Juggernaut – Una forza inarrestabile

Incontro con Emanuele e Daniele Ricci, registi di Juggernaut, insieme a Eugenio Krilov, attore protagonista del corto dark fantasy

Che si chiami “cappa e spada” o dark fantasy, si tratta di un genere che, se non curato nei dettagli, può benissimo risultare posticcio o artificioso. Poi ci sono casi come Juggernaut, dove la forza delle idee e della messa in scena producono un qualcosa di veramente encomiabile. Il corto in questione, diretto dai fratelli Emanuele e Daniele Ricci, è uno stupendo affresco di quello che in Italia si può ancora fare, pure nel difficile campo del panorama indipendente, in materia di cinema fantastico. Parliamo del classico viaggio dell’eroe, che in questo caso è un cavaliere con l’armatura rovinata e a cui dà fisicità e profondità Eugenio Krilov. Un volto da cinema che, lungo i quasi venti minuti di corto, restituisce il dramma di quest’uomo inarrestabile anche dinanzi alla morte e agli orrori che troverà lungo il cammino. Girato tra Toscana e Liguria, Juggernaut è stato scritto, montato e prodotto dai tre giovani sopracitati ed è destinato ad impressionare, ancora per un bel po’, presso i diversi festival di genere (e non) del mondo. Con il progetto, nell’immediato futuro, di realizzarne un lungometraggio. L’occasione, intanto, era troppo ghiotta per non riunirli tutti e tre per una bella chiacchierata sul loro lavoro.

Innanzitutto, come sta andando il percorso di Juggernaut nei festival?

Emanuele Ricci: Abbiamo avuto un’anteprima in Norvegia, poi abbiamo vinto al FilmQuest negli Stati Uniti come Miglior fantasy. Ricordo anche l’HorrorFest, sempre nello Utah, e il San Sebastian, oltre alla nomination che abbiamo avuto al Meliès. In Italia siamo passati dal Capri Hollywood e dal Riviera Film Festival, poi abbiamo avuto ottimi riscontri in Germania. Il percorso festivaliero, comunque, è ancora in essere: dovrebbe continuare ancora per un paio d’anni.

Daniele Ricci: Sì, sono passati sei mesi da quando abbiamo cominciato ad inviare il corto. Nel primo anno abbiamo voluto focalizzarci sui festival più di richiamo, poi passeremo a quelli meno conosciuti ma che possono comunque aiutarci a mostrare più capillarmente il nostro lavoro. Abbiamo puntato subito al massimo, anche con kermesse tipo Venezia dove comunque sapevamo che prodotti così di genere fanno molta fatica ad essere selezionati.

Come nasce la vostra collaborazione e il vostro lavoro?

E.R.: Di sicuro nasce tutto da mio fratello, che è più grande ed è stato il primo ad iniziare a girare corti. Mi ricordo che ero ancora piccolo e lui aveva già cominciato, quindi si parla probabilmente del 2010 o anche prima. Con Juggernaut, abbiamo realizzato il primo lavoro dove figuriamo entrambi alla regia.

D.R.: La passione me l’ha trasmessa nostro nonno. Anche lui faceva il videomaker e girava con la 8 mm e la 16 mm. Poi io l’ho trasmessa ad Emanuele, che probabilmente mi ha anche superato per quanto riguarda l’amore per il cinema: lo ha scelto come indirizzo dell’università e guarda senza dubbio più film di me. Con Eugenio, invece, ci siamo conosciuti quando fece il protagonista di uno dei miei primi cortometraggi: qui parliamo di circa 12 anni fa.

Eugenio Krilov: Sì, allora non avevo ancora fatto tanta roba. Se dovessi decidere chi mi ha portato a questo punto qui, non avrei dubbi nel dire che sono questi due ragazzi. Con questo corto, che si intitola Lux, è nata la nostra Red Planet Production. Emanuele lì faceva il protagonista, eravamo solo io e lui. È incredibile pensare che anche lì la storia era senza dialoghi e che proprio Juggernaut (anch’esso senza dialoghi, ndr) ci abbia riuniti definitivamente, 12 anni dopo e con tante esperienze individuali alle spalle. Abbiamo deciso di mettere tutte le nostre capacità acquisite nel tempo in questo progetto, con la forza della nostra determinazione.

Juggernaut, sembra ormai chiaro, è il progetto con cui avete voluto fare il salto di qualità.

E.R.: Sì. Per realizzarlo tutto ci abbiamo messo un anno, tra pensarlo, trovare i costumi, girarlo e montarlo. E ora lo stiamo distribuendo, quindi il suo percorso sta ancora continuando.

D.R.: Stiamo continuando ad investirci molto, in tempo e denaro. Ma come ha detto Eugenio siamo molto determinati. Questa parte della vita del corto si sta dimostrando anche più impegnativa del realizzarlo, anche perché siamo alla ricerca di una produzione. Già fare un fantasy con un budget relativamente basso rappresenta una scommessa: la possibilità di sbagliare qualcosa era molto alta. Ma siamo riusciti a curare il tutto nei minimi dettagli, soprattutto in sede di pre-produzione facendo tante chiamate e incontri con professionisti di vari settori come costumisti o maestri di spada.

Ecco, da che passioni o fonti d’ispirazione è nato Juggernaut?

E.R.: L’idea di girare un fantasy è nata da mio fratello, che è il più appassionato del genere. Io invece sono molto più rivolto all’horror. La volontà era quella di realizzare qualcosa di estremamente impattante a livello visivo che avesse al suo interno anche un’atmosfera epica. Ci siamo ispirati sicuramente alla serie di videogiochi Dark Souls, mentre relativamente al cinema, oltre ai fantasy classici, uno dei punti di partenza è stato sicuramente Alien per quanto riguarda la tensione. Il collegamento più diretto, però, è The Head Hunter.

D.R.: Sì, io sono il videogiocatore del gruppo e ho una grande passione per la letteratura fantasy. Potrei aggiungere anche Elder Ring tra le fonti d’ispirazione e devo dire che mi ha fatto molto piacere sentire persone al FilmQuest che riconoscevano nel corto questi elementi.

Non sono un videogiocatore, ma vedendo il corto ho pensato subito a due film recenti come The Northman di Eggers, specie nella scena del combattimento, e Sir Gawain e il Cavaliere Verde di David Lowery. Ma soprattutto avete dimostrato che in Italia ci sono le location per realizzare questo tipo di film.

E.R.: Era effettivamente il nostro obiettivo. Noi siamo della Versilia e abbiamo girato in larga parte in Toscana e un paio di scene in Liguria. La scena iniziale l’abbiamo fatta a Portovenere ed è stato anche complesso perché era pieno di turisti.

D.R.: Tra l’altro abbiamo girato senza presa diretta, quindi l’audio è interamente ricostruito. Anche quando eravamo in una grotta, la strada era praticamente subito fuori e non potevamo isolare i rumori. A Portovenere uguale e anche peggio: nella chiesa dove eravamo c’era appena stato un matrimonio e c’era un sacco di gente che voleva farsi le foto davanti a quel tramonto. L’attrice è stata anche brava a mantenere il sangue freddo perché era obiettivamente una situazione di stress. Poi chi ci ha curato gli effetti speciali ha fatto un grande lavoro nell’eliminare in post-produzione qualsiasi cosa estranea che era entrata in campo.

Un’altra grande prova è stata sicuramente raccontare una storia senza l’uso di dialoghi. Com’è stato il lavoro in sede di scrittura e sceneggiatura?

E.R.: Pur essendo una storia lineare e semplice, ci abbiamo comunque lavorato tanto. Avevamo in mente di mettere in scena il viaggio di questo cavaliere, poi abbiamo aggiunto elementi horror come il rituale della resurrezione, così come il finale, che è un po’ alla Lovecraft.

E.K.: Avevamo idee diverse all’inizio del percorso, che poi sono maturate e sono state messe insieme votando ogni volta. Ciò che ci aiutato è stata sicuramente la ricerca delle location: ci ha permesso di fondere le immagini con la storia e di crearci una vera e propria mappa di elementi narrativi e di atmosfere. Prima di partire per le riprese, quindi, volevamo essere assolutamente sicuri che tutto ciò che era stato scritto sarebbe rimasto nelle immagini, proprio perché avevamo già provato la fattibilità di ogni scena. Non ci sarebbe stata la possibilità né il tempo di discutere cambiamenti in corso d’opera.

E.R.: Sì, abbiamo dovuto solo rinunciare ad una scena introduttiva del cavaliere che doveva arrivare su una zattera. Avevamo già trovato il mezzo, ma la difficoltà e la non necessarietà di girarla ci ha fatto fare un passo indietro.

D.R.: Anche perché non volevamo superare i 20 minuti di corto. Addirittura, inizialmente, volevamo stare sui 15 per il timore che andare sopra ci tagliasse un po’ le gambe a livello di festival. Di sicuro se fossimo andati sopra i 20 avremmo avuto più problemi in sede di selezione.

Passiamo a te, Eugenio, e alla tua interpretazione. Il tuo cavaliere, nella disperazione dei suoi intenti, passa da prove fisiche davvero difficili. Dov’è il confine tra recitazione e vera fatica?

E.K.: Juggernaut in inglese significa appunto “forza inarrestabile” e questa era l’idea di partenza: un eroe consumato che stressa il proprio corpo e il proprio morale per raggiungere il suo scopo. Dal punto di vista interpretativo, ci sono stati momenti in cui cercavo di compensare con l’arte e con il mestiere. In altri momenti era davvero tutto molto pesante: solo l’armatura aggiungeva 30 chili e l’ho tenuta addosso anche per decine di ore, quindi la stanchezza fisica e nel volto era una conseguenza naturale. La recitazione viene giocoforza condizionata: devi essere bravo a sfruttare tutto a tuo vantaggio. Anche la slitta era pesante, circa 50 chili a pieno carico con l’aggiunta dell’attrito che creava il terreno. Era comunque l’unico modo per trasmettere una fatica e una sofferenza autentica. Senza dubbio, per me, è stato d’ispirazione Di Caprio in The Revenant quando riesce ad uscire dalla sepoltura dove lo ha buttato Tom Hardy. Ho insistito con i ragazzi affinché la scena della slitta fosse fatta: per loro era una grande prova di regia, per me una grande prova di attore. E per tutti noi quella scena è la vera essenza del corto.

E.R.: In quella scena il terreno era bagnato, quindi ogni volta che Eugenio scivola è perché scivolava davvero. Anche raggiungere alcuni luoghi era difficile, tipo le miniere di Cardoso dove abbiamo girato la scena della grotta: devi fare una lunga salita a piedi e sei in montagna.

D.R.: C’è un’altra scena in cui siamo praticamente nel mezzo di questo bosco nero con alberi altissimi. Lì era tutto in discesa e si affacciava ad una strada. Finite le riprese, abbiamo raccolto la slitta e le altre cose per spostarci, con Eugenio che indossava l’armatura. In quel frangente son passati carabinieri e polizia: ci hanno guardato malissimo, ma stranamente non ci hanno detto nulla.

La scena della salita è davvero bellissima per come è girata nei dettagli. Dal punto di vista registico, avevate immaginato e messo per iscritto tutto?

E.R.: Io e mio fratello confrontiamo le idee per ogni scena e spesso succede che ce le immaginiamo uguali. Per questo corto abbiamo sviluppato uno storyboard, che poi non abbiamo portato sul set perché ormai avevamo tutto fissato nella memoria. Abbiamo girato tutto con lo spallaccio: una scelta dovuta al fatto che dovevamo fare tutto velocemente e senza movimenti troppo complessi. In altre occasioni abbiamo dovuto improvvisare, tipo la scena del combattimento che inizialmente era pensata diversamente.

D.R.: Quando giri solamente con i tuoi mezzi, devi cercare di lavorare in modo smart e dare l’impressione di essere per così dire più ricco. Ci ha fatto piacere che molte persone abbiano pensato che il nostro budget fosse di gran lunga più consistente.

Il vostro progetto, adesso, è trasformare Juggernaut in un lungometraggio. Come sta procedendo il lavoro di scrittura e di pre-produzione?

E.R.: Abbiamo scritto il soggetto e stiamo lavorando alla sceneggiatura, quindi la storia c’è. Stiamo provando a partecipare ad alcuni bandi e il nostro sogno sarebbe girarlo in Italia. Sappiamo però quanto sia difficile e quindi, realisticamente, siamo aperti anche a produzioni estere.

D.R.: Dai riscontri a livello di festival, stiamo vedendo che il corto sta andando molto bene in Nord America e Nord Europa. Ci piacerebbe tanto farlo qui, anche per valorizzare il territorio. Abbiamo già sentito diverse persone e probabilmente dovremo girarlo in inglese per poter attingere ad un bacino più ampio di pubblico.

E.K.: L’idea più vicina a noi è un’operazione tipo Il racconto dei racconti, ossia mettere in scena nei nostri luoghi un mondo inventato. Ci stiamo prendendo molto tempo dal punto di vista della scrittura: abbiamo iniziato in estate, poi ad ottobre abbiamo trovato l’idea giusta da sviluppare e ormai siamo giunti al termine. Abbiamo venti pagine di soggetto e ci stiamo facendo aiutare da una sceneggiatrice: crediamo infatti che, come per il corto, vogliamo mettere la massima cura in questo film. Non vogliamo fare un lungo solo per il gusto di farlo, ma realizzare un prodotto di qualità che ci rappresenti e che ci permetta di entrare nell’industria. Tra l’altro aprendoci ad un eventuale secondo capitolo, come abbiamo immaginato nel finale.