L’uccello dalle piume di cristallo

Tutto quello che avreste voluto sapere su L’uccello dalle piume di cristallo
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«La storia dell’Uccello dalle piume di cristallo l’ho scritta in sette giorni. E nacque in un modo stravagante, perché non è che l’abbia inventata ma la vidi in un sogno. Mi trovavo in Tunisia, in vacanza con mia moglie. Notoriamente, in Tunisia si mangia malissimo e mi avevano appena rifilato un cibo nauseabondo. Subito dopo, commisi l’errore di stendermi al sole su una spiaggia, e mi appisolai. Ebbi una specie di congestione, con incubi pazzeschi. Ma quando mi svegliai mi resi conto che quel che avevo visto era praticamente un film già pronto. E la sceneggiatura l’ho buttata giù pari pari. Sono sempre stato suggestionato dai racconti sull’oracolo di Trofonio, quella caverna dove nell’antichità si andava per chiedere responsi sul futuro. L’interrogante si stendeva nella grotta, si addormentava e il dio, nei sogni, gli rivelava la soluzione dei problemi. Ecco, la nascita delle storie dei miei film è sempre stata simile, come un suggerimento onirico…». Nelle primissime interviste rilasciate in seguito all’uscita di L’uccello…, come quella riportata qui sopra, Dario Argento non faceva menzione di La statua che urla di Frederic Brown e in più di un’occasione ha smentito una qualsiasi parentela tra il libro e il film (per paura di diritti da pagare o per attribuirsi tutto il merito dell’idea alla base della storia?). Solo in epoca più recente il regista ha ammesso di aver comunque letto il libro e che a farglielo conoscere era stato addirittura Bernardo Bertolucci, anche lui mezzo intenzionato a farci un film. Non solo: l’idea centrale del film, quella di Tony Musante costretto ad assistere all’omicidio intrappolato tra i vetri della galleria d’arte, sembra invece essere venuta ad Argento mentre fissava un acquario a casa di Italo Zingarelli, produttore per il quale aveva scritto Un esercito di cinque uomini. In un’altra versione, Argento disse che l’idea gli era stata suggerita in sogno da Alfred Hitchcock.

«Sono io che ho scritto il primo film di Dario Argento, anche se il mio nome è sparito dalla sceneggiatura e per quarant’anni non l’ho mai detto – racconta il regista Aldo Lado. Negli ultimi anni, invece, mi sono stufato e ho detto quello che effettivamente è successo. Detto in due parole, andò così: io facevo l’aiuto in un film prodotto da Salvatore Argento che era il padre di Dario. Così ho conosciuto Dario, che aveva scritto la sceneggiatura di questo film prodotto dal padre, e siamo diventati amici. Dario così mi raccontò che Bernardo Bertolucci avrebbe voluto fare un film tratto da un libro giallo americano, un libro che piaceva molto anche a lui, ma di cui l’autore non aveva voluto cedere i diritti. Io mi incuriosii e chiesi a Dario di farmi leggere questo libro, e scoprii che mentre la storia in sé non era particolarmente interessante ed era reinventabile totalmente, l’unica cosa interessante era la macchinetta che faceva poi funzionare tutto, il fatto cioè che un tizio assistesse a un omicidio senza vedere in faccia l’assassino, ma trovandosi lui in luce venisse invece visto dall’assassino. Reinventai la storia mettendoci delle cose che mi sono sempre appartenute: io ero appassionato di quadri, di arte, e contestualizzai la scena famosa in cui Tony Musante assiste al tentativo di omicidio, proprio in una galleria d’arte». Stando alle dichiarazioni che Argento rendeva all’epoca, la stesura della sceneggiatura di L’uccello dalle piume di cristallo gli prese pochissimi giorni, una settimana o giù di lì. Mentre in tempi più vicini, il regista ha parlato addirittura di un anno consumato sullo script. Quel che è certo è che Argento revisionò la sceneggiatura con un grande coinvolgimento. Gli aneddoti si sprecano: «Una sera Dario è al piano di sopra», raccontava a Piero Poggio, di Gente, Marisa Casale, che era allora la compagna di Argento «e sta rileggendo una scena di L’uccello dalle piume di cristallo, nella quale una ragazza si accorge che dietro la porta c’è il suo assassino. Dario crede di sentire un rumore dietro la porta della stanza vicina; lo vedo scendere e andare al telefono, per darsi un contegno, ma il telefono è isolato, come nel momento culminante di un giallo. Sempre più nervoso va dal portiere a chiedere se c’è posta e poi, con una scusa qualsiasi, lo trascina su nella sua stanza e gli fa aprire la porta dietro la quale temeva ci fosse chissà quale presenza. Ecco, in questo clima è nato il film di Dario».

In un primo momento, Argento cominciò a proporre la storia a diversi produttori, come faceva usualmente in quei primi anni da sceneggiatore, senza l’intenzione di dirigerla lui stesso: «Mi ridevano in faccia e mi dicevano che il genere in Italia non andava. Era roba per americani, massimo per gli inglesi. Gli unici che si dimostrarono interessati erano quelli dell’Euro International: l’avrebbero comprata per farla dirigere a Duccio Tessari, cosa che in altre circostanze mi avrebbe reso felice, ma nel caso di L’uccello... fui colto da improvvisa gelosia e rifiutai. Decisi in quel momento che avrei provato a dirigerlo io. Grazie al mio lavoro di critico a Paese Sera, avevo visto tanti film e ne conoscevo a memoria centinaia, che pensai di poter tentare. Tornato a casa dissi a mio padre, Salvatore, che cosa volevo fare e lui si offrì subito di darmi una mano. Andammo insieme dalla Euro, ma questi non vollero rischiare con un esordiente e, dopo la delusione iniziale, a mio padre venne l’idea di provare con un grosso produttore e prendemmo appuntamento con Goffredo Lombardo, della Titanus».
Lombardo si lasciò incuriosire dal progetto ma propose come regista Terence Young, visto che il suo film Gli occhi della notte (Wait Until Dark – 1967) aveva appena riscosso una lusinghiera accoglienza al box office italiano («Anni dopo, quando incontrai Young e gli chiesi se ricordava questo fatto, lui mi rispose di no, però aggiunse che ammirava molto i miei film»). Fu solo grazie all’insistenza di Salvatore Argento, che il giovane Argento riuscì a spuntarla con Lombardo e a debuttare dietro la macchina da presa. I primi giorni sul set, sempre nel ricordo di Marisa Casale, furono carichi di tensione: «Dario non aveva mai visto da vicino una macchina da presa. La prima mattina gli tremavano le gambe e mi confessò di sentirsi male: “Sai Marisa, non so neppure dove si mette l’occhio”. Quando la sera tornò a casa e io gli chiesi se avesse imparato a mettere l’occhio nella macchina, mi rispose di sì, tutto entusiasta: “Non era poi tanto difficile”».

Lo conferma anche lo stesso Argento: «Il panico s’era impadronito di me. Non sapevo nulla di set. Non conoscevo i ruoli, neanche quelli più elementari tipo l’attrezzista. Non sapevo cosa facesse. Ma imparai subito una grande lezione: se anche sei inesperto ma hai le idee chiare sul tuo obiettivo, la troupe ti rispetta, se sei confuso, invece, ti sbrana. E poi eravamo tutti giovani e quasi esordienti, anche Vittorio Storaro, che era il direttore della fotografia e con il quale ebbi un bisticcio perché io volevo usare quasi sempre l’obiettivo del 18 (che ha un’apertura esasperata) e lui mi diceva che nel cinema non si usava». Dopo qualche settimana di lavoro, Lombardo, visionando il girato, esprime un giudizio negativo. Secondo il produttore, il materiale non può essere neppure montato e arriva al punto di proporre ad Argento una liquidazione in denaro, per sostituirgli un altro regista, Ferdinando Baldi, che porti a termine al suo posto il film: «Credo che Lombardo si aspettasse un film diverso, truce, un po’ volgarotto, che avesse un buon successo di pubblico e che si vendesse bene all’estero, non credeva assolutamente che avrei fatto un film interessante che avrebbe segnato un momento del cinema italiano e – a detta di alcuni – un vero e proprio movimento cinematografico tout-court in campo internazionale». Argento riesce comunque a restare al timone e L’uccello dalle piume di cristallo, il 19 febbraio del 1970, esce in alcune sale italiane. Gli incassi dei primi giorni, a Torino e a Milano, prospettano un “bagno di sangue” o giù di lì, mentre in altre città campione la situazione va un po’ meglio. Poi, lento ma inesorabile, comincia il cammino in ascesa del film, che lo porterà nel giro di qualche mese a diventare uno dei maggiori successi della stagione. La fortuna critica è invece minima (vedasi quel che scriveva Aldo Bernardini su Bianco e nero: “L’esordio di Dario Argento non segna certo la nascita di un nuovo, autentico autore […]. Lo spettacolo che ne risulta è di maniera. Ammucchiando gli effetti, il regista non riesce a nascondere le falle di una grossa trama e di un meccanismo concepito apposta per disorientare lo spettatore”; o, peggio, Goffredo Fofi in Il cinema italiano: servi e padroni. “Ora l’idolo di turno è un altro giovane mangione, Dario Argento, che ha inventato il giallo erotico […]. Improbabili storie e improbabile regie si fondono nei suoi film in un’unica giustificazione: la sequela di morti violente con dovizie e gusto da bassa macelleria”) e inaugura una lunga tradizione di contrasti e incomprensioni tra Argento e la critica nostrana.

Una preziosa testimonianza di come il film venisse recepito nell’ambiente interno al cinema, dagli addetti ai lavori, ce la offre Lamberto Bava, che racconta: «Quando uscì L’uccello dalle piume di cristallo, mio padre ricevette una telefonata da Sergio Corbucci, incazzato nero, il quale voleva fare causa alla produzione perché, secondo lui, il film era un plagio smaccato di Sei donne per l’assassino che Corbucci aveva scritto qualche anno prima insieme a mio padre. L’omicida con i guanti neri, il doppio colpevole finale, le soggettive… era quasi tutto copiato dal film che loro avevano fatto. Alla fine, però, mio padre convinse Sergio a lasciar perdere… anche perché credo avesse capito che Dario aveva creato qualcosa di nuovo». Argento nega qualsiasi influenza da Bava, se non nel look dell’assassino, e afferma: «Riccardo Freda era più nelle mie corde. L’orribile segreto del Dr. Hichcock e Lo spettro sono film bellissimi pieni di rabbia e violenza». Ma al di là del problema delle fonti è stato assodato come il regista abbia metabolizzato spunti e stimoli in un processo di “argentizzazione” dai risultati non soltanto originali ma addirittura rivoluzionari. I protagonisti di L’uccello… sono Suzy Kendall, conosciuta sul set di Fräulein Doktor di Lattuada, e Tony Musante, già consigliato da Argento a Patroni Griffi per Metti una sera a cena dopo averlo visto in The Detective. Con L’uccello dalle piume di cristallo Dario Argento aprì la cosiddetta trilogia zoologica (quasi una quadrilogia, considerando che Profondo rosso nasceva come “La tigre dai denti a sciabola”) e innescò un processo di emulazione a dir poco sorprendente: venti cloni nella sola stagione successiva. Era nato il giallo argentiano.