nei bassifondi. Brutti sì, sporchi pure, ma cattivi no.

6. Ex Drummer (2007) di Koen Mortier

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Già nel momento in cui vediamo i nostri suonare Mongoloid dei Devo si può capire che tipo di racconto ci attende. Perché non è tanto la disabilità mentale o sociale, di cui tre quarti dei The Feminists (nome bellissimo) soffrono, il problema; siamo noi, normali, ad essere la prova dell’involuzione, o devoluzione: abbiamo rinunciato a qualsiasi diritto sulla nostra umanità per comprarci il potere e l’illusione di essere superiori. Invece che usare l’arte e la musica per unire, abbiamo preferito lanciare un sasso per poi rimanere fermi a guardare le persone ammazzarsi a vicenda.

7. Tokyo Tribe (2014) di Sion Sono

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Che Sion Sono sia uno dei registi più folli in vita è risaputo. Questa sorta di mash-up tra West Side Story e The Warriors incanta e confonde con i lunghi piani sequenza del nostro tra una battaglia rap e l’altra. Come al solito la regola è esagerare ed esasperare, tuttavia, udite udite, l’hip pop in slang nipponico funziona e trascina, ti prende. Infine la fauna di Tokyo, le bande: un concentrato di outfit improbabili quanto esaltanti. Vi sembrerà di aver visto tutto e niente allo stesso tempo.

8. Bomb City (2017) di Jameson Brooks

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La città-bomba pronta ad esplodere è quella dove la verità non ha così tanta importanza. Amarillo, Texas: il punk impazza e cerca il suo spazio, un’isola felice dove si possa essere e alla luce del sole. Brian Deneke e la sua tremenda storia vera; una di quelle che sentiamo e vediamo ancora oggi: sangue, morte ed assenza di giustizia. E allora forse quel “No Future”, quella società borghese che va combattuta aspramente, non sono l’invenzione di qualche folle teppista di strada, ma il grido legittimo di una generazione.

9. Funeralopolis – A Suburban Portrait (2017) di Alessandro Redaelli

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Vash e Felce sono prima di tutto due nomi molto noti dell’horrorcore rap; in secundis sono l’oggetto di studio di questo docufilm di Alessandro Redaelli, sincero e brutale nel seguire i due protagonisti nei loro giorni e, soprattutto, nelle loro notti tra musica, risate, incazzature e droghe. Nessuna denuncia o apologia, solo la volontà di mostrare senza alcun filtro, bianco e nero a parte. Riflessioni profonde che si alternano a semplice cazzeggio dialettico: la normalità del Purgatorio della periferia. Un possibile nuovo “No Future” di questi nuovi ragazzi di via: “L’importante è avere la droga, perché le persone fanno cagare. Meglio essere soli con la droga”.

10. Lords of Chaos (2018) di Jonas Akerlund

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La storia dei Mayhem è stata per anni oggetto di culto dei metallari (anche italiani), tra mito, fascinazione e risate da humor nero. Lords of Chaos andrebbe visto, da tutti, perché probabilmente è il racconto che più si avvicina alla verità, che più di tutti restituisce un volto e un’umanità ai vari Euronymous, Dead e Faust. Perché questo erano: ragazzi che volevano diventare famosi, figli problematici e incapaci di badare a loro stessi, arrabbiati con un mondo a cui non sentivano di appartenere. Roghi di chiese, suicidi e omicidi sono solo la parte più in vista di una storia molto più complessa che non smetterà mai di affascinarci, così come la musica del gruppo di Oslo.