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Umma

2022
Titolo Originale:
Umma
REGIA:
Iris K. Shim
CAST:
Sandra Oh (Amanda)
Fivel Stewart (Chris)
Dermot Mulroney (Danny)

Il nostro giudizio

Umma è un film del 2022, diretto da Iris K. Shin.

Se c’è una cosa che il cinema horror ci ha insegnato nel corso della sua lunga e avventurosa storia è che delle madri, vive o morte che siano, non è mai bene fidarsi troppo. Certo, la mamma è pur sempre la mamma e, come si sul dire, di mamma ce n’è una e una sola. Ma se per disgrazia proprio la tua si rivela una sadica sciroccata intenzionata a dannarti letteralmente l’anima anche dopo aver solcato la porta dell’Aldilà beh, diciamo pure che ogni residuo di amore filiale può andare allegramente a farsi benedire. Ed è appunto da queste premesse che prende forma l’ossatura di Umma, onesto horrorino dal sapore sovrannaturale senza particolare infamia né lode firmato dall’esordiente Iris K. Shin e foraggiato nientemeno che da André Øvredal e Sam Raimi in persona, quest’ultimo notoriamente non certo una garanzia di qualità quando si tratta di prestare il proprio nome e i propri capitali per sostenere progetti altrui. E nonostante anche stavolta non si possa certo gridare al miracolo, il pazzo cineasta di Royal Oak pare finalmente aver intercettato un prodotto quantomeno onesto e decoroso, infarcito dei molti inevitabili cliché delle ghost stories postmoderne ma tuttavia capace di usare l’esca del genere per tematizzare i cupi e perturbanti legami affettivi che regolano le complesse relazioni familiari.  E come si può ben intuire da un titolo come Umma anche qui, ancora una volta, è proprio la madre la vera e unica protagonista della narrazione. Quella stessa Madre che, dal folgorante Hereditary al più recente e introspettivo Martyrs Lane, pare aver inaugurato un nuovo interessante filone dell’horror contemporaneo, trasformando la figura della rassicurante dispensatrice di vita in un temibile corpo estraneo che, tanto nelle follie masochiste della Sarah Paulson di Run quanto nella vendetta ultramondana della Mamie Gummer di Separation, sembra ossessivamente decisa a non voler recidere per nulla al mondo il sacro cordone ombelicale che ancora la lega, in vita e in morte, al frutto del proprio ventre.

Una madre ferina, spietata e vendicativa insomma. Quella stessa Umma da cui a suo tempo la povera Amanda (Sandrah Oh) decise di prendere le distanze per costruirsi una nuova vita nella tranquilla e remota campagna americana assieme alla figlioletta Chris (Fivel Stewart), lontana da quella famigerata elettricità con la quale la sadica genitrice era solita torturarla fin dalla più tenera età. Una vita di solitudine e di assoluta frugalità, scandita dal rilassante rituale dell’apicoltura e dalle sporadiche visite dell’amico Danny (Dermot Mulronet), unico forestiero ben accetto all’interno di questo blindatissimo microcosmo familiare dal quale ogni più elementare forma di modernità e apertura al mondo sono state completamente bandite. Ma ecco che la sonnolenta e riservatissima routine delle nostre due protagoniste viene improvvisamente sconvolta dall’annuncio della dipartita della fu tirannica matrigna, le cui ceneri e i pochi averi – tra cui un’inquietante maschera di porcellana e una preziosa tunica rituale – vengono recapitati in un misterioso baule direttamente dalla lontana natia Corea. Da quel momento strani e terribili eventi iniziano ad accadere fra le scricchiolanti mura dell’isolata fattoria, convincendo sempre più la terrorizzata Amanda che lo spirito inquieto della defunta madre si stia progressivamente impossessando di lei, in modo da perpetrare alla povera Chris le medesime ossessioni e brutalità di cui lei stessa porta ancora su di sé le profonde cicatrici.

Non fosse che per un impianto marcatamente orrorifico che guarda con forse eccessivo compiacimento all’ormai rarefatta tradizione delle ghost stories del Sol Levante, Umma potrebbe tranquillamente apparire come un interessante e in parte riuscito esame di quanto tossiche e morbose possano rivelarsi le profonde relazioni che legano un figlio ai propri genitori, in nome di una presunta “maledizione” che molto spesso sembra inquietantemente attraversare intere generazioni e condannare uomini e donne a ripetere più e più volte i medesimi errori di coloro che li hanno preceduti. “Ho fatto una promessa: che non sarei mai stata uguale a mia madre!”. Questo il mantra che ha accompagnato la vita di Amanda sin dalla provvidenziale fuga che l’ha allontanata una volta per sempre da quella malefica matriarca che, un po’ a causa delle inevitabili difficoltà di crescere una figlia in terra straniera e in parte anche grazie ai sintomi di un evidente disturbo mentale, ha finito per riversare la propria rabbia e la propria frustrazione contro colei che di tutto ciò è l’unica a non aver avuto alcuna colpa. E non stupisce affatto che la stessa figlia, divenuta madre a sua volta portandosi addosso i segni fisici e mentali di un insensato abuso, sia finita inconsciamente per replicare il medesimo clima di ossessivo controllo e malsano attaccamento nei confronti della propria unigenita, sostituendo al seme della violenza quello forse ancor più mortifero di un amore profondo e spietatamente ingabbiante. Tutto ciò ben prima che l’elemento sovrannaturale irrompesse nella monotona routine familiare come una fastidioso deus ex machina di cui, a conti fatti, si sarebbe potuto tranquillamente fare a meno, trasformando quello che sarebbe potuto essere un inquietante racconto di orrori squisitamente domestici in un ennesimo possession movie nel quale sospiri fantasmatici, feticci maledetti e apparizioni a tradimento finiscono per annacquare quasi del tutto la profondità del tema alla base. Ne risulta dunque un film convincente solo a metà, messo in scena con discreto mestiere e tutto sommato privo di eccessive sbavature, dotato di un forte potenziale simbolico in gran parte sprecato dalla foga di voler per forza rendere appetibile un orrore che, anche senza spiriti e possessioni, avrebbe potuto certamente generare ben più che qualche sporadico brivido. Si perché, se è pure vero che son tutte belle le mamme del mondo, alcune di loro non ti augureresti di incontrarle tanto in vita quanto e soprattutto in morte.