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Demeter – Il risveglio di Dracula

2023
Titolo Originale:
The Last Voyage of the Demeter
REGIA:
André Øvredal
CAST:
Corey Hawkins (Dottor Clemens)
Aisling Franciosi (Anna)
Liam Cunningham (Capitano Elliot)

Il nostro giudizio

Demeter – Il risveglio di Dracula è un film del 2023, diretto da André Øvredal.

Cos’è un classico? Beh, per dirla come il buon Calvino, classico è tutto ciò che, nonostante lo spazio e il tempo, continua ad avere, sempre e comunque, qualcosa da dire. E nonostante ormai un glorioso secolo abbondante di letteraria e cinematografica vitaccia, proprio grazie alla sua immortale fama di classicone il celeberrimo draculeo capolavoro firmato da Sir Bram Stoker non ha mai smesso per un attimo di sussurrarci agli occhi e alle orecchie; a canini più che mai strettissimi, ovviamente. Ma classico è anche e soprattutto ciò che, oltre a essere letto, necessita piuttosto di essere riletto. Alla luce di ciò, dunque, non stupisce affatto che, tra spin-off e stand-alone impegnati più che mai a spremere fino al midollo i grandi cult al solo scopo di cavar fuori, da ogni collaterale pertugio e porticina sul retro, l’ennesimo e redditizio “The Last”, anche le mitiche e ormai risapute gesta del Re dei Succhiasangue di transilvanica stirpe vengano nuovamente scandagliate in lungo e in largo, alla ricerca di qualche residuo brandello di carne (al sangue, ovviamente!) da poter mettere nuovamente a rosolare sul sempre vivo fuocherello dell’entertainment. E mentre il dissacrante Renfield ha cercato, con sincera anarchia pulp, di spostare i riflettori sul complessato tirapiedi celato dietro alla mortifera ombra del sanguinario Principe della Notte, Demeter – Il risveglio di Dracula ha scelto invece di deviare drasticamente rotta, lasciando per una volta in panchina i cari vecchi Jonathan Harker e Abraham Van Helsing da noi tutti ben amati e conosciuti per dar voce al terrificante The Last Voyage vissuto dall’indomito Capitano Eliot (Liam Cunningham) e dal suo inerme equipaggio a bordo di quella disgraziata goletta che, con il suo temibile vampiresco carico, in uno dei capitoli più oscuri e allucinanti dello stokeriano romanzo epistolare si apprestava a condurre un antico e assetato Male dritto dritto in seno al cosiddetto Mondo Civilizzato.

Un Ultimo Viaggio che, così come ben suggerito dal decisamente meno scontato e spoileroso titolo originale, si presta a essere inteso sotto molteplici e differenti punti di vista. In primis, l’ultimo viaggio del sopracitato Vascello della Morte che, salpato dal porto bulgaro di Varna alla volta delle coste inglesi nel settembre del 1897, con ben cinquanta misteriose casse incautamente stipate nell’umida oscurità della propria stiva, naviga lento e implacabile verso un nefasto destino in verità non troppo dissimile da quello preannunciato dall’irriverente Blood Vessel di Justin Dix. In secundis, l’ultimo viaggio di un ormai decisamente (e letteralmente) navigato vecchio Lupo di Mare, il cui prezioso diario, rinvenuto quale ultima indiretta testimonianza di un inspiegabile quanto tragico naufragio, servirà a innescare quell’ immancabile flashback con cui poter gettare un occhio sui terribili accadimenti intercorsi durante quei funesti ed interminabili quattro mesi di traversata in pieno Oceano Atlantico. In terzis, l’ultimo traumatico viaggio senza ritorno di una scalognata ciurma destinata a divenire vera e propria carne da macello per le affamate zanne di un clandestino predatore, nonostante il coraggioso e alquanto ingegnoso istinto di sopravvivenza dimostrato dal giovane Dottor Clemens (Corey Hawkins) e dalla povera anemica Anna (Aisling Franciosi), inconsapevolmente imbarcata quale fresca Sposina di Dracula ma destinata ben presto a rivoltarsi contro il proprio stesso non morto Padrone, rinnegando dunque lo scomodo ruolo di sacca di sangue ambulante modello Rockatansky di Mad Max: Fury Road.

Ed in quartis, per non farci mancare proprio nulla, Demeter è anche e soprattutto (per ora) l’ultimo cinematografico viaggio a vele spiegate di un solido e a suo modo talentuoso autore come André Øvredal che, dopo rocambolesche caccie ai troll a favore di traballante videocamera, stregonesche autopsie non poi così tanto post mortem, spaventevoli storielle da narrare nel buio e persino una personale rivisitazione out (cine)comics del mitico figlio di Odino, si appresta stavolta a metter mano nientemeno che a quell’iconico e letteralmente immortale Nosferatu che, dopo Murnau, Herzog e quel gran simpaticone di Luigi Cozzi, ora aspetta solo lo squillo di tromba del buon Robert Eggers per essere nuovamente risvegliato dal suo secolare sonno di morte. Nonostante, infatti, la putrida e goticheggiante regia del pazzo cineasta norvegese riesca a plasmare, con la sua gelida e brumosa fotografia, le sue claustrofobiche inquadrature e i suoi ansiogeni silenzi carichi di mortifera attesa, un teso e truculento slasher (anzi, meglio forse dire un biter) in mare aperto – imprigionato fra i sinistri sciabordii e gli altrettanto inquietanti scricchiolii di uno sciagurato bastimento dell’orrore di gran lunga più temibile di quella mancata promessa alla deriva de La maledizione della Queen Mary –, l’unico vero putrescente, macilento e assetato pipistrello (pardon, elefante) nella stanza rimane sempre e comunque Lui. Quel ferino e mai del tutto trapassato succhiasangue di antico e nobile lignaggio che, nelle rachitiche proverbiali membra del mitico Javier Boet, ancor prima di fare la sua sfuggente e grandguignolesca comparsa in scena insinua la propria opprimente e mefitica presenza già dietro ogni angolo e corridoio di questo oscuro mattatoio galleggiante. Un autentico mostro che di erotico o romantico, stavolta, non conserva la ben che minima traccia, intento piuttosto a  divorare in un sol boccone (o a bersi in un sol sorso) un qualunque altro personaggio primario o secondario che sia; rendendosi per altro protagonista di una nebbiosa battaglia finale all’ultima goccia di sangue che, pur nella sua impeccabile e cardiopalmatica messa in scena, per il suo voler forse osare un po’ troppo finisce inevitabilmente, come si suol dire, per stroppiare. Tuttavia, mano a mano che le lancette scandiscono le quasi due ore di questa lenta e implacabile mattanza a forza nove – tra macabri agguati a tradimento in cambusa e una raccapricciante quanto, alla lunga, fastidiosamente digitale metamorfosi del nostro vampirico parassita –, ci si accorge che, al netto di una tensione tagliante quanto un paio di i canini ben appuntiti e tutte le cinematografiche carte nautiche in regola, giusto alla fine del suo ultimo viaggio, al momento di gettare l’ancora e tirare i remi in barca  Demeter riesce a dispiegare per tempo le sue tenebrose ali da nottola, rivelandosi come un onesto e ben confezionato pop (horror) corn movie estivo senza eccessive pretese né particolare infamia; nel quale, stano ma vero a dirsi, un tantino di mordente in più avrebbe forse fatto comodo e piacere.