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Time to Hunt

2020
Titolo Originale:
Sayangeui sigan
REGIA:
Sung-hyun Yoon
CAST:
Lee Jehoon (Jun Seok)
Jae-hong Ahn (Jang Ho)
Woo-sik Choi (Ki Hoon)

Il nostro giudizio

Time to Hunt è un film del 2020, diretto da Sung-hyun Yoon.

In giorni come questi, in cui la sensazione di crisi è molto più tangibile, la distopia, o ciò che più le si avvicina, ha effetti pesanti su chi la osserva. Nel caso di Time to Hunt, non è proprio possibile distogliere l’attenzione: la pandemia di Coronavirus ha bloccato la sua distribuzione nelle sale coreane, programmata per fine febbraio. Sono poi seguiti un contratto con Netflix e una causa legale che hanno ritardato ancora di più il rilascio, al fine avvenuto in questi giorni. Quindi, arrivando alla sostanza dell’oggetto in questione, un mix discretamente assemblato di diversi generi: il distopico appunto, l’heist movie, il bildungsroman, il thriller e anche l’horror, se non si vuole essere troppo rigidi. Forse un po’ troppo per una trama essenziale e senza troppe parentesi, anche perché i minutaggi asiatici (sempre oltre le due ore) possono in questi casi risultare pesanti. Tuttavia il pregio che rende Time to Hunt un film più che godibile è l’ottima gestione di tutte le sue componenti, in particolare la tensione che prende piede finita la prima mezz’ora. Le premesse, invece, sono le seguenti: in Corea una terribile crisi economica ha ridotto la stragrande maggioranza della popolazione in povertà.

Il giovane Jun Seok è appena uscito di prigione e, insieme agli amici Jang Ho e Ki Hoon, progetta un colpo per poter rubare molti soldi ed andarsene da quel paese devastato. La scelta ricade su un casinò illegale: tutto procede come previsto ma, durante la fuga, i tre amici si ritrovano braccati da un killer di nome Han. Freddo e spietato come l’Anton Chiguhr di Non è un paese per vecchi, Han è presenza fisica e silente di un Male sempre in agguato, incarnazione della Morte che ti segue ovunque tu vada, in attesa che arrivi davvero la tua ora. Non è un caso che si contrapponga a tre giovani che vogliono fuggire da una città morta ed iniziare una nuova vita. Inoltre l’alone di mistero intorno alla sua figura e alle sue intenzioni contrasta con la trasparenza dei tre protagonisti e dei loro desideri. Lungo strade buie illuminate solo dalle insegne rosse dei pochi locali e negozi ancora aperti, la caccia assume sempre di più i tratti della discesa all’inferno. Nei momenti di tregua vediamo sempre più crollare le convinzioni dei tre ragazzi, così come ne scopriamo i punti deboli, le fragilità che li rendono sempre più vittime sacrificali di questo terreno mietitore. Nel frattempo però diventiamo consci della forza della loro amicizia e capiamo che sono finiti in un gioco per loro troppo complicato.

Time to Hunt dunque è anche un drammatico coming of age dove si è costretti ad assistere al più crudele funerale dell’innocenza: procediamo attraverso il punto di vista di Jun Seok, lo vediamo passare dalla sfrontata sicurezza all’impotente terrore. Si potrebbe racchiudere il tutto nella parafrasi e nell’inversione di “non è un paese per giovani”, nell’attualità dei nostri giorni dove il rapporto ravvicinato con la morte e l’assenza percepita di un futuro la fanno da padrone. Il film scritto e diretto dal quasi debuttante Sung-hyun Yoon non indora mai la pillola, anzi mette subito in chiaro che dall’inferno non c’è ritorno. Solo il finale, appendice amara all’insegna della disillusione, apre uno spiraglio, non semplice ma potente nella sua proposta: l’epoca del sogno non è mai esistita e mai sarà. Il mondo reale continuerà a chiamare e tormentare e il suo cambiamento passerà dalla volontà dell’eroe di proseguire il combattimento.