Intervista a Fabio Deotto

Raccontare il futuro per capire il presente
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Intervistiamo Fabio Deotto, scrittore e giornalista, autore di Condominio R39 e Un attimo prima, entrambi per Einaudi.

 Il tuo romanzo “Un attimo prima” racconta un futuro in cui ha vinto una certa parte politica che non ci si aspetterebbe a tutt’oggi in grado di prendere il potere e che qualcuno può quasi pensare di considerare “i buoni”. Questo porta però a uno sviluppo non esattamente positivo. Vuoi approfondire?

Il mio obiettivo era staccarmi dalle distopie tradizionali in cui si cerca di portare all’estremo le tendenze negative della società odierna per fare qualcosa di diverso, far verificare nella fiction le tendenze che consideriamo positive, come il rispetto per l’ambiente, la sostenibilità, le tecnologie che possono aiutare a migliorare le vite delle persone, addirittura un cambio di paradigma a livello di sistema economico, dopo la crisi energetica il capitalismo si troverà a collassare e il denaro sarà sostituito da una valuta non accumulabile. Diciamo che ho provato a immaginare il mondo che io ho sempre sognato per poi andare a vedere come questo mondo potrebbe andare gambe all’aria e come potrebbe conservare alcune delle tendenze negative tipiche della società capitalista nonostante la cornice totalmente diversa, un modo per analizzare il presente da un’angolazione nuova.

Quindi hai voluto individuare anche tratti negativi legati alla natura umana piuttosto che al sistema contingente?

Più che connaturate alla natura umana delle tendenze che fanno parte della società umana da ormai centinaia di anni. La nostra attenzione per il possesso, il fatto che subordiniamo la nostra identità al lavoro che facciamo sono tutte cose che anche chi, per utilizzare una frase retorica, si batte per un mondo diverso e più in generale chi si considera progressista e di sinistra, quando provi a metterle in discussione, quando provi a ipotizzare una società dove sia costitutivamente impossibile arricchirsi, le crepe vere della società si rivelano contagiose anche verso le persone che dicono di volerla cambiare. Me compreso.

Seppur nella sua parte più soft e sociale, definiresti questo tuo romanzo fantascienza?

Questa è una domanda trabocchetto. Io non lo definirei fantascienza nel senso che io definirei fantascienza un altro tipo di letteratura, ambientata nel futuro, mentre Un attimo prima è ambientato in un presente aumentato, nel senso che le linee di collegamento con il presente sono così visibili, così come in Black Mirror, che non definisco fantascienza per lo stesso motivo. Poi se qualcuno lo definisce fantascienza nessun problema, io sono cresciuto leggendo fantascienza. Penso tuttavia che ci sia in questo libro una codifica diversa del reale, non penso di ricodificare il reale, il mio è un presente invecchiato che non ha la componente futuribile della fantascienza.

Noi passiamo da un Primo Levi, non l’ultimo degli sprovveduti, costretto a uscire sotto pseudonimo (n.d.r- Damiano Malabaila) per pubblicare le sue raccolte di racconti fantastici a un Festivaletteratura 2019 in cui si parla di Ursual LeGuin, Colson Whitehead, Margaret Atwood e tu stesso, che hai tenuto due interventi su futuro e climate fiction. Si tratta di un fuoco di paglia o anche qui in Italia stiamo iniziando a riconoscere sul serio il valore della letteratura fantastica?

Io credo che in Italia a livello di produzione stiamo facendo passi da gigante, gli autori interessanti non sono mai mancati ma stiamo oggi vedendo tante persone che si stanno mettendo in gioco, anche chi non viene da questo mondo e a differenza nostra non si è fatto le ossa leggendo fantascienza. E io credo che sia una cosa molto interessante perché consente di ibridare, cosa che in Italia facciamo poco e che in paesi come America e Germania fanno molto di più, ibridare i generi, rompere le cornici e ricostruirne di diverse e inedite. Però se mi chiedi se si tratta di un fuoco di paglia oppure no io temo che possa esserlo, nel senso che Atwood e LeGuin, nel momento storico in cui siamo è normale che la gente si rivolga ad autrici del genere, mentre io vorrei che si sviluppasse un’attenzione più solida e più permanente verso una letteratura che racconta il reale utilizzando una sponda futura, o una sponda invisibile. Levi parlava di proiettare l’ombra del presente e io penso che sia una metafora vincente perché quando si racconta una tecnologia non ancora implementata e si prova a vedere in che modo può avere effetto sulla società, procurare degli smottamenti, quello è un tipo di letteratura con cui spero si cimentino sempre più autori.

 In realtà questo discorso lo faceva anche Atwood affermando che, tratteggiando la Repubblica di Gilead nei suoi romanzi “Il racconto dell’ancella” e “I testamenti” , non ha inventato nulla, ha preso le teorie dei suprematisti bianchi e le ha riorganizzate in un’ambientazione di fiction. Inoltre la fantascienza è stata spesso superata, un esempio di ciò è il telefono che non è solo un device tecnologico ma incarna un bisogno che la fantascienza ha spesso mancato raccontando il futuro: la comunicazione. La fantascienza ne ha parlato ma spesso non dandole il ruolo che la comunicazione ha nel nostro presente. Secondo te la fantascienza ha un suo valore predittivo o è meglio che lavori sul presente?

Io non voglio dare direttive. Ci sono vari tipi di fantascienza. A me non interessa tanto la outer science fiction, la fantascienza ambientata nello spazio, però sono contento che esista. Quindi penso che essa debba continuare ad allargarsi e a esplorare ogni possibile ibridazione nel futuro. Per quanto mi riguarda trovo ci sia una lacuna. La climate fiction, per esempio, parla di futuri post apocalittici, di catastrofi, si concentra sull’attivismo oppure sui problemi passati, su come siamo arrivati a una certa situazione. Pochissima climate fiction si concentra su questo momento che è una fase di transizione in cui la letteratura avrebbe il potere di far emergere una realtà invisibile ma presente. Basta andare a parlare con i contadini alla foce del Po per sapere che c’è il cuneo salino e che già l’innalzamento dei mari sta creando problemi, basta andare in Louisiana, in Lapponia, a Giakarta stanno programmando di spostare l’intera città perché altrimenti sprofonderà. Questo non è più futuro , questo è presente, quindi io penso che gli strumenti della fantascienza potrebbero anche, non solo ma anche, essere impiegati per raccontare questo presente che con gli strumenti tradizionali del realismo mantiene dei punti d’ombra secondo me inaccettabili.

La tecnologia è uno dei protagonisti del cambiamento nella realtà quotidiana ma anche di un cambiamento nella fruizione della narrativa fantastica, nel senso che soprattutto nei media audiovisivi la tecnologia ha reso la narrativa fantastica molto più credibile a livello estetico, con un conseguente ritorno in auge della fantascienza cinematografica, ci sono poi i cinecomix che fino a vent’anni fa non sarebbero stati credibili. Insomma, la tecnologia ha portato il fantastico la grande pubblico, eppure il fantastico ha sempre fatto parte della letteratura. Cosa ne pensi di questo rapporto fra letteratura e fantastico a livello di essenza? Qualcuno lo vorrebbe negare, o levargli importanza secondo i dettami di una certa estetica crociana.

Domanda difficile. Io vorrei che fossimo tutti liberi di leggere e scrivere quello che vogliamo, vedo però in effetti un tentativo di tracciare una linea di demarcazione fra la letteratura “seria” e quella di genere. E’ vero che ci sono autori che utilizzano determinati dispositivi narrativi, sempre quelli, sempre la stessa cornice e sfornano libri che si limitano a intrattenere e non c’è nulla di male, è altrettanto vero che ci sono autori che fanno una ricerca letteraria molto corposa, magari escono con un libro ogni cinque anni, ora non voglio parlare di valore letterario, penso che ci siano delle vie di mezzo che rischiano di perdersi proprio a causa dell’intenzione di dividere ed etichettare i due settori. Penso che sarebbe interessante prendere il meglio di questi due modi di raccontare storie, realistiche o meno, di fatto si tratta sempre di aumentare la profondità del nostro sguardo sul mondo, che si tratti di narrativa fantastica sia che si tratti di narrativa realistica, l’effetto che fa sul nostro cervello è sempre lo stesso, è quello di mettere in comunicazione a profondità di sguardo di un autore con la profondità di sguardo di un lettore che, essendo parte attiva nel processo di creazione della narrazione, costruisce questa magia a due. Penso che i tentativi di distinguere questi modi di far letteratura si concentrino sull’autore e lascino poca libertà al lettore. Quello che io vorrei è che gli autori lasciassero più spazio ai lettori, non perdendo di vista il fatto che stanno scrivendo qualcosa che non può vivere da sola, e che non possono mettere il lettore con le gambe sotto un banco ma devono lasciargli spazio per apportare del suo a questa creazione.