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22 luglio

2018
Titolo Originale:
22 July
REGIA:
Paul Greengrass
CAST:
Anders Danielsen Lie (Anders Behring Breivik) Jonas Strand Gravli

Il nostro giudizio

22 Luglio è un film del 2018, diretto da Paul Greengrass

Fa caso vedere, in 22 luglio, che anche uno spietato terrorista, in procinto di far fuori decine di persone a sangue freddo, abbia una mamma che si preoccupa e che prova a tenerlo sott’occhio. Breivik esce di casa armato fino ai denti ma in punta di piedi, chiudendo la porta piano, come se quello che sta facendo abbia, nelle dinamiche madre-figlio, le stesse caratteristiche di una marachella qualsiasi. Lui invia una mail con la dichiarazione d’indipendenza dell’Europa e poi sgattaiola via da casa come un qualsiasi furbetto che fa sega a scuola. E più tardi, quando è avvenuta l’esplosione, dal cellulare gli arriva la chiamata “Mother”, che lui ignora perché sta andando a spappolare decine di crani sull’isola di Utoya e non ha tempo di inventare balle per non far stare sua mamma in pensiero.

Il difetto lampante di 22 luglio è l’eccessiva aderenza ai fatti e uno sguardo di superficie, medio. Breivik è lì, oscuro, incomprensibile e inaccettabile, il male puro; la compassione non è per lui, ovviamente. Alla fine però noi ne sappiamo quanto prima. I film dovrebbero aiutarci a “vedere” più a fondo la realtà e nel film di Paul Greengrass, questo non avviene. L’avvocato Lippestad (Jon Øigarden) prova a sondare il mistero della mente del mostro, deve conoscerne il lato più umano e fragile, se vuole difenderlo bene, ma interrogando la madre e gli psicologi non trova nulla di nulla. Così come un mistero resta la madre di Breivik: passiva, pronta a mollare il figlio per paura di raccontare del proprio passato e nonostante questo, un po’ di ragione per ciò che ha fatto, lei gliela concede. Sappiamo già cosa è successo davvero, l’abbiamo immaginato nella nostra testa dopo i racconti dei giornalisti. 22 luglio ha però un approccio classicistico: sfocia dal thriller al procedural, passando per l’horror, senza mai prendere davvero per le palle i fatti e liberarli dai filtri narrativi canonici, così da poter magari raccontarli in una prospettiva un po’ arricchente. Per dire: l’approdo del terrorista sull’isola ha le valenze di uno slasher canadese. E i cuccioli progressisti, allevati in questo campeggio, talmente lieto e armonioso che neanche una succursale dei papa boys, è rappresentato così a zucchero e cannella da risultare quasi detestabile, e noi spettatori, anziché inorridire per gli omicidi, scivoliamo nella logica anti-patica del body count anni 80. Ci vorranno circa altri 80 minuti per iniziare a parteggiare per i sopravvissuti.

Forse in 22 luglio era meglio sottrarre o deviare dai fatti per tornarci in picchiata dall’alto, come per esempio in Elephant di Gus Van Sant. Gli attentati coprono circa la prima mezz’ora. Ce n’era abbastanza per un film intero e invece gli autori hanno pensato di raccontare tutto il resto, senza immergersi nel lago di pece della natura umana ma solo sorvolandolo.
Durante il viaggio di Breivik fino all’isola, lui usa un navigatore. Chiaramente è la tecnologia che ha permesso a un ragazzo esaltato di mettere in ginocchio un paese. Ha acquistato 900 kg di fertilizzante e nitrato di allumio su Ebay e Amazon. E le autorità non se ne sono accorte perché concentrate sui carrelli degli islamici. Ha nutrito la sua convinzione di potersi mettere in mostra grazie ai social. Ha usato la mail per comunicare “al mondo” dei quotidiani e della politica la sua dichiarazione. Ha messo in PDF un “manifesto” di 1500 pagine (che il pubblico avrebbe dovuto leggere per capire il suo gesto!).