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Oppenheimer

2023
Titolo Originale:
Oppenheimer
REGIA:
Christopher Nolan
CAST:
Cillian Murphy (Robert Oppenheimer)
Emily Blunt (Katherine "Kitty" Oppenheimer)
Matt Damon (Leslie Groves)

Il nostro giudizio

Oppenheimer è un film del 2023, diretto da Christopher Nolan.

Cos’è la grande bomba? Come si costruisce? E cosa si forma nella mente di uno scienziato chiamato a costruire l’arma di distruzione totale, definitiva? Quando poniamo le mani per edificare la Morte ne siamo consapevoli, e la consapevolezza viene nascosta dalla nostra ipocrisia, oppure la presa di coscienza è graduale e giunge solo al termine del percorso? Sono dubbi vasti, vertiginosi, quelli che innervano Oppenheimer, l’ultimo film di Christopher Nolan dal 23 agosto 2023 nelle sale italiane. Un film ambizioso, molto, di un’ambizione quasi sconfinata sino a diventare cosmica, metafisica: perché Nolan, piaccia o meno, è un regista che non si accontenta, non vola basso ma prova a spiccare il grande salto, qui si lancia perfino verso la distruzione del mondo, dopo che tanti ne ha immaginati. La storia di Robert Oppenheimer viene scritta e diretta da Nolan senza l’aiuto del fratello Jonathan, che l’ha assistito negli script più stratificati e arzigogolati, negli ampi rovelli sci-fi filosofici confezionati nei decenni (The Prestige, Interstellar…). Qui scrive solo Christopher e opera una svolta nel suo cinema: non c’è gioco, non c’è inganno e non c’è prestigio, la partenza è più tradizionale e sta nelle maglie del biopic. Ma una storia, lo sa bene Nolan, è sempre come si racconta: Oppenheimer viene dunque presentato già maturo, nel secondo Dopoguerra, davanti a una commissione che lo inquisice, in bianco e nero, per poi organizzare un meccanismo a incastro che rivela gradualmente ciò che è avvenuto e solo alla fine concede il quadro complessivo. I fatti sono noti: il professor Robert Oppenheimer, fisico già in grande ascesa accademica, viene chiamato nel 1942 a dirigere il Progetto Manhattan, ossia una vasta ricerca comunitaria con i migliori scienziati della sua generazione, nel centro segreto di Los Alamos – una città costruita all’uopo nel deserto – che avrebbe portato all’invenzione della bomba atomica. L’obiettivo era costruire un’arma che potesse contrapporsi ai nazisti (ma in realtà anche ai russi) ponendo così fine alla Seconda guerra Mondiale. L’idea visiva angolare dell’Oppenheimer di Nolan sta nella sua visionarietà, da intendersi proprio nel senso letterale: il protagonista “vede” la fisica, ossia particelle e atomi si materializzano nella sua testa come serpentini guizzanti, piccoli scoppi o fuochi d’artificio, e questa diventa la chiave grafica determinante per leggere la seconda parte del racconto.

Per rinsaldare il thrilling Nolan disegna anche la coralità degli scienziati che girano attorno a Oppie, così lo chiamano gli amici, e qui sfiora la spy story tratteggiando i caratteri più etici e fedeli intrecciati ai traditori senza scrupoli, agli spietati voltagabbana. Sullo sfondo c’è la cortina di ferro, la mano pesante della Guerra Fredda, naturalmente, ma in realtà lo spettro che aleggia su tutti loro è sempre un altro: la Bomba che dopo il concepimento continua a inseguirli uno per uno, beffando anche l’auto-convinzione di stare dalla parte giusta della Storia, perché ormai dalla Bomba non si potrà più prescindere. La svolta è il test Trinity, la prima detonazione di un’arma nucleare. Nolan rende concreta la bomba atomica, per la prima volta materializza il grande splendore: dopo i venti minuti che portano alla deflagrazione, una delle sequenze più potenti del regista, ecco che il bottone esiziale viene premuto, e si innesca qualcosa che può anche portare alla fine del mondo. L’eventualità che la bomba distrugga il pianeta, infatti, non sono zero. Qui all’improvviso si installa il senso del film, la sua sostanza profonda, introdotta dal dialogo tra Cillian Murphy e Matt Damon, i quali prendono coscienza, diventano consapevoli che la teoria non contiene tutto e c’è una piccola possibilità che il mondo finisca. Il dito preme il pulsante e arriva, come detto, la deflagrazione: prima una luce bianca, l’innesco dell’energia atomica, ma in silenzio, senza rumore, in una stasi assoluta in cui sta avanzando l’ignoto; poi, solo dopo, l’esplosione effettiva e il mostro di fuoco. Nella sua hybris, nel suo porsi al di sopra dell’umano, nel suo farsi Morte in atto, forse la maggiore rappresentazione di una bomba vista sullo schermo.

Poi ci sono le conseguenze. Nella commedia I fisici di Friedrich Dürrenmatt, lo scienzato Möbius scopre la formula per tutte le scoperte, quindi anche per l’olocausto nucleare, e sceglie di fingersi pazzo e farsi rinchiudere per occultare l’approdo nefasto della sua ricerca. Oppenheimer invece, di fatto, non si pente mai, bensì si pone con voce critica, è più combattuto e stratificato, sofferto, quindi viene impallinato dal suo stesso governo con l’accusa di essere comunista. Poi riabilitato, come prevede la recita. E soprattutto, qui sta il punto cinematografico, dopo Hiroshima e Nagasaki comincia a vedere in modo diverso: se prima si figurava la fisica nella sua mente, ora invece assiste alla devastazione. Proprio nella festa del suo trionfo irrompono le immagini di pelle lacerata, visi che si sciolgono, torsi cabonizzati e persone che vomitano: l’immagine stessa del dopobomba. Dalla bellezza dell’atomo all’orrore della bomba, la metamorfosi è prima di tutto grafica. Il peso dell’atomica è una questione di sguardo. Tutto questo viene confezionato in un film di 180 minuti, cucito su Cillian Murphy nel ruolo della vita, sempre più smagrito, emaciato dalla responsabilità. Non c’entra niente Kubrick né Il dottor Stranamore, se non per una banale assonanza di argomento: Oppenheimer è il folle volo di Icaro di Nolan nella tragedia della bomba e verso la fine del mondo. Certo, il racconto di tre ore a volta allenta la presa, specie nel tortuoso apparato dialogico, tra aiutanti e oppositori, non tutto viene messo a fuoco. Ma come le ceneri su Hiroshima, resta attaccata la vertigine abissale che si accompagna all’avvicinarsi della Fine. Viene opportunamente racchiusa nel poema religioso indiano del Bhagavadgita, che Robert legge in sanscrito e ricorda dopo la nascita della bomba, in particolare nei versi di Visnu che assume la forma dalle molte braccia: “Ora sono diventato Morte / Il distruttore dei mondi”.