Intervista a Tom Savini

Parla l’uomo grazie al quale i peggiori incubi degli anni Settanta e Ottanta sono diventati realtà…
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Come mai sei passato dalla fotografia agli effetti speciali? 

In effetti, penso di essere conosciuto per il mio lavoro di make up special effect, mi chiamano “the wizard of gore” “doctor splatter”. Non mi dispiace, perché vuoi che il tuo nome sia famoso… Ho iniziato a interessarmi di make up quando avevo 11 anni, allora vidi L’uomo dai mille volti (Man of a Thousand Faces, Joseph Pevney, 1957) la storia di Lon Chaney… Ho un bambino che si chiama Lon, da tanto ho amato quel film! Ho imparato leggendo libri e facendo pratica sui miei amici, e questo mi ha portato a lavorare in pubblicità, poi con Romero e a fare Venerdì 13 (Friday the 13th, Sean S. Cunningham, 1980). Poi sì, ho fatto anche il fotografo, in un’altra vita…

Come hai imparato a fare gli effetti speciali? Perché i tuoi make up sono stupendi, nessuno è mai riuscito a fare quello che facevi tu!

Beh, nei film tutto mi sembrava così finto. Così quando sono andato in Vietnam, come fotografo, beh, lì ho visto la realtà, lì la gente moriva per ferite tremende, con le mascelle cadenti… Così, dopo quella esperienza, fare gli effetti speciali, le “cose finte”, non mi faceva alcun effetto. Il realismo dei miei trucchi viene da lì, dall’orrore che mi sono trovato di fronte in Indocina. Un make up che non pare vero, non è un buon make up.

Quando hai esordito?

Il mio primo film è stato La morte dietro la porta (Dead of the Night, Bob Clark, 1974), ma facevo l’assistente di Alan Ormsby e l’ho solo aiutato… C’è ad esempio una scena in cui sparano in testa a una persona. Non ho fatto l’esplosione, ma ho pensato di usare una pistola ad aria per far saltare i capelli. Questo è stato il mio contributo per rendere la scena più realistica! E poi Deranged, regia di Orsmby (1974), la vera storia di Ed Gein. Ma non si trattava di un vero e proprio special make up effect, era “solo” make up. Wampyr (Martin, 1978) di George A. Romero è stato il primo film in cui ho fatto special make up effect, “magic tricks” come si suol dire. In pratica il primo film in cui ho fatto trucchi sulle persone, come il ragazzo con il bastone infilato nel collo…

Quando facevi special make up effect, era un po’ come se fossi il regista e dirigessi le scene?

Sì, sì… Era scritto anche nel mio contratto che potevo dare indicazioni di regia per le scene che prevedevano il mio intervento come truccatore. Questo perché non sempre i registi sono esperti in questo campo, nel senso che, ad esempio, le scene di trasformazione hanno bisogno di essere riprese in un modo particolare. Da qui la mia “collaborazione tecnica”.

Mi puoi parlare del tuo rapporto con George Romero? È vero che dovevi fare anche La notte dei morti viventi ma non hai potuto perché eri partito per il Vietnam…

Si, è vero. Ho conosciuto George al liceo, faceva audizioni per un film… Ci siamo rivisti poi quando stava girando La notte dei morti viventi (Night of the Living Dead, 1968) e gli feci vedere il mio book. Mi disse: «Sì, possiamo farti lavorare nel film», ma poi mi arrivò la lettera per il servizio militare, hanno 140 giorni per poterti prendere e beh, mi hanno preso! Mentre girava Night of the Living Dead ero in Vietnam, ma quando tornai stava facendo Martin, io volevo fare il vampiro, ma l’attore era già stato scelto (John Amplas, ndr), allora mi chiamò per i make up effect e anche per una parte come stuntman. Dopo anni, mi chiamò dicendo che avrebbe fatto un remake di Night of the Living Dead, proponendomi addirittura di dirigerlo!

Tu non avevi mai pensato di fare il regista? È stato Romero a proportelo?

Sì, in realtà all’epoca mi erano arrivate altre offerte, anche importanti, tra le quali la regia di Tales From the Darkside, il film tratto dal racconto di Stephen King  Graveyard Shift che poi ho realizzato. Anni dopo Romero mi chiese di dirigere il remake di Night of the Living Dead (1990) perché avevamo lavorato insieme e si fidava di me. Infatti sul set mi lasciò libero di decidere cosa fare.

Nel tuo Night of the Living Dead non c’è quel gore che c’è nel film di Romero, non ci sono molti effetti speciali…

C’erano, ma ne hanno censurati moltissimi, un sacco di scene tagliate, come quella dell’esplosione della testa… Per fortuna adesso la Sony Picture sta per pubblicare un blue ray con il director’s cut…

Perché hai messo uno zombi che assomiglia a Klaus Kinski in Night of the Living Dead?

(ride) Non era fatto di proposito…

Un tuo giudizio sulla trilogia degli zombi di Romero? Tu hai realizzato innovativi effetti, non eri spaventato dalla censura del tempo?

No, perché Zombi (Dawn of the Dead, 1978) era unrating quindi è rimasto intatto, e Il giorno degli zombi (Day of the Dead, 1985) non mi ricordo da chi fosse distribuito ma anche lì non ci sono stati tagli. No, non mi sono mai preoccupato della censura, perché il mio lavoro era fare quello che c’era nel copione e renderlo realistico.

Ti ricordi di Dario Argento?

Io amo Dario Argento! Opera (1987) è un grande film, ha uno stile visuale unico… Quando abbiamo lavorato insieme per Zombi, di cui era coproduttore, non parlava ancora molto bene inglese, comunicavamo per ore con i segni, le foto, i disegni… è venuto a casa mia e abbiamo giocato ai videogame! Ha avuto una grossa influenza su di me.

Davvero?

Si, se hai visto il mio episodio di Chill Factor, visivamente la transizione da scena a scena è specifica, fatta come Dario. Ha avuto molta influenza sul mio stile visivo. Puoi raccontare la storia in tanti modi, ma raccontarla come fa lui… è speciale!

Sei autore dei make up effect di Due occhi diabolici, e l’episodio di Argento è molto gore. Che tipo di lavoro ti aveva richiesto?

Ho sempre chiesto a ogni regista: che cosa vuoi vedere? Perché non puoi attenerti solo allo script e leggere, ci sono nove corpi smembrati in sceneggiatura, ah ok faccio nove corpi… Bisogna che il regista mi dica cosa vuole inquadrare e cosa no. Con Dario è tutto molto specifico, come in Trauma (1992), quando Brad Dourif cade… Avevamo una bellissima testa di Brad Dourif, lui cade su uno spuntone, lo trapassa da parte a parte (la scena non c’è nell’edizione americana, ndr) e per realizzarla abbiamo fatto la scena al contrario; abbiamo conficcato la testa finta per poi piano piano tirarla indietro, e non c’è nel film! È molto importante per me riuscire a fare ciò che vuole il regista.

Quindi Argento era molto chiaro su quello che voleva fare, su quello che aveva in mente?

Nella decapitazione in Trauma aveva fatto dei disegni, voleva più elettricità, abbiamo messo più fili per renderlo più reale, più potente.

Cosa mi puoi dire sulla serie di Venerdì 13

Beh, Wes Craven era coinvolto, io l’ho conosciuto lì, ma non sapevo bene in che modo fosse coinvolto, penso che fosse un amico di Sean S. Cunningham…

…che ha prodotto L’ultima casa a sinistra di Wes Craven…

Si, non guarderò mai più quel film… è come La sindrome di Stendhal (Argento, 1996), la scena dello stupro è troppo reale… una cosa così orribile, sono scene che vogliono farti sapere che queste cose accadono, ma è come se fossi lì ad assistere alla violenza… e io non voglio averci a che fare. Quindi, Venerdì 13: avevo appena fatto Dawn of the Dead, ed era lo stesso tipo di gore con un solo mostro… E così abbiamo creato il look di Jason. Jason assomiglia a uno del mio vicinato, un ricordo di quando ero bambino! Ho suggerito io anche la fine, con Jason che salta fuori dall’acqua… Non era un’idea originale, ma avevo appena visto Carrie – Lo sguardo di Satana (Carrie, Brian De Palma, 1976), quando pensi che sia tutto finito e lei spunta fuori di nuovo… Ho detto, facciamo la stessa cosa! Ma come? Facciamolo in un sogno, mostriamo un sogno, il pubblico accetta tutto se si tratta di un sogno… Ed ecco come è andata. Poi mi hanno offerto il secondo capitolo, ma ormai il personaggio era stravolto. Deambula, uccide, ma Jason non esiste! La madre era il killer, Jason è morto! «Oh, no, lo cambieremo» dissero. Così mi sono tolto fuori ma mi hanno richiamato per il quarto capitolo, che tutti pensavano sarebbe stato il conclusivo,  ma fecero talmente tanti soldi che probabilmente ci sarà un Venerdì 13 capitolo 13! Il quarto film è quello in cui “muore” Jason, gli ho tagliato la testa a metà film ma continua a tornare!

Hai accettato di fare il quarto Venerdì 13 perché pensavi che fosse l’ultimo capitolo?

Perché sono come il dottor Frankenstein: ho creato io Jason e sono io che lo devo uccidere!

Quindi l’idea del piccolo Jason che uccide il vecchio Jason in Il capitolo finale è stata tua, o c’era già nello script?

No, no, non ci avevano nemmeno pensato. Solo quando ho parlato con Betzy Palmer (la madre), che nel primo film diceva che non avevano mai trovato il corpo… Ah interessante, ho pensato, non hanno mai trovato il corpo quindi è per questo che continua a tornare, ma questo vuol dire che il bambino è andato in giro per anni e nessuno lo ha notato?! È illogico!

Tutte le scene gore che sono state girate per il quarto capitolo di Venerdì 13 sono rimaste nella versione definitiva?

Nessuna censura. Il regista Joseph Zito è stato intelligente, tutti gli effetti speciali sono ripresi rapidamente, difficilmente li vedi bene. Ma la scena della morte di Jason quella si.

Con Joseph Zito hai collaborato poi solo per Rosemary’s Killer o ti ha coinvolto in altro?

Ho fatto 4/5 film con lui. Ho fatto Red Scorpion, Venerdì 13 Capitolo finale, Rosemary’s Killer… E Invasion Usa.

Ma Zito che tipo è?

È un grosso e simpatico ragazzone italiano che ama i film, fa un sacco di scherzi, è come Don Rickles! Ti insulta sempre, ma con ironia.

Cosa ricordi di Rosemary’s Killer, all’epoca amato dagli horror-fan?

Rosemary’s Killer (The Prowler, 1981) mi pare riuscito, non ricordo bene quando è uscito, dopo Maniac?

Si, dopo Maniac e The Burning

Giusto, bravo, infatti ricordo che ero a New York a fare Maniac quando Zito mi chiamò. Ecco come è andata, William Lustig è venuto da me per Maniac e Harvey Weinstein, il produttore, per The Burning e così avanti, un film dopo l’altro, più o meno con lo stesso staff.

Che cosa ti ricordi dei Weinstein all’epoca?

Si occupavano di musica, lavoravano con 57 studi, a Ny, erano instancabili. The Burning (inedito in Italia, ndr) è stato il loro primo film. Con Harvey siamo rimasti abbastanza amici, ci siamo visti a qualche anteprima anche di recente.

Cosa ti ricordi del set di The Burning?

Era vicino alle cascate del Niagara, a Buffalo. C’erano molte somiglianze con Venerdì 13, e parecchi bambini nel cast. Venivano da me e mi chiedevano: «Come moriremo?!». Volevano morire nel modo più sanguinoso possibile, e mi è accaduto anche sul set di Venerdì 13 Capitolo finale, questi teenagers felici se potevano crepare ricoperti di sangue. è stato divertente inventare tutto questo.

La morte di Kevin Bacon in Venerdì 13, o la sequenza delle dita in The Burning sono scene diventate classiche…

Sì, e se pensi a The Burning, con Jason Alexander, Holly Hunter, ora sono star!

Avresti mai detto che Venerdì 13 sarebbe diventato un classico?

Macchè. Avevo appena fatto Dawn of the Dead e quello per me era un capolavoro. Venerdì 13 solo una piccola storia, il killer nel bosco con una orribile maschera.. Un film per teenager.

Hai detto di non amare le scene di violenza, allora cosa pensi della scena si sesso in Maniac?

Ho sempre detto che quel maniaco potrebbe esistere, potrebbe essere là fuori ed è questo che è spaventoso, che ti fa accapponare la pelle. Se la gente mi chiede di che cosa ho paura, io rispondo che ho paura della gente! (ride) Sono spaventato dalle persone pazze!

Quando hai lavorato a Creepshow hai conosciuto Stephen King, che tipo di persona è?

L’ho conosciuto molto bene e ti dirò, non sono rimasto sorpreso quando mi hanno detto che era stato investito da un furgone.. Un giorno scomparve senza lasciare traccia dal set e ci mettemmo tutti a cercarlo. Lo trovai io che si aggirava a piedi ai bordi dell’autostrada, assorto nella lettura di un libro, con una bottiglietta d’acqua in tasca… Era come in trance, è ovvio che poi sia stato investito da un furgone!

Quando hai detto «basta con gli effetti speciali, voglio fare qualcosa di diverso, il regista, lo scrittore, l’attore»? Quando hai detto: «questo è il mio capolavoro»?

Ho una mia sceneggiatura di Most Dangerous Game, un classico della letteratura fantastica, e penso che se potessi realizzarla sarei soddisfatto. Ma non ho mai abbandonato gli effetti speciali, c’è la prospettiva che io torni a lavorare con Romero per un altro film di zombi. Il mio capolavoro assoluto come autore di special make up effect è Il giorno degli zombi.

Perché?

Beh, ho vinto un Saturn Award per Day of the Dead, ed l’unico film per cui abbia vinto un premio; e ho vinto un premio francese, non ero lì a ritirarlo, ma me lo hanno spedito, ma non so per cosa sia, non parlo francese! E poi, oggettivamente, ci sono effetti davvero… speciali, come Joe Pilato tagliato a metà. Amo comunque molto anche il make up del nonno di Non aprite quella porta (The Texas Chainsaw Massacre, Tobe Hooper, 1978) e Lizy in Tales From the Darkside, che non sono creature gore. Ho sempre voluto allontanarmi dal gore e creare personaggi, creature/mostri con il make up, amo farlo.

Come è stato lavorare con Tobe Hooper?

Lui è fantastico, si fuma i sigari Montecristo sorseggiando Dr. Pepper costantemente, e buttava via il sigaro quando è ancora lungo! Vale 20 dollari quando è lungo così. Concludeva gli accordi chiedendoti una scatola di Montecristo! Erano illegali all’epoca, perché cubani. Anzi, sono ancora adesso illegali.

La tua esperienza migliore come regista?

Chill Factor: House Call, perché ho potuto realizzare tutto quello che avevo programmato, ci sono un sacco di trasformazioni visive molto difficili da riprendere che invece credo siano venute bene. Il remake di La notte dei morti viventi invece è stata l’esperienza peggiore della mia vita, è solo il 30% di quello che avevo intenzione di fare, perché continuavano a vietarmi di fare questo, quello, e George non era lì, c’era all’inizio e poi alla fine. Ero circondato da persone ignoranti che non capivano, e così non ho potuto fare quello che volevo.

Ma è ancora possibile girare un film completamente indipendente, senza nessuno che ti ostacola? Non è solo una questione di soldi?

Con Chill Factor è stato possibile. La sola imposizione che ho avuto è stata sulle giornate di lavorazione, ma quello, beh, se non fosse così i registi non finirebbero mai!