Ivan Boragine: tra Cristo e la pistola

Incontro con uno dei protagonisti del noir Il Diavolo è Dragan Cygan

Dal 12 marzo sarà nelle sale in Italia Il Diavolo è Dragan Cygan, un durissimo nero all’italiana scandito dalla miglior cupezza propria del genere e da figure in collisione in un universo premuto dalla necessità, dal quale non parrebbe esistere alcuna via di fuga se non lungo le strade della violenza… Abbiamo incontrato uno dei protagonisti, Ivan Boragine, lanciato da Gomorra, che tratteggia un feroce sbirro corrotto, sulla bilancia della cui coscienza pesa, però, un forte legame con la religione… Tra Cristo e la pistola. 

Il Diavolo è Dragan Cygan, di Emiliano Locatelli, ti vede co-protagonista di un noir estremamente interessante e piuttosto fuori dai canoni italiani abituali, con personaggi assai ben definiti ed elaborati...

Sì, è qualcosa di molto particolare, di nuovo, un film che non solo è stato fatto con il cuore ma con l’intento di creare dinamiche diverse all’interno di un genere, come il crime, molto frequentato in Italia, ma con uno stile sempre un po’, come dire? “distanziato”, alla lontana… Emiliano aveva diretto diversi cortometraggi, ma questa è la sua opera prima come lungo. È un amico prima di tutto. Mi ha colpito molto il suo modo di affrontare il tema del film, che è un tema “di denuncia”, ma come già nei suoi cortometraggi, in uno dei quali mi aveva coinvolto: Solamente tu, si intitolava, del 2021, con Enzo Salvi, che torna anche in questo Il diavolo è Dragan Cygan. Ecco, mi pare che Emiliano abbia come caratteristica e come punto di forza, la capacità di affrontare le storie in modo vero. Spesso si tende, nel crime, o a mitizzare i personaggi o ad infilare la strada della banalità di racconto. Lui, invece, sia in ambito di scrittura sia quando gira e per come gira, mira ad essere quanto più vero possibile, senza lasciare nulla al caso. 

Il tuo personaggio è potente nel film, viaggia perfettamente lungo la linea di confine tra luce e ombra: è un poliziotto figlio di puttana e corrotto, dominato, paradossalmente, dal senso del divino…

L’ho adorato. Sì, è un personaggio con mille sfaccettature, perciò, ancor di più, ho deciso di far parte del progetto e di accettare il ruolo. È un uomo in forte contrasto con se stesso: il credo nei confronti di Dio, da una parte, e dall’altra la sua durezza, la cattiveria: è violento nei confronti della moglie, anche davanti alla figlia. Nonché un poliziotto ampiamente sopra le righe, nelle sue azioni. Che però va incontro a un arco evolutivo, anche di redenzione, per cui si trattava di delineare un carattere contrastato e questo gioco mi attraeva molto. Amo il mio lavoro e lo amo nella misura in cui mi permette di giocare con i personaggi, tanto più se si tratta di discostarsi dal proprio essere. Questo per me è vitale.  

Anche la figura di Enzo Salvi è pregnante, ma questo bad cop è quello che colpisce, proprio per la sua bivalenza… 

Sì, una bivalenza che, in realtà, è una plurivalenza, perché nel corso della storia emergono continuamente nuovi aspetti in lui: una dualità che si va complicando sempre di più. Come attore, non poteva che affascinarmi, questa iridescenza mutevole… 

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Ivan Boragine, Il diavolo è Dragan Cygan

Tu hai alle spalle un’altra grande esperienza nel nero italiano, con Gomorra 

Gomorra, fondamentalmente, è stato un grande apripista. La definirei la punta dell’iceberg, per me, perché, comunque, prima di Gomorra avevo fatto già un po’ di cose, però quella è stata la grande occasione di farmi conoscere dal pubblico, e anche dagli addetti ai lavori, in maniera incisiva. Come è nato? Tramite un provino… C’ho faticato un po’, all’inizio, per la mia faccia “da bravo ragazzo”. Qui in Italia, e lo dico con rammarico,  si tende ad associare un attore al personaggio perché “gli somiglia”. Senza capire che noi facciamo questo mestiere perché dobbiamo saper cambiare e quindi l’attore, se ha talento, se è bravo, è in grado di diventare il personaggio. Per me questo è fondamentale, è un diktat. Ma in Italia è un principio che fatica a imporsi. Per cui, venni un po’ dissuaso dal fare questo provino, perché dicevano che avevo la faccia da ragazzo, che non andavo bene per quel progetto, essendo Gomorra ambientato nel mondo del crimine. E quindi questa “faccia da bravo ragazzo” non poteva essere accostata ai personaggi che stavano ricercando. All’epoca, parlandone con la mia ex agente, le dissi: “Fai quel che vuoi, mettitela come puoi, ma voglio fare il provino, poi me la vedo io. Tu fai il tuo lavoro…”. Insomma, dopo una serie di vicissitudini riesco a fare il provino e vengo subito richiamato per un callback, fatto con la casting e il regista, direttamente, che erano Laura Muccino e Stefano Sollima. Ero contentissimo di trovarmi di fronte a Sollima, perché ero stato un’amante sfegatato di Romanzo criminale. Mi ero guardato le due stagioni della serie tutte di filato, nel corso di una nottata e del giorno dopo, e mi ero detto: “Ammazza, che bello lavorare con Sollima!”. Questo succedeva un anno e mezzo prima che mi trovassi a fare il provino per Gomorra con Stefano, in cui lui mi scelse per il ruolo del sindaco Michele Casillo, uno con una faccia pulita ma in realtà un traffichino, che viene gestito dalla camorra per i propri scopi. È stata un’esperienza fantastica: ho fatto parte della prima, della terza e della quarta stagione. Gomorra mi ha dato tanto sotto il profilo artistico. Mi ha dato modo di conoscere delle persone sul set, colleghi di un certo calibro e spessore, sia umano che artistico e ancora oggi sono in contatto con Marco D’Amore e con Salvo Esposito. Mi ha dato la possibilità, come ti ho detto prima, di farmi conoscere sia dal grande pubblico che dagli addetti ai lavori.

Napoli è la tua città, lì sei nato. Anche artisticamente?

Io sono napoletano doc, fiero e contento di esserlo, anche se ho avuto, nella mia evoluzione di vita e carriera, dei momenti un po’ bui, sotto questo punto di vista, perché, per qualche anno, ho avuto un “allontanamento” da Napoli e ho cominciato a fare corsi di dizione, per levarmi l’inflessione. Finché mi sono reso conto, a un certo punto, per alcuni lavori che richiedevano il napoletano, che non ero più capace di parlarlo [ride]. Ho detto: “Cazzo, c’è qualche problema! Da adesso in poi io sono napoletano, sono contento di esserlo, fiero di esserlo”, e quyindi ora sono un fautore della napoletanità. Ho iniziato da piccolo a recitare, fondamentalmente ho sempre avuto questo impulso a mettermi in mostra, nonostante fossi un bambino timido. Però, magari, davanti alla videocamera che mio nonno aveva e con la quale mi faceva dei filmini, io mi mettevo sempre in posa. A 13 anni ho avuto la prima esperienza, nel teatro della chiesa: calcai il palcoscenico con il personaggio di Peppiniello, da Miseria e nobiltà. Feci lo spettacolo, ma la cosa finì lì. Varie vicissitudini personali, di vita e familiari, mi hanno un po’ obbligato a lasciar perdere. Ma quelle tavole di legno, a un certo punto, sono ritornate prepotentemente dentro di me facendomi dire: “Voglio fare l’attore!”. E quindi, a 18, 19 anni, ho iniziato a frequentare una scuola di teatro a Napoli e da lì è iniziato il mio percorso, di studi e di lavoro. Mi sono trasferito a Roma dove, tra un provino e l’altro, ebbi l’opportunità di conoscere una persona in Rai e sono entrato nel cast della Squadra e della Nuova squadra, prima un piccolo ruolo, poi in un ruolo più importante. E il resto è venuto a seguire. 

Quando avete girato Il Diavolo è Dragan Cygan?

Un anno e mezzo fa abbiamo terminato, è stata abbastanza lunga come gestazione e le riprese si sono chiuse a ottobre del 2022. C’è stata la ricerca della distribuzione, per cui siamo arrivati a oggi: il film sarà in sala dal 13 marzo.

Enzo Salvi non me l’aspettavo nella chiave in cui il film lo propone: ha fatto un grande lavoro su di sé, si capisce…

Un lavorone, di destrutturazione del suo personaggio, di sé.  Io  avevo già avuto l’opportunità di lavorare con lui, tempo fa, nella serie Din Don – Una parrocchia in due, ma lì era in chiave di commedia. Poi abbiamo fatto, come ti dicevo, il corto di Emiliano. Siamo diventati amici. Sul set del Diavolo è Dragan Cygan, gli continuavo a ripetere che in questa sua nuova veste avrebbe funzionato alla grande: ha operato un cambiamento che ha nella credibilità il punto di forza. Emiliano è una persona che quando si fida si fida e c’è sempre una sinergia strettissima tra l’attore e lui come regista. Lui ci chiedeva di fare uno studio sui personaggi e accettava le idee che gli portavamo. 

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Ivan Boragine, Mark Thompson Ashworth, set di Il Diavolo è Dragan Cygan

Andiamo sui massimi sistemi: fare l’attore nell’Italia del 2024…

Ah… oggi è estremamente complicato, estremamente. I motivi sono tanti. C’è bisogno di notorietà per poter proseguire nella carriera, e quando si parla di numeri, si parla ormai prevalentemente dei social, del numero di followers: attori che prendono parte a progetti solo perché hanno un numero di followers considerevole o perché sono figure per X ragioni in auge in quel momento. Quindi, è molto, molto, molto complicato. Più che complicato fare l’attore, è complicato rimanere nel sistema. Perché puoi anche avere successo per un anno, due anni, tre anni, dopodiché vieni fatalmente gettato nel dimenticatoio, se non ti crei qualcosa realmente di solido, che non può essere il solo fatto di avere un milione di followers. Cioè, alla stretta finale, è come una partita di poker, quando si calano sul tavolo le carte e si vede chi vince e chi ha bleffato… 

Professionalità e talento, pagano ancora? 

Sì, e sono molto ottimista. Sai, ci sono anni in cui le cose vanno bene e anni durante i quali vanno meno bene. Io ho deciso di vivere in maniera serena, accettando solamente quello che mi piace, senza dover rincorrere più nulla: se viene, bene, se non viene, vivo in maniera tranquilla, facendo altro, in modo da poter giostrare entrambe le cose. La professionalità, per forza deve ripagare a lungo andare, ma ti parlo di professionalità e soprattutto di coscienza da parte dell’attore, perché oggi ci si definisce professionisti di questo mestiere senza avere la consapevolezza di quello che si è, di quello che si può dare. Sono tanti anni che faccio parte di questo mondo e credo che essere consapevole di quello che si è in grado di fare, sia essenziale. Il problema investe sia quelli che pensano di poter fare ogni cosa e che tutto sia tremendamente semplice, sia quelli che glielo permettono, di pensare in questi termini. E questa dinamica, lo confesso, a volte mi fa sentire un poi’ esausto. Questo è un mondo malefico e fantastico allo stesso tempo. Spesso ti scontri con la realtà dei fatti, e quindi devi essere tu stesso molto realista: nel senso che puoi essere un attore talentuoso, ma magari la tua fisicità non è conforme a quella che viene richiesta. Ci sono molte persone, me compreso, che fanno tanti provini ma non sono adatti a quel ruolo, nonostante facciano un provino della madonna, semplicemente perché il regista ha un’idea diversa per la parte.

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Ivan Boragine, Il Diavolo è Dragan Cygan

La bellezza, la gradevolezza, servono, non servono o possono essere armi a doppio taglio? Penso a quanto raccontavi prima, sul provino di Gomorra

Dipende cosa si intende per bellezza. Conta, certo, però non è determinante per una serie di ruoli, per altri sì. Se devo fare un camorrista, un prete, non conta la bellezza, ma conta entrare all’interno del personaggio e quindi diventarlo, con le movenze, per essere veri, essere credibili. Quindi la credibilità non deriva dalla bellezza.  

Tu ti occupi anche di doppiaggio...

Sì, non posso definirmi un doppiatore professionista, cioè uno che lo fa tutti i giorni, che sta sempre in sala di doppiaggio, ma mi occupo anche di doppiaggio. Oltre a quello canonico, mi piace molto mettere a disposizione il voice over per i libri di lettura, per la pubblicità o per progetti vari. Sono cose che mi allettano anche di più del doppiaggio di film o serie. Sono anni che mi occupo anche di psicologia. Mi definisco uno “studente anarchico di psicologia”, nel senso che studio quello che che mi interessa. E sto prendendo un attestato in coaching. Mi serve tantissimo per il mio lavoro, anche perché mi capita spesso di tenere delle lezioni di recitazione, anzi, di mettere a disposizione la mia esperienza più che insegnare, perché io dico che non insegno nulla, ma metto a disposizione la mia esperienza ai ragazzi. Io credo che nessuno possa realmente insegnare recitazione, perché questo è un mondo talmente vasto che non si può insegnare, a parte le tecniche iniziali, se si sta in Accademia, ma quello è un percorso diverso. Ma se devo andare a fare uno stage di una settimana di sei giorni, io che cazzo ti posso insegnare in sei giorni? In sei giorni ti do la mia esperienza, ti dico quello che, secondo me, potrebbe essere il percorso. Ti trasmetto le le mie idee, ti metto a disposizione i mezzi che ho utilizzato per poter arrivare a fare quello che faccio oggi. Ci tengo sempre a dirla questa cosa, perché è fondamentale, veramente fondamentale…