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Dos

2021
REGIA:
Mar Targarona
CAST:
Marina Gatell (Sara)
Pablo Derqui (David)
Kandido Uranga (Óscar)

Il nostro giudizio

Dos è un film del 2021, diretto da Mar Targarona.

Un uomo e una donna si svegliano a letto insieme e non ricordano nulla. Notte brava finita in modo indecoroso? Lei si trova sopra di lui. Prova a scivolargli via ma non ci riesce. Qualcosa la tiene attaccata all’uomo. Qualcosa la tiene attaccata “fisicamente” all’uomo. I due non si conoscono, non sanno spiegarsi la situazione, ma devono fare qualcosa per uscirne. Un chirurgo pazzo sembra averli cuciti assieme, in una folle attuazione del mito platoniano delle metà. Esattamente come per Buried, Locke o Il gioco di Gerald, il film rappresenta una sfida quasi impossibile e già dalla durata complessiva, settanta minuti scarsi, intuiamo che Mar Targarona, regista e produttrice spagnola d’esperienza ma di scarsa risonanza internazionale, non abbia osato stiracchiare troppo lo spunto, fulminante e audace, perfetto per un corto ma quasi impossibile per un film vero e proprio. I due attori, Marina Gatel nel ruolo di lei (Sara) e Pablo Derqui nel ruolo di lui (David) se la cavano bene, danzando sul ghiaccio di una situazione splatter-comedy piuttosto fragile. Certo che vedere un uomo e una donna nudi che litigano, si offendono e, pur tentando di staccarsi, urlando e gemendo, devono arrendersi e tentare di armonizzarsi, anche solo per camminare, pisciare e soprattutto trovare una via d’uscita.

Sfiorandosi con le labbra i visi, soffiandosi addosso, baciandosi in un momento di vaga incertezza, i personaggi di Dos, compiono un minuetto erotico dolorosissimo e potente, capace di suggerisce allo spettatore più riflessivo non poche suggestioni sul rapporto uomo-donna, sull’amore di coppia, su come le reciproche solitudini, cucite assieme, subiscano un legame apparentemente intrappolante da cui scalciarsi via il prima possibile, nel terrore delle sofferenze che il cuore produce a ogni respiro, scatto o brusco arresto. Mentre Sara e David si aggirano, abbracciandosi e vagando per tutta la misteriosa casa in cerca di una spiegazione, tra Bibbie e fotografie misteriose, i due fanno conoscenza. Lui non ha nessuno ad aspettarlo. I soli amici che potrebbero sentire la sua mancanza sono un cane (“davvero fedele, che non chiede nulla”) e un’ulcera duodenale, frutto di chissà quali disordini emotivi e alimentari. Lei invece è ancora più sola, ma sposata a un uomo anziano e ricco, geloso da impazzire per i suoi tradimenti vacui e compulsivi.

Tra indizi e reminiscenze reciproche, i due trovano il bandolo ma questo significa sottoporsi reciprocamente a un serrato interrogatorio, rispondendo a cose che entrambi eviterebbero volentieri di affrontare. E così, dopo la domanda iniziale, “chi ce l’ha fatto (fare)?” la coppia coatta deve farsene una più spinosa, “cosa abbiamo fatto per meritarcelo?”, che poi sono quesiti a cui i protagonisti di ogni ordinaria relazione, nei momenti di maggiore esasperazione, rivolgono alle presenze invisibili che testimoniano le indicibili litigate e gli psicodrammi più imbarazzanti. Dos vorrebbe essere un giallo, un body horror, una storia d’amore in un interno e un apologo sul dolore esistenziale… forse un po’ troppo da gestire in una sola stanza e settanta minuti di riprese. La regia schiaccia gli attori in primi piani sempre più asfittici, la fotografia, palesemente caravaggesca, non restituisce la loro umanità. Dopo un po’ sembra solo di vedere un episodio di una serie horror mai realizzata, stile Masters Of Horror in declinazione iberica. Un film che avrebbe potuto essere un capolavoro nelle mani del Brian Yuzna a cavallo tra gli anni 80 e gli anni 90 e che gestito da Mar Targarona, diventa un bel compitino macabro per il pubblico disattento e abulico di Netflix.