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La Chimera

2023
Titolo Originale:
La Chimera
REGIA:
Alice Rohrwacher
CAST:
Josh O’Connor (Arthur)
Carol Duarte (Italia)
Isabella Rossellini (Flora)

Il nostro giudizio

La Chimera è un film del 2023, diretto da Alice Rohrwacher.

Alice Rohrwacher è stata una delle poche rivelazioni nel cinema italiano dell’ultimo decennio, perlomeno quello che va ai festival e vince premi: è l’unica che propone a certi livelli un’etnografia del cinema, o un cinema etnografico, se preferite, cioè va gradualmente a sfogliare gli usi e tradizioni del nostro Paese, non al centro ma in periferia, concentrandosi su segni e simboli, sull’elemento magico. Una cosa simile si era vista nella prima parte di Re Granchio, che era un gran film, ma non sfiorò mai la gloria internazionale. Il cinema di Alice si offre come una bucolica, è una visione panica non nel senso di paurosa, ma proprio riferita al dio Pan, colui che per i greci soffiava forza vitale nella natura da una posizione pagana, in grado di destare meraviglia. Le meraviglie è proprio un titolo della regista. Stavolta l’idea alla base si asciuga, torna singolare e diviene La Chimera. “Ha le chimere”, si dice del protagonista del film che mostra qualità da rabdomante. La chimera è anche l’essere mitologico con testa di leone, corpo di capra e coda di serpe. E la chimera è l’apparizione evocata da Dino Campana nei Canti Orfici, così come “orfico” vuole essere questo cinema.

La Chimera di Rohrwacher, dal 23 novembre in sala dopo il passaggio in concorso a Cannes, ferma la lente su un’immagine finora inedita: quella dei tombaroli, che negli anni Ottanta agivano nelle campagne tra Lazio e Toscana in cerca di tombe etrusche, da saccheggiare per poi vendere gli oggetti al mercato nero dei reperti. Poveracci, di base, figure di una civiltà contadina indigente che prova in ogni modo a sbarcare il lunario, e che tutto sommato non vanno condannati: “Il tombarolo è una goccia nel mare”, recita lo stornello del cantastorie che accompagna la narrazione. La vicenda principia quando l’inglese Arthur (Josh O’Connor, quello di Doctor Who e Peaky Blinders) torna a unirsi alla gang dei tombaroli, dopo un periodo di lontananza obbligata di cui scopriremo il motivo: è proprio lui ad “avere le chimere”, perché in grado in modo rabdomantico di indicare esattamente il terreno in cui scavare, da cui trarre lo scrigno etrusco coi tesori archeologici. Un personaggio nelle corde della regista, lo straniero, il candido problematico che arriva in un contesto e lo sovverte, come era Martin ne Le meraviglie e com’era lo stesso Lazzaro Felice. Figure “mitiche”, leggende agresti che sembrano uscite dai racconti di paese. Arthur fa la gioia della banda, ovviamente, e incontra la nuova arrivata Italia (Carol Duarte) la quale scoprirà gradualmente la vera essenza del giovane e tesserà con lui un’ipotesi di amore. La comunità tombarola viene guidata dalla madrina Flora (Isabella Rossellini) e composta da un’umanità variegata come Pirro (Vincenzo Nemolato), Cico (Luca Chikovani), Mélodie (Lou-Roy Lecollinet).

Da parte sua, anche Arthur ha una chimera: prende la forma di Beniamina, e il volto di Yile Vianello, ossia l’amore passato, svanito, che l’inglese rivede come immagine spettrale. Il racconto tratteggia i caratteri della congrega e, dovendo costruire un intreccio, porta la banda al “colpo grosso” di una vasta tomba etrusca con oggetti rari e preziosi; una volta saccheggiata si dovrà vendere al boss del losco commercio, tale Spartaco che si rivela essere Alba Rohrwacher, ma allo stesso tempo l’atto di profanazione porta nuovi dubbi. È giusto depredare una civiltà millenaria e disturbare il sonno dei morti? Il film inserisce la traccia soprannaturale nel potere di Arthur, il sensitivo, colui che ha le visioni, senza peraltro mai spiegarla aumentandone così la forza. Rohrwacher gira in varie location nel Lazio: tra queste l’area della Tuscia, Tarquinia, Civitavecchia, la frazione di Blera in provincia di Viterbo. Spazi che vengono occupati solo dai film di genere, spesso per motivi di budget, vedi l’ottimo horror Resvrgis girato sui Monti Simbruini. Inquadrare tali luoghi, dare loro una centralità cinematografica è il gesto più forte de La Chimera, comprese l’evocazione della cultura etrusca e le sequenze suggestive delle “calate” nelle tombe, sorta di wunderkammern in cui si può trovare il nulla oppure un tesoro. Detto questo, però, il potere narrativo della Rohrwacher oggi mostra la corda: se l’indagine etnografica resta valida, le storie tendono a ripetersi, le figure a disporsi in modo automatico, le dinamiche a seguire una fredda meccanica. Prendiamo i vari personaggi che compongono i tombaroli: nessuno di loro è davvero approfondito, tutti verranno dimenticati sui titoli di coda. Lo stesso Arthur, a ben vedere, è un protagonista troppo tipico per colpire davvero, che scivola lentamente nello stereotipo; anche il suo amore fantasma con Beniamina, che cita il mito di Orfeo ed Euridice, resta in teoria e non arriva davvero a sfiorare il cuore. Sono invece indelebili gli stornelli di Valentino Santagati, vero interprete della musica popolare, strofe potenti, coinvolgenti e perfino struggenti che da sole valgono la visione.