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The Invisibile Fight

2023
Titolo Originale:
The Invisible Fight
REGIA:
Rainer Sarnet
CAST:
Ursel Tilk (Rafael)
Ester Kuntu (Monk)
Indrek Sammul (Monk)

Il nostro giudizio

The Invisibile Fight è un film del 2023, diretto da Rainer Sarnet.

Si può girare un film di kung fu nella forma di una commedia ambientata nell’Unione Sovietica degli anni Settanta, principalmente all’interno di un monastero ortodosso? Sì, se sei il regista estone Rainer Sarnet e ci metti una dose di follia costruens, ossia non una galleria di stravaganze fine a se stessa bensì un’idea precisa e compatta di cosa vuoi fare e come metterlo in scena. Il film è The Invisible Fight, già passato a Locarno, che viene ora presentato in anteprima italiana il 27 febbraio al Seeyousound Film Festival, il festival di cinema e musica che si svolge a Torino dal 23 febbraio al 3 marzo (qui il programma). Perché questa “follia” è anche piena di musica, ma ci arriviamo. Il regista proviene dall’animazione, ha operato nell’editoria e negli spot pubblicati, per poi esordire al cinema nel 2011 con The Idiot, la sua versione di Dostoevskij (nientemeno), molto personale, di seguito ha firmato il gotico November nel 2018. Uno che conosce le regole dei generi. E soprattutto nato e cresciuto in una zona particolare del mondo, l’Estonia che fu in seno all’Unione Sovietica fino al 1991.

Il protagonista del film è Rafael (Ursel Tilk), un giovane che fa parte dei soldati sovietici posti di guardia al confine. I militari vengono attaccati da alcuni combattenti cinesi esperti di kung fu: sono una sorta di guerrieri volanti vestiti di nero che dalle loro radioline analogiche ascoltano i Black Sabbath, come fosse un inno di battaglia. Rafael resta ipnotizzato dalla coreografia della lotta, dall’eleganza e dalla letale efficacia, vuole essere uno di loro: inutile dire che non sa niente di arti marziali, a malapena riesce a camminare dritto. Inizia così il suo percorso, che lo porterà proprio in un monastero ortodosso, un luogo dove si coltiva la nobile arte del kung fu ma che è rigorosamente fuorilegge secondo l’Urss. Dal principio il giovane non viene accolto, anzi è allontanato e apostrofato come scemo: sarà un sentiero lungo, a tratti esilarante, quello che lo porterà a trasformarsi in guerriero kung fu sulle note dei Black Sabbath. Dopo il lento apprendistato, passando per i rivali e le donne, l’ultimo passo per raggiungere la conoscenza sarà ingaggiare il combattimento invisibile, quello del titolo, ovvero una lotta vertiginosa in cui si è in grado perfino di sconfiggere i pensieri cattivi.

Insomma, la cornice è quella dell’uomo qualunque che ambisce a diventare maestro di kung fu. Lo svolgimento è quello di wuxia demenziale, che gioca sull’accumulazione ma trova un metodo nella follia. Tutto il kung fu movie può essere legittimamente citato, a piacimento, perché viene frullato qui dentro con impeto tarantiniano, in particolare riferimento alle applicazioni più assurde e paradossali, alla Shaolin Soccer (ma anche addirittura Kung Fu Panda). I Black Sabbath incontrano Bruce Lee, il naturale riferimento eterno, il quale campeggia in un poster sul muro e vale quanto l’icona della madonna ortodossa. Il racconto è molto divertente, pieno di invenzioni, mirabilmente diretto e succede di tutto: per esempio, uno sfidante può mimetizzarsi in una catasta di veri teschi umani fingendosi uno di loro. Si uniscono con esiti felici vari generi e umori: il santo e il comico, la rivolta e il canto gregoriano, l’ascesi e la bellezza femminile. Che tutto ciò accada nel cuore dell’Unione Sovietica è talmente impossibile che a un certo punto fa il giro completo dell’incredulità e si finisce per stare al gioco. E se stai al gioco ti diverti.