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365 giorni

2020
Titolo Originale:
365 Dni
REGIA:
Barbara Białowąs, Tomasz Mandes
CAST:
Anna-Maria Sieklucka (Laura Biel)
Michele Morrone (Don Massimo Torricelli)
Bronisław Wrocławski (Mario)

Il nostro giudizio

365 giorni è un film del 2020, diretto da Barbara Białowąs e Tomasz Mandes.

Un successo ingiustificato. E per scoraggiare, chi non lo avesse ancora fatto, a cadere nella tentazione di vedere 365 giorni, ne sveliamo subito il finale. Convinti di fare, prima ancora che un commento critico, un’opera di bene. Infatti, il film polacco, diretto dalla coppia di registi Barbara Bialowas e Tomasz Mandes e distribuito su Netflix, che lo promuove con le triade “nudità, violenza e sesso”, trasmette erotismo pari a zero, annoia e assolve al solo compito di far presagire delle prossime puntate. Andiamo per ordine. Dicevamo il finale: basteranno 365 giorni a Massimo, boss malavitoso, palestrato e siciliano (Michele Morrone, al cinema e in tv in I Medici e Sirene), a far innamorare Laura (Anna Maria Sieklucka), la bella ragazza polacca che ha rapito? No, sarà sufficiente più o meno una settimana. Purtroppo, il destino a loro avverso farà finire la protagonista vittima di un agguato, senza aver avuto il tempo di confidare a Massimo di essere incinta di suo figlio. In una delle scene conclusive, vediamo la macchina su cui viaggia Laura inghiottita in un tunnel oscuro. La donna ne uscirà viva o morta? In qualsiasi caso, le acrobazie erotiche, di cui 365 giorni è infarcito, non si concluderanno in quel buco. Ci saranno, è dato per certo, altri due film a completare la trilogia. Detto ciò, proviamo a fare più che altro un’autopsia di quel poco che ci resta da analizzare del film. La trama è il pedissequo adattamento del romanzo omonimo, scritto da Blanka Lipińska, a cui è fedelmente ispirato, copiato e incollato. Nel bel mezzo di un incontro tra la famiglia mafiosa Torricelli e un gruppo malavitoso invischiato nella sfruttamento degli immigrati, il padre di Massimo, a capo della cosca siciliana, viene assassinato e lo scettro passa di diritto al figlio.

Cinque anni dopo, ritroviamo il ragazzo, che gestisce gli affari in ogni angolo del mondo, a San Francisco per discutere di un importante investimento con le maniere di un pericoloso malavitoso, capace di ricattare i vertici di un mega istituto bancario per ottenere quello che pretende. Parallelamente alla sua attività criminosa, don Massimo sente crescere una passione sempre più opprimente nei confronti di Laura Biel, direttrice delle vendite di un hotel di lusso di origini polacche, il cui volto lo tormenta dal giorno dell’agguato in cui perse la vita il padre e lui rimase ferito. Una sorta di angelo erotico che lui decide di trovare ricercandola ovunque. Massimo e Laura sono speculari. Lo suggerisce, senza troppi misteri, una delle prime sequenze: lui, in volo sul jet privato, rischia di soffocare con il suo membro la hostess e lei, parallelamente, si masturba a colpi di vibratore nel buio di una camera dopo essere stata rifiutata dal suo fidanzato polacco, un energumeno in canottiera con cui sta attraversando un periodo di crisi. Quando Laura si trova in vacanza in Italia, Massimo decide di rapirla e tenerla segregata all’interno del suo Castello a Catania con vista sull’Etna. Se la ragazza entro il passare di un anno non si sarà innamorata di lui potrà riottenere la sua libertà. Il tutto giocato sull’improbabile ricerca di un erotismo che, semplicemente, non c’è. Perché manca nei corpi, nelle azioni e nello sguardo dei protagonisti. Le scene non sono credibili neanche quando scivolano su performance degne di pornhub. Al massimo o al minimo, dipende dai punti di vista, di erotico, molto erotico, appare un qualcosa che poi scompare: l’attesa, la provocazione e la reazione che sembrano scaturire durante il subdolo gioco psicologico tra i due protagonisti sfidanti (lui che reprime il desiderio e l’arroganza perché sia la donna a desiderarlo e a concedersi, e lei, la vera stronza, che lo provoca com’è nella sua natura di abile seduttrice).

La regia attinge, come può, dai grandi titoli del panorama cinematografico internazionale. Prima di tutto da Il Padrino diretto da Francis Ford Coppola: il nostro Massimo è, però, solo la versione alla Fabrizio Corona di Michael Corleone (Al Pacino). Non manca neanche la figura dell’avvocato consigliere, Mario (Bronislaw Wroclawski) una rozza copia di Tom Hagen (Robert Duvall). Passiamo a Titanic, diretto da James Cameron, con Massimo e Laura innamorati che si abbracciano come Jack (Leonardo Di Caprio) e Kate (Rose DeWitt Bukater) sulla prua del panfilo di lui che, non ha caso, si chiama Titanic. Poi La bella e la bestia diretto da Bill Condon, quando Massimo fa il tenerone e chiede alla sua bella che chiama con il vezzeggiativo di bambolina: “Insegnami ad essere gentile”. Invece, si tratta di una scop(i)azzata degna di un plagio la scena in cui massimo penetra Laura spiaccicandola alla grande finestra di un lussuoso appartamento con vista su Varsavia e che vorrebbe, ma non riesce, eguagliare l’analoga performance di Brandon (Michael Fassbender) in Shame diretto da Steve McQueen. Andando avanti, le abbondanti fellatio, le manette e le violenze di 365 giorni mirerebbero, forse, a 50 sfumature di grigio diretto da Sam Taylor-Johnson? Se così fosse, questa volta riconosciamo il merito, se di merito si tratta, a Massimo e Laura di pareggiare con Christian (Jamie Dorna) e Anastasia (Dakota Johnson). In estrema sintesi, in questa percorso alla ricerca di quel senso che non c’è, ci viene in aiuto Roland Barthes: «La carne non è oscena, ci vuole solo molta poesia per raccontarla».