Il sexoterismo di Theo Campanelli

La misteriosa figura e filmografia del mitico regista
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Personaggio curioso Teobaldo “Theo” Campanelli, che nel bis italiano c’è passato come una meteora, volendo esplorare il mondo della paura e approdando invece alla commedia samperiana. Marchigiano di origini (San Benedetto del Tronto, 1947) e con la passione per la regia, scrive, produce e realizza giovanissimo due cortometraggi horror in 16 mm. Il primo è del 1968 si chiama La bambola di pezza ed è stato girato in bianco e nero, mentre il secondo, del 1973, si intitola La strana notte di Herman Franz e dura 38 minuti. È quest’ultimo il biglietto da visita con cui Campanelli si prepara a bussare alle porte del cinema italiano. La strana notte di Herman Franz narra di un commerciante tedesco (Herman Franz, per l’appunto) che una sera investe un anziano pedone e poi si schianta contro un albero. Il vecchio, prima di morire, dice a Franz di recarsi in una villa lì vicino e di comunicare alla ragazza che gli aprirà la porte che la formula che cerca è nascosta in un libro di biologia. Il tedesco obbedisce, ma quando riconosce in una foto, nella casa della ragazza, l’uomo che ha investito e lo dice, la giovane ha un mancamento. Si tratta infatti della foto di suo padre (un famoso scienziato) morto qualche tempo prima in un incidente stradale. Quando la ragazza si riprende, di Herman Franz non c’è più traccia e il suo cadavere viene rinvenuto dalla polizia a bordo della macchina che stava guidando, schiantatasi contro l’albero. Del vecchio investito, ovviamente, non c’è alcuna traccia… Girato tutto a Ascoli Piceno (in gran parte nel cimitero) grazie a un gruppo di volenterosi amici impegnati come attori (Giovanni Quattrini, Andrea Cappelli, Augusto Storani, Alberto Sansoni e Dee Coley) e tecnici (Ettore Tavoletti e Nazzareno Marcozzi, alla fotografia) e con le musiche di Luciano Simoncini, La strana notte di Herman Franz si inserisce perfettamente nel filone gotico all’italiana anche se la storia è più vicina a cose tv come I racconti fantastici che non al cinema di Freda e Bava.

Del corto non si accorge nessuno e le porte del cinema per il povero Campanelli restano serrate per altri due anni. Anche perché a Roma lui non ci vuole andare o forse è la capitale a non volerlo. Fatto sta che per il suo primo (e unico) lungometraggio, Theo Campanelli decide di trovare finanziamenti altrove. Dove? Ma ad Ascoli Piceno naturalmente. Nella figura di un imprenditore, Gaetano Tassotti, che col cinema non ha proprio nulla a che fare, ma nutre delle ambizioni o, forse, si è solo lasciato incantare da Campanelli che gli propone la sceneggiatura di Anatema scritta con l’amico attore Cristian Auer, pseudonimo dietro il quale secondo alcuni fonti si celerebbe il consanguineo Teseo Cristian Campanelli. Tassotti fonda nel 1975 la Lory International Film e si rende disponibile a finanziare il progetto a patto che siano coinvolti nomi se non proprio di primo piano, perlomeno appartenenti alla cerchia del bis di cassetta. E così vengono arruolati Jenny Tamburi reduce dal successo di La seduzione, Gabriele Tinti, Francesca Romana Coluzzi e l’immancabile Luigi Pistilli, che resta in scena giusto il tempo di un cammeo. Insieme a loro uno stuolo di personaggi delle “Marche che contano” e qualche parente (Albana Tassotti). C’è naturalmente anche Auer nel ruolo del regista teatrale che tenta di mettere in scena lo spettacolo Anatema. Ma cosa significa “anatema”? Chiede giustamente a un certo punto la stranita Jenny Tamburi al professore Gabriele Tinti. «Anatema è il dramma di una società consacrata a un dio sconosciuto!». Detto questo, il film cambia subito titolo in Peccato senza malizia.

Del resto, è il filone samperiano a tirare di più e se si vuol fare qualche soldino (o per lo meno rientrare del capitale investito) a qualche compromesso si dovrà pur scendere. La storia quindi diventa quella di Stefania (Jenny Tamburi), che dal collegio di suore in cui è stata cresciuta finisce tra le braccia del patrigno libidinoso (Luigi Pistilli). L’uomo, dopo averla portata a vivere in una baita vicino al mare, le infila subito le mani nelle mutandine, lei scappa a San Benedetto del Tronto e si rifugia a casa dell’ex-professoressa lesbica (Francesca Romana Coluzzi). Qui, dopo qualche idillio momentaneo, conosce le prime pene d’amore per il bel maestro di pittura (Gabriele Tinti), che però è un puttaniere e la molla perché vuole: «inseguire un sogno di libertà assoluta e non sentirsi legato a delle strutture che sta combattendo da anni!». Sarà, ma lei ci rimane male. Però poi lui torna e i due se ne vanno insieme, mentre la professoressa si suicida per il troppo dolore.

Peccato senza malizia potrebbe sembrare il solito dramma borghese con venature sexy tipico del periodo e infatti lo è, ma in qualche modo riesce più simpatico di altri prodotti similari. Sarà perché mira al “giusto equilibrio” e se anche non riesce a soddisfare la dichiarazione di intenti che Campanelli esplicita in un passaggio del film, di fondere cioè il sacro e il profano in un’ unità, per lo meno riesce ad armonizzare aspirazioni colte (l’anatema) con le logiche dell’exploitation. Di sesso non se ne vede tanto (la materia non doveva interessarlo particolarmente), ma la Tamburi si concede come d’uopo con solerzia e passione, sia quando Pistilli le strappa le vesti scoprendole il seno, sia quando la Coluzzi la lava con la schiuma. Ma è nell’amplesso con Tinti che si osa di più e l’operatore birichino si intrufola da dietro per scoprire la poetica dell’infracoscie, lasciando come traccia di sé un’ombra sul culo.

Passato in censura il 15 febbraio del 1975, Peccato senza malizia, non si è particolarmente distinto al botteghino perdendosi nel mucchio selvaggio dell’erotico di stagione a basso prezzo e infrangendo il sogno cinematografico di Campanelli e Tassotti. Non quello di Cristian Auer, però, che per lo meno un’altra particina, in un film di Bergonzelli (Il compromesso erotico), può almeno vantarla. Per Theo Campanelli il sogno romano (se di sogno poi si può parlare) non comincia mai e la sua carriera prosegue nei luoghi della sua adolescenza dove anche in anni recenti si è dedicato a corsi di cinematografia. Ma il mistero marchigiano non finisce qui. Nel 2007 infatti Campanelli confida al giovane critico di BAIK Cinema, Dante Albanesi, che ha avuto il merito di riscoprire il corto di Herman Franz, l’intenzione di fare un film dal titolo La farfalla con le ali bagnate, da girarsi in Camargue (Saintes Maries de la Mer) nel sud della Francia. La sceneggiatura, scritta dallo stesso Theo Campanelli, dovrebbe essere tratta da un oscuro romanzo di Hellery Brown. Ma chi è Hellery Brown? Per scoprirlo basta andare sul sito http://www.hellerybrown.com/, dove un Theo Campanelli che si presenta come studioso di esoterismo scozzese, ci introduce al personaggio con queste parole: «Hellery Brown, di cui non si possiede una foto, è nato a Edimburgo intorno al 1896. Sembra sia morto in circostanze misteriose all’età di 43 anni nella piana gessosa e ondulata di Salisbury, a ovest di Amesbury in Gran Bretagna. Il suo corpo venne trovato nel centro del cerchio di Stonehenge all’ombra delle tredici pietre, tredici come furono i suoi inconfessabili e vergognosi delitti. Dopo il decesso, la salma venne trafugata da una setta da lui fondata e sepolta segretamente tra le rovine dell’abbazia di Abbey Melrose dove riposa il cuore di Robert 1° il Bruce, il grande eroe scozzese di cui Hellery Brown asseriva di essere discendente (…). Viaggiò molto in Europa, conducendo una vita dissoluta e scellerata. Commise 13 delitti, mai scoperti, dei quali non si ravvide né provò rimorso. Appassionato di scienze occulte, si dedicò allo studio della verità filosofica attraverso le rivelazioni esoteriche e gnostiche. Entrò a far parte di un ristretto gruppo di iniziati che praticavano antichi riti celtici e fondò una setta diabolica. Scrisse storie di gente maledetta e finita male che nessuno riuscì a leggere perché andarono distrutte in un rogo. Solo alcuni manoscritti furono salvati da qualcuno che li conservò gelosamente in una abbazia abbandonata della Scozia. Sembra che da lì siano stati trafugati i manoscritti La farfalla con le ali bagnate, suo primo romanzo, e La porta nel buio». Naturalmente del film, La farfalla con le ali bagnate, non se n’è fatto più niente e Theo Campanelli è scomparso nel nulla, ma in compenso la casa editrice Neftasia ha trasformato i due presunti romanzi di Hellery Brown in graphic novel curate dal torinese Andrea Cavaletto. Misteri d’Italia e di Scozia.