L’Abruzzo nero di Roberto Zazzara

Intervista al regista di un film sconcertante: Carne et Ossa
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Uno dei film più sconcertanti dell’ultimo periodo è Carne Et Ossa di Roberto Zazzara. Girato a Pacentro, in Abruzzo, è un documentario di 56 minuti che mostra la Corsa degli Zingari: una competizione di uomini che si lanciano in un dirupo di roccia e corrono a piedi nudi, sanguinanti, fino ad arrivare in chiesa. Il film è stato presentato in vari festival italiani e internazionali, l’abbiamo visto in anteprima: la recensione è su Nocturno n.252, disponibile nel nostro shop. Ecco l’intervista al regista.

Quando ho visto Carne Et Ossa l’ho definito un documentario horror. Perché, a mio avviso, il documentario horror esiste: qui c’è sangue, sforzo, l’uomo spinto al limite estremo, perfino lo splatter. I piedi insanguinati sono presenti fin dalla locandina. Ti ritrovi in questa definizione?

Assolutamente sì, in realtà utilizzo anche io questa definizione. Fin da quando abbiamo cominciato a elaborare il progetto, vedevo l’opportunità di mostrare da un lato gli aspetti trascendenti di questa storia, che però andavano raggiunti come fanno i corridori: attraverso sacrificio e dolore fisico. Ho voluto mostrare le conseguenze della corsa sui corpi dei partecipanti, senza paura di risultare sgradevole, costruendoci attorno il film. In questo sono stati fondamentali i materiali di repertorio che a Pacentro custodiscono e che ho dovuto guadagnare, insieme alla stima di chi li conserva.

Partiamo dall’inizio. Come ti è venuto in mente di girare un doc sulla Corsa degli Zingari a Pacentro?

Me ne ha parlato il produttore del film, Cristiano Di Felice. Aveva visto Transumanza, il mio film documentario precedente, voleva parlarmi di questa cosa. Io sono abruzzese ma conoscevo la Corsa solo di nome, non mi ero mai davvero soffermato su quanto fosse potente: un rituale arcaico e collettivo e allo stesso tempo una disciplina competitiva. Ma quella sera, mentre da buoni abruzzesi mangiavamo arrosticini, quando Cristiano mi ha mostrato una foto di un corridore a piedi scalzi, ho avuto un momento di rivelazione. In un prodromo ho visto quello che sarebbe potuto essere, cosa avrei potuto raccontare e da lì ho deciso che questo film andava fatto. Inoltre Cristiano mi ha lasciato totale libertà, e questo per un regista é qualcosa di speciale, che ti invoglia e motiva.

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Vediamo uomini che, appunto, corrono a piedi nudi sulla roccia e presto ogni passo diventa doloroso. Lo stesso terreno risulta macchiato di sangue. Secondo te com’è possibile che un rito zingaresco, pagano, si consumi ancora oggi nel centro dell’Italia?

Sicuramente ho avuto la fortuna di raccontarlo questo rito, così unico e forte. Ma dall’altro lato, ho sempre pensato che questo film potesse funzionare per un pubblico molto più ampio di quello locale, perché di rituali di origini pagane ma che tuttora sopravvivono, quasi sempre sotto una dimensione religiosa, ne é pieno il mondo. Nelle proiezioni all’estero ho avuto conferma: ovunque sia andato, mi si faceva notare che una tradizione simile avvenisse non lontano da lì. Ripeto, raggiungere la trascendenza attraverso il sacrificio e il dolore, credo sia un concetto universale, radicato nell’uomo.

C’è una parte pratica, per così dire, e una teorica. Le persone che intervisti raccontano l’idea che sta dietro la Corsa, anche la follia, il gesto quasi herzoghiano di sfidare la natura. Come hai ottenuto queste testimonianze? Che personaggi hai trovato?

Sicuramente il cinema di Herzog è sempre nel mio pensiero creativo, spesso inconsciamente influenza le mie scelte. Ma, a differenza sua, io lascio parlare le persone e i luoghi. Mi trasformo in occhio, in orecchie. E così è stato con i corridori che ho conosciuto, persone comuni di età molto varia, estrazioni parecchio distanti ma tutti facenti parte della comunità di Pacentro. Ho dovuto guadagnare la loro fiducia e poi lentamente portarli a raccontare aspetti personali del rapporto con la Corsa. Come si vede nel film alcuni sono molto iconici; in altri casi ho dovuto scavare parecchio in interviste a volte durate ore, per ottenere parole che restano scolpite nella memoria.

A un certo punto incontriamo una donna che ha fatto la Corsa degli Zingari, la quale diventa un “mito”, una sorta di leggenda per essere arrivata fino in fondo. È anche il momento, mi pare, in cui l’orgoglio maschile e machista (se non corri non sei un vero uomo…) si stempera un po’ e tutti riconoscono il valore della donna. Come la vedi?

Loreta è tata una delle più belle scoperte fatte durante le riprese. Ho scoperto della sua esistenza in un’intervista, quando un corridore di una certa età faceva riferimento molto vago a una donna, di cui non ricordava molto. Da lì è partita un’indagine che ci ha fatto risalire a lei, che ora non vive più a Pacentro. Eppure di lei si narrava solo sotto traccia. Una sorta di leggenda, che poi mi sono trovato davanti sotto forma di una donna minuta, silenziosa ma che sprigionava una misteriosa energia.

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Il tuo film precedente era un horror di finzione, The Bunker Game del 2022, disponibile su varie piattaforme. Era girato nel bunker del Monte Soratte fatto costruire da Mussolini, dove un branco di nazisti mette in scena un perverso gioco di ruolo. Tutto ciò è la premessa per uno slasher claustrofobico. Un film che mi è piaciuto perché non lancia i soliti messaggi, non è edificante e non consola, è “solo” un horror puro. Qual è la tua concezione di genere?

Da un punto di vista strutturale, il cinema di genere è quello che risponde a determinati codici. Ma per me invece parlare di orrore significa parlare degli aspetti oscuri, a prescindere dai codici. I due film sono profondamente connessi e sono stati girati in parallelo, io vedo grandi punti di contatto. Entrambi esplorano rapporti intensi e malati con l’elemento naturale, in particolare con la roccia della montagna, da una parte percorrendola a piedi scalzi, dall’altra scavandola. In ogni caso trovando una nuova definizione di sé, nel rapporto con un ambiente estremo. Nel caso di Carne et Ossa c’é poi il discorso sul materiale d’archivio, che ho trattato come un found footage e rileggendolo in chiave misterica. Proprio come fanno tanti importanti film horror. La natura è meraviglia ma anche l’orrore dell’impenetrabile. Io la vedo così e spesso cerco di rappresentare questo contrasto.

Davide Pulici su Nocturno ha scritto che la tradizione alla quale The Bunker Game aderisce è quella di Danza Macabra di Antonio Margheriti. Ovvero il viaggio conta più della meta: “Più che il disvelamento finale dell’arcano, la forza sta nel riempire di suggestioni visive lo spazio che sta in mezzo”. Questo, aggiungo io, vale anche per Carne Et Ossa, che non scioglie nulla ma mostra una suggestione intinta nel sangue. Com’è stato passare dalla finzione al doc? È vero che spiegare è un po’ abbrutire?

Senza dubbio mi interessa più porre questioni che dare risposte. Cerco sempre di realizzare quello che chiamo un cinema esperienziale, legato certo a storie e personaggi ma che allo stesso momento ti porti in una dimensione altra, dalla quale poter osservare le cose diversamente. È una sfida complessa ma, quando riesce, mi capita per esempio che dopo una proiezione di Carne et Ossa il pubblico abbia bisogno di qualche minuto per elaborare il film, che poi cominci a farmi domande anche molto profonde. Alla quale, in fondo, chi sono io per rispondere?

Tu sei nato a Pescara. Ci mostri i piedi insanguinati di Pacentro a un’ora di distanza da casa tua. Esiste un Abruzzo nero da scoprire e da filmare?

Per motivi storici, territoriali, politici, l’Abruzzo è stata sempre una terra isolata, nonostante la vicinanza a Roma. E anche oggi esiste davvero poco cinema che la racconta. Io dico sempre che è uno scrigno di storie che aspettano di essere raccontate. E tra queste sì, c’è tanta oscurità, com’é normale che sia, in luoghi arcaici, ancestrali, di cui anche storicamente si sa abbastanza poco. Luoghi impregnati di leggende e di spiritualità, dove la natura sa essere ancora il centro dell’universo.

In conclusione, puoi dirci qualcosa del tuo prossimo progetto?

Ce ne sono diversi ma quello che sembra più lanciato verso una realizzazione imminente é un film di finzione, un western contemporaneo, sullo sfondo di tematiche ambientali. Un film sia di impegno, sia di intrattenimento, ambientato in luoghi eccezionali e famosi in tutto il mondo: le cave di marmo di Carrara. Spero a breve di poter dire di più. E soprattutto di realizzare questo film che inseguo da anni e mi sembra più necessario.

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