Da Slaughter a Snuff

Metamorfosi di un film impossibile
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Girato in Argentina e Cile nel 1971 da Michael e Roberta Findlay con un budget di circa 30.000 $, Slaughter era un film fuori tempo massimo. Le gesta della congrega di motocicliste hippie capeggiata da un magrolino emulo di Charles Manson che si fa chiamare Satan erano (come molti altri lavori di Findlay, al cui confronto Al Adamson sembrava Orson Welles) di una noia mortale, inframmezzate da interminabili sequenze folkloristiche e con un doppiaggio costantemente fuori sincrono. Dopo una breve quanto infruttuosa uscita in sala, Slaughter scomparve dalla circolazione. Che il film fosse invendibile se ne accorse anche il distributore Allan Shackleton, che con la sua Monarch Releasing Corporation aveva acquistato la pellicola nel 1972. Ma Shackleton cambiò titolo al film e organizzò una campagna pubblicitaria a effetto (“The film that could only be made in South America… where life is CHEAP!” strombazzavano i manifesti), lasciando trapelare indiscrezioni sulla natura non simulata delle atrocità mostrate e alimentando il furore della stampa. Poi preparò un finale ex novo che rimpiazzasse l’originario: cinque minuti in tutto, girati da Simon Nuchtern in un solo giorno in un appartamento di Manhattan, al costo di 10.000 $.

Slaughter culminava (si fa per dire) in una lunga sequenza in cui Satan e le sue donzelle assaltano la villa di un cinematografaro locale che traffica in armi e ammazzano tutti quelli che trovano. L’ultima a lasciarci le penne è un’attricetta che, come Sharon Tate, porta in grembo un figlio. Snuff inizia esattamente qui, con un brusco stacco a mostrare la troupe che sta filmando quella scena. Il regista si complimenta con l’attrice infilandole la lingua in bocca e iniziando a palpeggiarla. Lei ci sta, e pare non rendersi conto che l’operatore e il fonico stanno riprendendo tutto. Lui (che indossa una t-shirt con su scritto “Vida es muerte”) butta la tipa su un letto e inizia a fare sul serio: con l’aiuto degli altri la immobilizza, le pratica una lunga incisione sulla spalla, poi le trancia l’anulare con un tronchesino, prima di amputare l’altra mano con una sega elettrica. Lei, poverina, ce la mette tutta per non scoppiare a ridere, specie quando l’uomo le dà il colpo di grazia e procede a estrarle manciate di massaccesiana pajata da sotto la camicetta, ululando come un licantropo.

Snuff uscì il 12 gennaio 1976, con tanto di proteste e picchetti (fasulli) davanti ai cinema così da richiamare l’attenzione dei media, incassando 66.000 dollari nella prima settimana e superando colossi come Qualcuno volò sul nido del cuculo. Tutto per quei cinque minuti finali… Le autorità si interessarono alla faccenda: dopo che il procuratore distrettuale di New York, Robert Morgenthau, ebbe constatato il non luogo a procedere, l’autorità ingiunse a Shackleton di inserire nel film una dichiarazione in cui si chiarisse che a nessuno era stato fatto del male durante la rivelazione. Ma ormai il mito era stato creato. In realtà, le vere vittime dell’operazione-Snuff furono loro, gli spettatori. E vittima fu lo stesso Findlay, che vide il proprio film sfruttato senza troppi scrupoli, mutilato, privato del titolo e del finale, guadagnandoci una misera buonuscita. Di lì a poco, un grottesco incidente à la Holocaust 2000 sul tetto del grattacielo Pan-Am gli avrebbe troncato la carriera e la testa. That’s exploitation.