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Yellowstone

2018
REGIA:
Taylor Sheridan, Stephen Kay, Ed Bianchi, John Dahl, Ben Richardson
CAST:
Kevin Costner (John Dutton)
Luke Grimes (Kayce Dutton)
Kelly Reilly (Beth Dutton)

Il nostro giudizio

Yellowstone è una serie tv del 2018, ideata da Taylor Sheridan e John Linson.

Taylor Sheridan è uno degli autori cinematografici più acclamati degli ultimi anni: dopo Sicario, ha scritto i pluripremiati thriller Hell or High Water e I segreti di Wind River, che avevano guardato nell’entroterra americano degli umiliati e insultati, nelle riserve indiane abbandonate. Le aspettative erano quindi alte quando si è appreso che Sheridan stava elaborando una serie drammatica neo-western scritta da lui: dieci episodi per la tv via cavo Paramount Network. La scelta di Kevin Costner come attore principale e forza trainante non è stata casuale e risulta vincente: nessuno meglio di lui può essere considerato emblema  della rinascita del genere western affondato da tempo. Dai suoi lavori come regista in Balla coi lupi e Terra di confine fino all’acclamata miniserie Hatfields & McCoys del 2012, il californiano ha maturato una certa esperienza. Il ranch in cui John Dutton (Costner) risiede, centro della narrazione, si trova nel Montana, vicino alla città di Bozeman: un gigantesco  regno quasi separato dal resto del mondo, di proprietà della famiglia Dutton dal tempo in cui i coloni hanno sottratto agli indigeni le loro terre. E anche se la storia è ambientata nei nostri giorni, ora come allora i latifondi sono assediati da tutte le parti: imprenditori edilizi, indiani, politici, ufficiali di polizia: il patriarca Dutton non trova pace. Costner lo interpreta  in modo così cupo e arrabbiato che è difficile provare qualsiasi tipo di simpatia per lui: è un tipo dominante, ma anche un uomo distrutto.  La moglie Evelyn è morta anni fa, ora ha con lui solo il secondo figlio Lee (Dave Annable di Brothers & Sisters), il quale manca di capacità di leadership e si rivela un partner poco efficace nella gestione del ranch. Ma Dutton ha altri tre figli: i due più grandi, Beth e Jamie, hanno voltato le spalle al ranch, con disappunto del padre, per vivere in città: Beth (Kelly Reilly di Britannia) viene presentata come un banchiere ultra-duro, Jamie (Wes Bentley di American Horror Story) lavora come avvocato, facendo valere i diritti della famiglia.

Il figlio più giovane di Dutton, il sussurratore di cavalli Kayce (Luke Grimes della trilogia Cinquanta sfumature di grigio), ha fatto invece un torto ancora maggiore alla sua famiglia sposando l’indiana Monica (Kelsey Asbille de I Segreti di Wind River), con la quale ha un figlio: loro vivono nell’adiacente riserva indiana “Broken Rock”. Kayce, che è ancora nel ranch con una gamba e ha messo radici nella riserva indiana con l’altra, è nel mezzo di un conflitto centrale, mentre suo padre si sente costantemente minacciato dai nuovi arrivati ​​”dalla città”: il grasso Dan Jenkins (Danny Houston) dell’impresa”Paradise Valley” che mette il ranch in pericolo con progetti edilizi molto espansionistici e poco ecologici, e i nativi americani di “Broken Rock”, con i quali si imbatte in sanguinose discussioni. In particolare con Thomas Rainwater (Gil Birmingham), il nuovo capo arrogante della riserva indiana, proprietario di un casinò e impegnato nel tentativo di sottrarre terreni alla immensa tenuta Dutton. Oltre che sulle implicazioni criminologiche, il focus della narrazione è sulle relazioni che si intrecciano nel ranch,  popolato da ogni sorta di cowboy e schiavi come Rip Wheeler (Cole Hauser di 2 Fast 2 Furious ), vero braccio destro e uomo di fiducia di Dutton senior, nonché occasionale compagno di letto di Beth, che marchia a fuoco con una “Y” gigante i nuovi schiavi in versione western, avanzi di galera scelti proprio per i loro “curriculum”.

La serie supera le premesse di realizzare un quadro autentico delle condizioni nel Midwest americano: da un lato va in direzione di una soap opera alla “Dallas”, dall’altro in quella di un cinema di violenza eccessiva in cui ogni personaggio deve sempre dimostrare la propria forza, il che difficilmente ce li fa amare. Ad eccezione forse di Kayce, che però piace di più nelle vesti di amico dei cavalli selvaggi che non in quelle del soldato d’élite. Sheridan è noto per la sua sillabazione intelligente e disadatta della mascolinità di oggi, ma in Yellowstone a volte ci si sente come in un vecchio Blockbuster con Steven Seagal: si vedono costantemente ragazzi virili che lanciano significative frasi che spingono l’etica del western infallibilmente nel kitsch. Questo viaggio nel testosterone appare anche stranamente ininterrotto e pretenzioso, proposto con la sua sacrosanta serietà, interpretato da figure unidimensionali. Non c’è quasi alcun umorismo, una cupa impotenza pervade il racconto, che è sicuramente molto a fuoco e ben narrato. È un po ‘un peccato, perché esteticamente la serie ha molti pregi: le scene all’aperto del cameraman di I segreti di Wind River  Ben Richardson, gli spettacolari giri in elicottero sulla sterile prateria, quasi troppo belli per il piccolo schermo. Yellowstone non dovrebbe comunque essere scartato: come scrittore e regista Sheridan mantiene anche qui un livello alto e, seppur tra qualche apparente oleografia di troppo, riesce a declinare un racconto importante, che delude un po’ nel finale, ma forse proprio perché in realtà un finale non è.