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Madame Claude

2021
REGIA:
Sylvie Verheyde
CAST:
Karole Rocher (Fernande Grudet
alias Madame Claude)
Garance Marillier (Sidonie)

Il nostro giudizio

Madame Claude è un film del 2021, diretto da Sylvie Verheyde.

Fresco di distribuzione su Netflix, arriva Madame Claude, il controverso biopic della regista Sylvie Verheyde sulla celebre maitresse Fernande Grudet, morta nel 2015 a 92 anni e qua interpretata da Karole Rocher. E chi, se non una francese, poteva rimestare meglio nel torbido di uno tra i personaggi più discussi ed eclatanti della Francia moderna? I fatti, in sintesi, sono questi, che formano poi in sostanza la trama. La Grudet, più conosciuta come “Madame Claude”, a partire dagli anni Sessanta ha costruito a Parigi un impero economico come maitresse di un vastissimo giro di prostituzione: squillo di lusso che spesso avevano come clienti – anzi, come “amici”, vengono chiamati nel film – personaggi insospettabili, fra politici, alti funzionari e celebrità varie. E la storia non finisce qui, poiché la Grudet, che per circa vent’anni ha gestito una rete di 500 donne, aveva un vastissimo giro di conoscenze nella malavita e nella polizia, che la proteggeva in cambio delle confidenze raccolte dalle ragazze, ed è stata poi reclutata dai servizi segreti per intrappolare uomini intoccabili. Dopo essere stata una delle donne più potenti del Paese, è diventata sempre più scomoda e ha conosciuto man mano il suo declino, fino alla fuga negli States e al carcere. Come si diceva, la storia del film – scritta dalla stessa regista – ripercorre abbastanza fedelmente i fatti storici, nonostante una didascalia iniziale affermi di ispirarsi alla “vita immaginaria” di Madame Claude. Dove però quell’aggettivo, “immaginaria”, è da riferirsi presumibilmente più al carattere quasi fantasmatico e leggendario del personaggio, avvolto nel mistero, una donna sulla bocca di tutti ma che in pochi potevano conoscere – almeno così è descritta nel nostro film.

Il personaggio di Madame Claude era stato già trasposto al cinema nel 1977 con l’omonimo film di Just Jaeckin (quello di Histoire d’O), interpretato da Françoise Fabian, tanto diverso però nello stile e nell’impostazione – concedeva più spazio all’erotismo, ed era quasi un instant-movie, diretto cioè quando la maitresse era ancora nel pieno della sua attività. Il Madame Claude della Verheyde è invece sospeso fra diverse anime, una più marcatamente biografica, una erotica, e una da crime-story: in certi momenti, sembra di vedere un noir dove le pallottole sono sostituite dal potere della vagina. La regista sceglie come protagonista nei panni della Grudet un’attrice già presente in vari suoi film, tale Karole Rocher, non famosa a livello internazionale ma con un buon curriculum in Francia: bella presenza e volto austero, un po’ alla Faye Dunaway, dà vita magnificamente a questo controverso personaggio, autoritario e potente – una “regina delle puttane”, come la sentiamo definirsi nella vicenda – che non concede spazio all’amore e paradossalmente è quasi una figura asessuata. Attorno a lei ruota uno stuolo di splendide ragazze, selezionate in veri e propri colloqui di lavoro, fra le quali primeggia Sidonie (Garance Marillier, quella di Raw), la sua prediletta, con la quale sembra instaurarsi una sorta di legame omosessuale destinato però a non esplodere. Le attrici si esibiscono di frequente a seno nudo, e non mancano scene di amplesso molto carnali ed animalesche – una su tutte, il ménage à trois fra il malavitoso Jo (Roschdy Zem, visto in vari polar) e due ragazze, illuminato da luci primarie, ma anche varie sessioni sadomaso; né si può dire che la regia lesini sui discorsi inerenti la sessualità – pensiamo alla scena in cui la Rocher insegna l’igiene intima a una nuova assunta, lavandole la vagina con la mano, o ai discorsi sul pompino e lo sperma, o ancora a Sidonie definita da Madame Claude una “virtuosa della figa”.

Forse la Verheyde avrebbe potuto e dovuto calcare di più la mano nelle scene erotiche – poiché, in fondo, è di scopate che si parla – ma probabilmente si tratta di una scelta poetica dell’autrice, che impronta il film più sul carattere biografico e noir. Il sesso e la prostituzione sono descritti come fonte di potere, e non mancano precisi riferimenti storici: Pompidou, l’affaire Markovic (la guardia del corpo di Alain Delon ucciso nel 1968, e motore di un intrigo politico mai chiarito), sul quale la donna probabilmente sapeva molto, e Giscard d’Estaing. Il tutto è narrato con uno stile frenetico e iperbolico quasi scorsesiano – pensiamo a The Wolf of Wall Street – con il montaggio ritmato, gli anni che appaiono man mano in sovraimpressione e la voice-over che accompagna la vicenda; al tutto, fa da sostegno un’accurata ricostruzione storica di costumi, luci e musiche pop-rock, fra gli eleganti appartamenti della Grudet e i night-club. La regia è particolarmente ispirata, e lo si vede dalla costruzione minuziosa delle scene, dalla fotografia curata e da raffinatezze come il montaggio alternato fra le situazioni più disparate, anche se la narrazione troppo sincopata a volte non favorisce la comprensione. Sono poi citati personaggi che avrebbero frequentato le donne di Madame Claude, come Marlon Brando e addirittura Kennedy, e per voce della maitresse apprendiamo che molte delle sue ragazze sono diventate cantanti, attrici e addirittura principesse. Sarà vero? Poco importa, perché il forte impatto emotivo del film sta proprio in questo connubio indissolubile fra realtà storica e invenzioni romanzesche.