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Easy

2016
Titolo Originale:
Easy
REGIA:
Joe Swanberg
CAST:
Orlando Bloom
Malin Åkerman
Michael Chernus

Il nostro giudizio

Easy è una serie tv del 2016, creata da Joe Swanberg per Netflix

Easy è una commedia corale di otto episodi, quasi sempre autoconclusivi, della durata di circa 30 minuti. Le storie, una per episodio, sono diverse e coinvolgono fratelli, amanti, mariti, mogli e figli. I personaggi spesso ritornano e sono legati tra loro. Gli amanti del cinema indipendente e dell’indie conoscono benissimo Joe Swanberg che – in quanto esponente del mumblecore – lascia ampio margine di libertà ai suoi attori: l’improvvisazione del cast accenna alle emozioni senza mai indagarle. Le interpretazioni sono convincenti, ma mai esasperate, realistiche, ma mai istrioniche o innaturali; tutto inquadrato attraverso le regole del cortometraggio più che della serie tv. Nel cast diverse Guest stars: Orlando Bloom, Dave Franco, Hannibal Buress. La serie è un documentario sulla vita di coppia americana. Le storie non sono storie epiche, comuni sono i personaggi, comuni le vicende. Ogni episodio è un’istantanea di una particolare del quotidiano. Ma la sensazione è che le storie non vengano approfondite: i personaggi si espongono poco, nulla viene realmente affrontato, nessuno si psicanalizza, i personaggi si accontentano di lasciarsi guidare, quasi per inerzia, dagli eventi.

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L’improvvisazione è il vero file rouge di Easy e il fatto che i personaggi dicano quello che vogliono e non sempre e solo ciò che la sceneggiatura fa dire loro o ciò che lo spettatore si aspetta che dicano, crea, a volte, dei buchi nello script: i dialoghi non sono accattivanti, sovente privi di veri contenuti. Questo perché su ogni confronto grava il peso della scelta fra ciò che si deve dire e ciò che va omesso per non compromettere i rapporti. E di fatto, non sono i dialoghi a essere privi di sostanza, sono le emozioni a restare sospese. La genesi della frustrazione è data dall’apertura di innumerevoli domande lasciate senza risposta. Swanberg ha bisogno di concedere spontaneità ai suoi attori e ciò gli assicura che restino fedeli alla stessa natura umana; in tal modo gli episodi non sono mai in debito di lealtà dei confronti della realtà. La stessa ambientazione (Chicago nel caso specifico) ha un ruolo marginale. Easy non è la storia di un gruppo di persone che vive in un posto, è la storia di tutti.

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La serie non indaga, non riflette, è un disegno su foglio bianco del “semplicemente ordinario”. Swanberg vuole mostrarci quanto sia semplice la vita, che la sua straordinarietà risiede nella sua stessa linearità e prevedibilità. Chiunque può immedesimarsi nelle storie che ci racconta: meccanismi, dinamiche ed errori non tramutano con il tempo e non cambiano a seconda dell’appartenenza geografica: “noi siamo tutti, sempre”. Swanberg entra nella mente dello spettatore che da critico amante del genere e delle serie tv, contro la sua volontà, inizia a riconoscersi nelle vesti della dirimpettaia annoiata che trascorre le sue giornate in camicia da notte a osservare e ascoltare le vite dei suoi vicini di casa. Perché seguire Easy? Per la dote del regista di riuscire a dirigere anche l’improvvisazione, per l’assemblaggio del cast, per l’amara consolazione che ne traiamo: “Ognuno è tutti”. Perché no: per la debolezza dello script, per gli auto-concludentisi episodi inconclusi, perché è divertente quanto un anziano ottantenne che, con un cono colorato in testa, trascorre la notte di capodanno fissando un lento, gigantesco pendolo che oscilla tra la noia e la noia.