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El practicante

2020
REGIA:
Carles Torras
CAST:
Mario Casas (Ángel Hernández)
Déborah François (Vanesa François)
Celso Bugallo (Vicente)

Il nostro giudizio

El practicante è un film del 2020, diretto da Carles Torras.

Chissà perché la scelta di tenere il titolo originale? Misteri del marketing. Rimarcando l’origine spagnola di questa storia tutto sommato universale, non è una pista percorribile, in sede di analisi, ma lasciamo stare questo dettaglio perché El practicante merita. Ángel (Mario Casas) è un paramedico, vive con una bella ragazza francese di nome Vane (Déborah François) e con lei sta cercando di avere un figlio. C’è qualcosa che però non torna nel suo comportamento, lo si vede subito. Lo notiamo nonostante il film passi da un incidente stradale a una scena di sesso spinto nel disperato tentativo di tenere desto il nostro interesse viziato da perenni stimoli. Ángel non è una bella persona. Ruba ai feriti che soccorre in strada o in casa, ha un atteggiamento paranoide verso la compagna e soprattutto manifesta un’attitudine poco entusiasta nei confronti del mondo. È il tipo che davanti a un bambino in fasce non sorride e se il cane del vicino abbaia spesso, pensa bene di toglierlo di mezzo con una braciola truccata. Nel fitto della carcassa di quest’uomo probabilmente manca qualcosa di genuino e la prova è questa: nel momento in cui perde l’uso delle gambe, tranne un pianto rabbioso in doccia, non cambia nulla a guardarlo. Continua a fissare Vane con sospetto e il suo volto resta duro e diffidente verso chiunque, solo che ora ha più motivi per essere cattivo e paranoico.

Ángel non è semplicemente un uomo geloso caduto in una condizione di estrema fragilità mascolina, lui è mosso da un bisogno rabbioso di prendere dal mondo quello che gli spetta. Anche prima della paralisi, i suoi riguardi nei confronti di Vane sono forzati. La scopa come fosse una puttana, la guarda senza un briciolo di ardore. Non si sa quando in quest’uomo sia morto quello che dentro tutti noi suscita il riso e la gioia, ma di sicuro la sua insicurezza lo rende ancora più sordo alle necessità della sua compagna, le cui parole riesce a sentire davvero solo quando la spia al telefono con un’amica, mentre lei parla del proprio dolore e incertezze sul futuro con lei e non lui. Il bisogno di trattenerla è la sua priorità, quindi. Non si capisce quanto nasca dall’amore per lei e quanto muoia nel suo desiderio di vendetta verso il mondo che già odiava. La vita gli ha tolto le gambe e allora lui vuole ridurre i movimenti a Vane. La malattia finisce per spogliarlo di tutto quello che aveva ma al contrario di ciò che avviene nel cinema tradizionale, dove un trauma così destabilizzante finisce per cambiare in meglio l’animo di una persona, Ángel peggiora, sprofonda in un risentimento che finisce per trasformarlo in una bomba a orologeria.

El practicante è una storia dura, spietata, gestita bene da Carles Torras, che oltre a dirigerlo, ha anche ideato e co-sceneggiato il film. Per certi versi, escludendo un eventuale sotto-testo politico, ricorda il cinema crudele e disperato del suo connazionale Eloy De La Iglesia. Dovremmo provare pietà per un paraplegico sfigato come Ángel, la sua ragazza forse lo tradiva da molto, e con Ricardo (Guillermo Pfening), l’uomo che era alla guida dell’ambulanza durante l’incidente che gli è costato le gambe. Dovremmo essere mossi dal desiderio di vendetta che cova in lui, ma c’è qualcosa di non-umano in Ángel, qualche deficit che ce lo rende antipatico pure su una sedia a rotelle e mazziato. Sappiamo che può distruggere l’amore di Vane e Ricardo, che lei ha fatto bene a fuggire da lui, ma non è così semplice scappare dai propri sensi di colpa e ciò che Ángel riesce a fare è trascinarla nel suo delirio, capovolgendo la classica situazione alla Baby Jane/Misery. In El practicante il menomato diventa seviziatore-carceriere e la povera ragazza deambulante è la vittima imprigionata nella sua fortezza/appartamento.