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3% – Stagione 4

2020
REGIA:
César Charlone, Daina Giannecchini, Dani Libardi, Jotagá Crema
CAST:
João Miguel (Ezequiel)
Bianca Comparato (Michele Santana)
Michel Gomes (Fernando Carvalho)

Il nostro giudizio

3% – Stagione 4 è una serie tv del 2020, ideata da Pedro Aguilera.

In punta di piedi e quasi in sordina, 3%, serie tv scritta da Pedro Aguilera e tratta da una web series brasiliana, figlia della stessa penna, è giunta alla sua quarta e conclusiva stagione, distribuita da Netflix lo scorso 14 agosto. Nel capitolo primo Aguilera ci aveva presentato un mondo, quello delle favelas brasiliane, in cui il 97% della popolazione era destinato a vivere nell’Entroterra e a lottare con carestie, criminalità e sofferenza; l’altro 3%, mediante un Processo (una serie di prove di logica, memoria, psicoattitudinali etc.), a cadenza annuale, aveva la possibilità di accedere al mondo dei privilegiati, dei meritevoli, l’Hoffshore, fatto di agi e abbondanza. La quarta stagione si apre con un grande occhio di bue puntato su Michele, protagonista assoluta anche delle stagioni precedenti, che è riuscita nel suo intento: fornire agli abitanti delle favelas un’alternativa all’Hoffshore, la Conchiglia, un’oasi nel deserto in cui “tutti sono i benvenuti”. A questo punto il mondo è tripartito: da un lato c’è l’Hoffshore, ormai estremamente militarizzato e determinato a sventare la minaccia, che, prevalentemente dal punto di vista ideologico, rappresenta la Conchiglia, quest’ultima a sua volta raccoglie la parte di popolo disillusa, composta per lo più da giovani rivoluzionari che hanno perso ogni fiducia nel Processo e infine c’è l’Entroterra, dilaniato dalla fame, ma ancora religiosamente annodato al Processo. A differenza della prima stagione di 3%, associata spesso ad Hanger Games, questo quarto capitolo si rivela essere un punto d’arrivo inevitabile, figlio di un percorso che ha assistito, non solo alla maturazione dei personaggi, ma alla crescita stessa della serie.

Apprezzabilissima la scelta di non spingere troppo su una scenografia edificata su un’ipotetica realtà futuristica fatta di tecnologie iper-avanzate di cui i mondi del piccolo e del grande schermo sono ormai saturi. Riconosciuta dalla critica anche una sorta di sensato contenimento di sentimentalismi e romanticismi: gli stessi protagonisti, se pur in lotta per una nobile causa, non si rivelano mai amici, appaiono più come soldati che in comune hanno uniformi, spirito di sopravvivenza e strategie di guerra. Quanto alla scrittura le lacune ci sono e la maggior parte di esse sono imputabili alla mancanza di risolutezza dei personaggi e alle loro scelte, in taluni casi, pressoché illogiche e contro-intuitive. Non mancano dissidi e controversie all’interno delle fazioni che accomunano le quattro stagioni e che inducono lo spettatore a non fidarsi mai ciecamente di nessuno dei protagonisti, ma non al punto da condurlo a ritenere la trama intricata e complessa, la scrittura resta lineare e anche abbastanza sempliciotta.  Le riflessioni ruotano attorno all’effettiva equità di un mondo in cui tutti hanno le stesse possibilità di dimostrarsi meritevoli, ma solo i meritevoli hanno tutto. E, soprattutto, siamo davvero in grado di autoregolamentarci? Chi è al potere finisce sempre per abusarne? Il mondo sarà sempre nelle mani di pochi che approfitteranno dell’ignoranza dei molti? Questa la chiave di lettura della maggior parte degli appassionati di 3%, ma forse il vero tema è più celato e offre un quadro che va ben oltre il dibattito tra il bene e il male, tra le impercettibili sfumature dell’essere umano che non ha ancora ben chiara la sua natura e continua insistentemente a domandarsi se la sua indole sia benevola o maligna.

Forse il vero nucleo di questo discutibile, ma efficace lavoro sud americano, è racchiuso da una parola cardine che torna spesso in questo ultimo capitolo: l’illusione. L’illusione che tiene in vita il popolo dell’Entroterra che accetta il suo status senza insorgere, senza metterlo in discussione, per la sola ed unica ragione che è concessa loro la possibilità di riscatto. Un’unica e sola illusione di poter appartenere ad un mondo in cui la vita è degna di essere vissuta e laddove qualcosa dovesse andare storto, non si ha altra possibilità che accettare, stoicamente, la disfatta poiché non meritevoli del successo. E’ la tendenza dell’uomo a non mettere in discussione ciò che viene lui trasmesso e insegnato, è l’esigenza di dover avere dei miti, delle divinità a cui affidarsi e da ringraziare. E’ la storia del mondo, anche di quello che abitiamo in questo istante, che ci costringe a ringraziare per ciò che abbiamo perché c’è chi ha meno di noi e che non ci consente di avere abbastanza fiducia nelle nostre capacità perché se abbiamo poco è dovuto al fatto che non meritiamo di più.  Alla luce di queste riflessioni, contrariamente a quanto sostenuto in precedenza, forse il fatto che Pedro Aguilera non avesse individuato il suo target non è del tutto vero, è più probabile che ce l’abbia avuto fin dal principio: il suo target siamo tutti, tutti noi che necessitiamo di un nuovo umanesimo-rinascimentale.