Featured Image

Nell’erba alta

2019
Titolo Originale:
In the Tall Grass
REGIA:
Vincenzo Natali
CAST:
Laysla De Oliveira (Becky)
Avery Whitted (Cal)
Patrick Wilson (Ross)

Il nostro giudizio

Nell’erba alta è un film del 2019, diretto da Vincenzo Natali.

Dopo Il gioco di Gerald e 1922, Netflix distribuisce un altro film horror tratto da un’opera di Stephen King (scritta insieme al figlio Joe Hill): dal racconto In the tall grass, Vincenzo Natali dirige l’omonima pellicola statunitense, conosciuta in Italia con la traduzione letterale Nell’erba alta; un titolo decisamente azzeccato, visto che quasi tutto il film è ambientato in questo mare verde che ricopre letteralmente le persone . Il regista di Cube – Il cubo, celebre trap-movie seminale del filone, si confronta con il maestro del brivido, e viene spontaneo chiedersi quanto ci sia dell’uno e quanto dell’altro: probabilmente 50 e 50, visto che la trappola agorafobica si sposa con un universo tipicamente kinghiano (le vastissime distese erbose sono figlie di Grano rosso sangue), ma Natali afferma di essersi ispirato anche al giapponese Onibaba, sviluppando il tutto in un loop temporale ad alto livello ansiogeno e perturbante. La storia prende il via con un ragazzo e la sorella incinta in viaggio nella campagna americana: costretti a fermarsi nei pressi di una sinistra chiesa, sentono la voce di un bambino che chiede aiuto dal campo di erba alta. Una volta entrati per soccorrerlo, non riescono più a uscirne e incontrano la famiglia che vi si è persa, il padre Ross (Patrick Wilson), la moglie e il figlio. Tempo dopo, il compagno della ragazza si reca sulle sue tracce e scopre che il tempo e lo spazio non hanno valore in quel campo: tutto sembra legato a una gigantesca pietra con incisioni rupestri.

Dire di più sulla trama è difficile, e non tanto per evitare spoiler, quanto perché tutta la vicenda si sviluppa in un nonsense spazio-temporale dove il passato e il presente, il vicino e il lontano si incrociano. Entriamo in una sorta di nastro di Moebius difficile da raccontare e impossibile da spiegare logicamente, bensì da vedere lasciandosi trasportare in questa dimensione parallela dove il tempo e lo spazio non funzionano come li intendiamo di solito: siamo ai confini della realtà (il riferimento all’omonimo telefilm è voluto), e se vogliamo è un po’ una trasposizione campestre della leggenda del Triangolo delle Bermude e di quanto vedevamo nel finale del terrificante film di Cardona Jr. I personaggi si perdono nel labirinto di erba, muoiono (la regia indugia su cadaveri e animali in putrefazione) e ritornano in un loop temporale destinato probabilmente a non finire mai, attraverso vari piani narrativi che si incrociano ed eventi che si ripetono in varie prospettive. La regia di Natali (specialista del cinema horror, non solo con Cube, ma anche con Splice e Haunter) è abile nel tenere alta la suspense e nel disorientare lo spettatore, senza far capire in che filone del genere ci troviamo: all’inizio pare un trap-movie ambientato all’aperto, poi una ghost-story o un film demoniaco (lo spettrale bambino che compare all’improvviso), un horror folkloristico ed esoterico alla Wicker Man (la chiesa misteriosa, il monolite nero con gli arcani disegni, i riti sacrificali), a tratti addirittura un body-horror (impressionanti gli uomini con la testa di erba e i corpi che compongono una sorta di inferno sotterraneo).

Nell’erba alta è tutto questo, e al contempo travalica i vari filoni per trasformarsi in un vortice di mistero e paura ancestrale. Natali si concede anche qualche raffinatezza stilistica, a cui ben si prestano le suggestive scenografie naturali: inquadrature dall’alto sulla distesa di erba in progressivo zoom (la prima immagine ricorda il labirinto di Shining, giusto per rimanere su King), movimenti di camera eleganti, rotazioni, soggettive e dettagli trasfigurati in modo onirico. All’interno del marasma di Netflix, che offre prodotti delle qualità più disparate, Nell’erba alta è sicuramente un horror affascinante, imprevedibile e foriero di una paura indefinita, ma al contempo manifesta i limiti di un prodotto per la (nuova) televisione che non riesce a competere artisticamente con il cinema: la regia è ispirata, ma penalizzata da una fotografia e da una colonna sonora abbastanza piatte, oltre che da recitazioni stereotipate; non a caso, il cast è piuttosto anonimo e l’unico a spiccare è Patrick Wilson (nel ruolo del folle e crudele Ross), un volto noto dell’horror americano che ricordiamo in Insidious, The Conjuring e rispettivi sequel.