Made in Russia… ma non troppo!

Quando la fantascienza russa imita quella americana
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Quel gran Maestro di Giorgio De Chirico era solito dire che il vero artista è quello che non si limita solo a copiare, ma bensì colui che ha la faccia tosta di portarsi a casa pure la cornice. E non c’è dubbio che gli eredi di Rasputin ed Ivan il Terribile artisti lo siano sempre stati, soprattutto se si parla di grande e piccolo schermo. Ciò nonostante, complice forse la continua querelle con gli odiati nemici capitalisti a stelle e strisce riguardo a chi avrebbe il missile nucleare più grosso e lungo, da qualche tempo a questa parte i sudditi dello Zar Putin hanno iniziato a sfornare alcune pellicole che, ben lontane dalla straordinaria freschezza e qualità delle produzioni all’ombra della cortina di ferro, si sono spesso rivelate dei plagi più o meno dichiarati di opere, per lo più fantascientifiche, made in USA. Un atteggiamento che, ben al di là della semplice influenza o emulazione, non può che riportarci alla mente i bei tempi andati di quando i loro ormai strettissimi fratelli di sangue e rossa bandiera dagli occhi a mandorla invadevano le nostre belle spiagge a suon di gloriose taroccate come Adadis, Dolce & Banana, Nake e Calvim Klain. E vediamole dunque alcune di queste succose taroccate cinematografiche in salsa russa! Sperando ovviamente che il suscettibile zio Vladimir non se la prenda troppo e decida, così su due piedi, di mandare i suoi Mig e i suoi T-90K a bussare alle porte di Ventimiglia.

Guardians – Il risveglio dei guardiani (Sarik Andreasyan, 2017)

1

Chi l’ha detto che solo i seguaci dello Zio Sam debbano avere i loro X-Men? Pare infatti che anche la tosta Madre Russia abbia bisogno di un gruppetto di folli supereroi, geneticamente creati in laboratorio durante la spietata era sovietica, da sguinzagliare in lungo e in largo come una novella Suicide Squad al ritmo della balalaika contro gli spietati sovrumani nemici della fu falcemartellata Patria. E così i nostri mutanti e variegati super amiconi – il temibile uomo-orso Arsus, il velocissimo Flash sovietico Khan, il pietraio assassino Ler e la donna subacquea invisibile Xenia – dovranno difendere la sacra terra di Piero il Grande dalle angherie del loro stesso creatore. Mancano giusto all’appello qualche canino aguzzo e un po’ di aderenti tutine in latex e il crossover con Underwolrd è bel che servito.

Mission Mars (Aleksandr Kulikov, 2018)

2

La corsa al Pianeta Rosso non è ancora ufficialmente iniziata e già sembra di essere ripiombati in pieno clima da Guerra Fredda, stavolta però con i nostri amici della steppa in evidente complesso d’inferiorità. E così, mentre il buon Ridley Scott si divertiva a lasciare tutto solo soletto il povero Matt Damon fra le brulle lande marziane con il suo The Martian, dall’altra parte del mondo il collega Kulikov ben pensava di far più o meno lo stesso con il compagno cosmonauta Chapayev, costretto a vedersela con le mille difficoltà di una vacanza forzata a 254 milioni di chilometri dalla Terra e un comando operativo non particolarmente sgamato. Inutile dire come, titolo compreso, analogia e strizzate d’occhio si sprechino come i chicchi di riso a un matrimonio, eccezion fatta che per un epilogo che, questo sì, nella sua assurda originale bislaccaggine probabilmente non sarebbe balenato in mente al caro Ridley nemmeno sotto peyote.

The Blackout: Invasion Earth (Egor Gennad’evič Baranov, 2019)

3

I brutti, feroci e cattivissimi alieni sono finalmente giunti fra noi, staccando la spina a tutto il terracqueo globo tranne, ovviamente, alla fidatissima Bielorussia e ad una piccola area nei pressi dell’amata Mosca, dove un plotone di baldi slavi soldatini fedeli allo zar Putin si preparano a combattere una battaglia all’ultimo sangue contro misteriosi invasori from outer space. E quando infine la World Invasion si scatena in tutta la sua potenza, con i mastodontici dischi volanti a fare slalom fra i vari Skyline della capitale russa, ecco che la fiera Battleship in falce e martello dispiega tutto il proprio muscoloso arsenale per ricacciare i capitalisti extraterrestri oltre la ferrea cortina, alla facciaccia dello zio Sam e di tutti gli amichetti di merende del Patto Atlantico. Ogni riferimento a fatti, film o persone è, ovviamente, del tutto casuale. O no?

Koma (Nikita Argunov, 2019)

4

Ok, di Nolan ce n’è uno e uno solo. Ma anche uno come Argunov, plagi a parte, ha dimostrato di avere del fegato. Almeno sul grande schermo. Si perché ci vuole davvero un gran coraggio e una discreta faccia tosta a tirare in ballo un Inception in salsa russa e riuscire a portare a casa pure una discreta sommetta al patrio botteghino senza vedersi i teatri di posa invasi da squadre di Marines armati di tutto punto e incacchiati come bisce. Stavolta infatti non si tratta del regno dei sogni nel quale Leonardo Di Caprio e Marion Cotillard consumavano il loro perduto amore fra un innesto onirico e l’altro ma bensì una sorta di limbo surrealista nel quale lo smemorato architetto Viktor si ritrova intrappolato assieme a milioni di altre vittime di traumi cerebrali. Un universo visionario che pare uscito dalla mente sotto acido di un Salvador Dalì, nel quale, attraverso un patchwork di reminiscenze, i nostri eroi dovranno cercare il mondo per uscire da questo videoludico casotto prima di finire in manette per violazione del copyright.

Superdeep (Arseny Syuhin, 2020)

5

Pese che vai, Cosa che trovi. Si perché, se ai bei tempi di Carpenter il male extraterrestre albergava fra le quattro fredde mura di una stazione metereologica sperduta fra i ghiacci dell’Antartide, a soli due anni di distanza sembra che un male pressoché identico, anche se forse non proprio così alieno, si celasse nelle temibili profondità del pozzo di trivellazione di Kola, dal quale, secondo una ben nota leggenda metropolitana, strani rumori e misteriose spore parassite sembrerebbero fuoriuscire senza alcun ritegno. Appena arrivata sul luogo del misfatto, infatti, la giovane epidemiologa Anna non solo avrà la possibilità di assistere dal vivo a un vero e proprio plagio dell’incipit del carpenteriano cult del 1982, ma inoltrandosi ulteriormente nelle viscere della gelata terra avrà ancor più viva la sensazione di essere piombata in un vero e proprio cosplay di Alien, con tanto di pericolo infettivo in agguato dietro ogni pertugio e pronto a tornare allegramente in superficie con la complicità del calore corporeo del proprio tutt’altro che ignaro ospite. D’altronde si sa: in Guerra, soprattutto in quella Fredda, lo spionaggio – cinematografico ancor prima che industriale – è sempre stata l’arma vincente.

Cosmoball (Dzhanik Fayziev, 2020)

6

Chi si ricorda di Galactik Football? Ma si, dai: quella folle serie animata francese d’inizio anni Duemila in cui il beneamato campionato di calcio di svolgeva, pensa un po’, addirittura nello spazio. Un’idea bislacca che, chissà perché e percome, gli amici americani non hanno mai voluto portare fra i quattro lati di schermo, lasciando dunque campo libero alla micidiale Armata Rossa che, a quasi vent’anni di distanza e senza chiedere nemmeno per favore, ha messo in piedi un’allegra, coloratissima e caciaronissima baracconata in cui la salvezza dell’intero genere umano dipende, per l’appunto, da una squadretta di cinque  giovani russi intenti a dare quattro ipersonici calci a un super tecno pallone in un astro-stadio sospeso nella stratosfera, il cui eterogeneo pubblico alieno pare uscito direttamente dal gran raduno delle sbracate divinità dell’Omnipotence City di Thor: Love and Tunder. Non solo gli yankee, dunque, ma anche i loro fidi alleati al profumo di baguette dovrebbero star più attenti a chiudere per bene la porta di casa, dato che, come si dice in questi casi: “l’occasione fa il soviet ladro”.

Project Gemini (Serik Beiseuov, Vyacheslav Lisnevskiy, 2022)

7

A tutti piace immaginare che la nostra incasinatissima specie umana sia il frutto di qualche suprema intelligenza extra planetaria venuta a spandere il proprio seme su questa nostra piccola Terra nella lontana notte dei tempi. Un seme che, come ben sanno i nostri amici leader mondiali nell’esportazione del caviale, non sempre porta con sé gradite sorprese. Soprattutto se il kubrickiano uovo-sfera alieno che ti sei portato dietro nella tua astronave – sbucata non si sa bene dove nel mezzo del freddo Universo a causa di un non meglio identificato Cloverfield Paradox –  con l’intento di raggiungere un nuovo sistema solare che possa ospitare un’umanità ormai sull’orlo dell’estinzione si rivela per quello che è: la cuccia di un pericolosissimo tecno-parassita extraterrestre – a metà strada fra il rasta Predator di Shane Black e un classico xenomorfo di rambaldiana memoria – mandato eoni or sono dalla nostre parti da misteriosi Architetti per preparare loro un ambiente ospitale ma in seguito involontariamente responsabile della nascita di quel tumore maligno chiamato uomo. Ed è contro questi cattivoni che i nostri compagni cosmonauti dovranno combattere in questo Prometeus all’ombra del Cremlino, tentando di mascherare quanto più possibile dietro alle tempeste di sabbia e i bui corridoi il furto senza ritegno di intere sequenze da sotto il naso del povero Scott.