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The Curse

2023
REGIA:
Nathan Fielder, Benny Safdie
CAST:
Emma Stone (Whitney Siegel)
Nathan Fielder (Asher Siegel)
Benny Safdie (Dougie Schecter)

Il nostro giudizio

The Curse è una serie tv del 2023, creata e da Nathan Fielder e Benny Safdie.

David Lynch ha affermato recentemente, in uno dei suoi quotidiani appuntamenti su YouTube, dedicati alla meteorologia, “What a great time to be alive if you love the theater of the absurd”. Effettivamente, guardando l’evolversi della società e riflettendo sul presente la frase è calzante, così come ben si adatta a una delle serie tv più coraggiose e originali degli ultimi anni. Articolata in dieci episodi, The Curse, visibile su Paramount+ e Prime Video, prodotta da Showtime e A24, è scritta da Nathan Fielder e Benny Safdie, che interpretano rispettivamente Asher e Dougie, protagonisti, insieme a Emma Stone (Whitney), di questa serie surreale, con incursioni nell’horror e nella black comedy. Benny Safdie, insieme al fratello Josh, ha diretto film molto apprezzati dalla critica, come Diamanti Grezzi e Good Time, e in questa occasione riesce anche a dare una buona prova attoriale, senza sfigurare vicino alla bravissima Emma Stone. “Io ti maledico!”, una bambina lancia la sua “innocente” iattura contro Asher, e da questa maledizione si dipana una lenta ma inesorabile catena di eventi, intrecciata con le diverse sottotrame che coinvolgono e travolgono i barcollanti personaggi della storia. Lo show si prende gioco del moderno linguaggio televisivo e della necessità di spettacolarizzare ogni cosa, comprese le banalità del quotidiano e soprattutto il dolore, ma ironizza anche sull’arte contemporanea e sulle ipocrisie buoniste di una certa upper class.

The Curse è un prodotto originale e unico nel suo genere; se per il tono decisamente grottesco può ricordare alcune atmosfere lynchiane, soprattutto pensando a Twin Peaks, l’universo della serie Showtime è uno spaccato ben definito della società occidentale contemporanea e dei suoi aspetti più infidi e vischiosi. I tre protagonisti – e quasi tutti i personaggi della vicenda, in effetti – suscitano antipatia nello spettatore, per la loro insipienza e ipocrisia; ognuno di loro è pronto a ogni bassezza per ottenere i propri scopi. Successo, denaro, fama, autocompiacimento ed espiazione delle colpe personali sono le chiavi che principalmente muovono gli attori in scena. I peccati dei genitori ricadono sui figli e se Whitney cerca di prendere le distanze dalle spregevoli speculazioni familiari, comunque cade a sua volta in un vortice di azioni ignobili, nel tentativo affannoso di raggiungere il suo personale successo, come professionista e come donna, e scivola di continuo, mettendo in luce la sua congenita meschinità. Dougie, un Safdie quasi irriconoscibile, con capelli lunghi e perennemente unticci, esattamente come il suo personaggio, è un ambiguo regista, insoddisfatto e solo, schiacciato da un fardello pesante sulle spalle con cui non riesce a convivere. L’Asher Siegel di Nathan Fielder è sicuramente la figura più complessa tra i tre. La frustrazione subita sin da ragazzo, bullizzato e perseguitato, ha alimentato il suo senso di inadeguatezza e la sua inettitudine, che tenta di combattere e compensare ricorrendo ad azioni subdole e viscide, ma inevitabilmente maldestre.

Il trio è quanto di più sgradevole visto nella serialità degli ultimi anni. Nessuno fra loro si salva, sono marci fino al midollo, ma è un marcio che è insito nella loro natura, non c’è forzatura alcuna, il loro putridume si palesa alla luce abbagliante del sole del New Mexico, teatro delle loro fallimentari imprese. I luoghi riflettono la cancrena della storia che ospitano, aridi, inospitali e marcescenti, la fotografia algida restituisce una visione distaccata con cui è difficile creare qualsiasi forma di empatia, anzi contribuisce a mantenere viva la repulsione e il conseguente distacco con lo spettatore, che, a sua volta, non riesce ad abbandonarsi all’immedesimazione, funzionale alla creazione di un rapporto emozionale, coinvolgente, forse anche perché le immagini che si riflettono sui muri a specchio delle improbabili abitazioni realizzate da Whitney ci sono troppo familiari. La serie è irrobustita dalle monolitiche interpretazioni dei tre protagonisti principali, che sfoggiano una recitazione convincente, donando alla storia delle serie tv tre maschere originali, credibili e, soprattutto, dolcemente ripugnanti, in perenne e instabile equilibrio tra tragedia e farsa. La straniante e grottesca atmosfera cattura da subito l’attenzione dello spettatore e riesce a coinvolgere, nonostante i tempi dilatati, grazie a una scrittura pungente e a degli ottimi interpreti. Degno di nota il finale, talmente surreale da risultare assolutamente credibile, perché nulla è più surreale della realtà.