Roberto Silvestri discute l’Horror

Considerazioni sull'orrifico passato, presente e futuro.
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Giornalista, critico cinematografico del quotidiano “il manifesto” dal 1977 al 2012, direttore dell’inserto culturale Alias, conduttore del programma quotidiano di cinema “Hollywood Party” per l’emittente pubblica Radiotre, direttore di film festival (Rimini, Bellaria, Lecce, Sulmona), ha fatto parte di giurie nazionali e internazionali. Ha collaborato con le Giornate del cinema africano di Perugia e ha fatto parte per 4 anni del comitato di selezione della mostra di Venezia. Insegna al Dams di Lecce. Ha pubblicato tra l’altro “Il film del secolo”, “Il CiottaSilvestri”, “Da Holywood a Cartoonia” e “Macchine da presa”. Il suo ultimo libro, in collaborazione con Mariuccia Ciotta, è “Bambole Perverse. Le ribelli che sconvolsero Hollywood”.

Cosa pensa di questa prima edizione dell’Apulia Horror IFF?

Roberto Silvestri: Il bilancio è molto positivo. Intanto per la scelta del luogo della manifestazione “horror thriller fantasy”, un castello secolare, trasformato genialmente in set “aperto”, grazie alla presenza di professionisti e collezionisti locali che decorando gli spazi e hanno lasciato un segno indelebile ed estroverso di professionalità creativa e di ossessione “produttiva”. Speriamo che le produzione di genere che la film commission pugliese attrae attualmente (e il mercato pare stia moltiplicando) si avvalgano presto di questi costumisti, scenografi e maghi del make-up. E che prima o poi tra Lecce e Gallipoli si possa aprire al pubblico un museo del cinema come attrazione turistica permanente e tempio della qualità cinematografica regionale (penso alla conservazione, restauro e diffusione dei capolavori dei cineasti pugliesi, per esempio Rodolfo Valentino o Tito Schipa, ma anche Cirasola, Laudadio, Annabella Miscuglio… visto che sta per partire una scuola di restauro di prestigio mondiale). Il castello di Gallipoli è infatti straordinariamente suggestivo e sinistro e spero che dal prossimo anno si riesca a conquistare anche l’interno della fortezza, dove, ormai troppi anni fa, funzionava un’arena cinematografica unica, il Rivellino, da restituire al più presto alla città e al turismo estivo, sia che lo gestisca un privato, sia che torni di proprietà pubblica. La selezione dei cortometraggi internazionali in competizione è stata inoltre di alto livello e ha offerto una gamma emozionale diversificata (come hanno sottolineato le tre giurie coinvolte). Grazie, forse, alla doppia testa direttiva, non si è concentrata infatti su un unico filone o stile o scuola o poetica, ma ha spaziato geograficamente e concettualmente in ogni direzione – splatter, gore, psycho-horror, sado-maso, meta-horror, zombies, fantasmagorico tarantiniano, apocalittico, ultraviolento, metaforico-politico, insostenibilmente poetico – ribadendo comunque quali sono i centri fertili dell’immaginario “ai confini della realtà” di oggi. Certo, sono ancora Los Angeles, Parigi e Pechino (Hong Kong-Seul) le capitali del super-genere, ma i nostri giovani talenti stanno dimostrando di avere ben studiato e reinventato le forme innovative delle generazioni precedenti, Bava, Freda, Fulci, Argento, Soavi, D’Amato-Massaccesi, Deodato, Castellari (giustamente omaggiate e risarcite nel programma di quest’anno e spero anche nei prossimi appuntamenti) che hanno così profondamente anticipato e segnato il rinascimento horror dagli anni ’70 controculturali fino alla monarchia Marvel. La partecipazione generosa di Sergio Stivaletti e Luigi Pastore e i loro incontri con il pubblico sono stati il perfetto trait-d’union tra passato e presente.

Crede che il genere horror attualmente racconti qualcosa di nuovo?

RS: Sì. Racconta qualcosa di nuovo e lo combatte. E non solo oggi. La globalizzazione produce horror crescenti. Migrazioni apocalittiche di popoli istigati ad abbandonare le proprie case a forza cosa sono? E popolazioni strangolate da Tap, xilella e Ilva? Cosa ricordiamo del decennio della contestazione mondiale a quel micidiale mostro economico-sociale che iniziava le operazioni negli anni ’60 e della feroce repressione mondiale che ne è seguita (istigata dal terrore di una rivoluzione universale possibile)? Un pamphlet neo-horror, La notte dei morti viventi (che ha vendicato la generazione degli utopisti massacrati) e l’avvio del genere catastrofico. Oggi, paralizzati dall’apocalisse, non solo climatica, prossima ventura, è Avengers Infinity War ad anticipare terrificanti soluzioni finali rendendole paurosamente plausibili e aizzandoci al comportamento antagonista. Altro che cinema consolatorio. O catartico. A giudicare poi dai più importanti festival internazionali recenti, Cannes, Venezia, Berlino, il genere horror, thriller e fantasy non è soltanto quello che elabora estetiche commerciali planetarie e conquista le vette del box office internazionale (Marvel, Dc, James Cameron, Pixar: i primi 50 incassi della storia sono loro) ma anche il terreno di elaborazione estetica più radicale nell’ambito del cinema di ricerca o di qualità culturale (e anche quello che permette ai giovani autori di oggi più libertà di sperimentazione). Penso non solo al Godard di Alphaville, o a Spielberg, Dante, Hershell Gordon Lewis, Landis, Romero, Yuzna, Henenlotter e Lucas, pionieri new (e no) hollywood di questa ossessione formale che riflette su (o decostruisce) miti formativi e simbologie arcaiche ma tuttora operative e paralizzanti, come il patriarcato, l’omofobia, il razzismo, ma anche all’improvviso interesse per il genere di registi finora estranei all’horror, al fantasy, allo splatter come Guadagnino, Garrone, Jim Jarmush, Carax, Lars von Trier, e soprattutto ad alcuni recenti vincitori di palme e leoni d’oro, come Guillermo del Toro, con la sua rilettura politica del Mostro della Laguna Nera, La Forma dell’Acqua, o Bong Joon Ho (Parasite) o Tarantino (Pulp Fiction)…L’horror guarda in faccia con più coraggio le zone dark che sono dentro e fuori di noi. Credo che un genere horror per eccellenza sia oggi anche il cartone animato (Miyazaki) e il documentario radicale di profondità (Grifi, Faroki, Thomas Harlan, alcuni dei suoi antichi pionieri). Non ha caso Michael Mooore, che di orrori si intende, ha intitolato Fahrenheit 9/11 la sua riflessione sul terrorismo.

È davvero un modo per esorcizzare l’angoscia esistenziale o ci intrappola in essa?

RS: Dell’angoscia esistenziale non parlo. L’angoscia non è un sentimento antico? Demodé? Oggi torna di moda? Non è legato all’esistenzialismo anni ’50 causato dalla bomba atomica? Dici che torna? Io credo si tratti solo di paura. Fifa, più prosaicamente. Cinismo, paura, opportunismo sono i sentimenti dominanti dagli anni ’80 ad oggi….