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I tre volti della paura

1963
Titolo Originale:
I tre volti della paura
REGIA:
Mario Bava
CAST:
Michèle Mercier (Rosy)
Lydia Alfonsi (Mary)
Boris Karloff (Gorca)

Il nostro giudizio

I tre volti della paura è un film del 1963, diretto da Mario Bava

Centri d’interesse di Mario Bava sono il colore e gli oggetti nati dalla luce pittorica: in questo senso, che I tre volti della paura sia dotato d’una cornice è funzionale sia al fatto che si tratta di un film a episodi, sia a una dichiarazione di origine estetica: il cinema continua la pittura con altri mezzi. La cornice, debole all’inizio con Boris Karloff che si rivolge al pubblico come un imbonitore da circo, è folgorante alla fine, quando mostra l’artificio della messa in scena: nel 1963 l’uso dello straniamento non era frequente, soprattutto nei film di genere. Nell’episodio Il telefono gli oggetti, dalla calza che strangolerà Mary al coltello che ucciderà Frank, sono centrali; tuttavia, protagonista per la sua possibilità di essere maschera umana resta il telefono, che una volta messo in azione è in grado d’innescare autonomamente una tragedia dell’errore; anche il corpo femminile è oggetto desiderato, ma la reificazione non è perfetta: per questo Rosy si salverà con le proprie forze.

Escludendo dei paesaggi alla Friedrich, in I Wurdalak ci troviamo di fronte a un’onesta opera sulla zombificazione degli esseri amati da parte dei morti viventi; Bava sfrutta però l’occasione della scadenza temporale precisa (se il padre non tornerà entro la mezzanotte del quinto giorno dalla sua partenza, i figli dovranno ucciderlo perché sarà divenuto un wurdalak) per sovrapporre tempo filmico e tempo reale: dopo aver fatto ascoltare tutti i rintocchi dell’orologio, il regista concede qualche secondo al vecchio per presentarsi ai suoi. Ma come dice Pietro: «Come si fa a sapere se i cinque giorni sono trascorsi?». Così lo spettatore empatizza ancor più coi personaggi condividendone il tempo vissuto e quindi la situazione paurosa.

La goccia d’acqua: l’infermiera sfila l’anello alla medium morta / esso scivola a terra / la donna s’inginocchia per recuperarlo / la mano della morta ha uno scatto e tocca l’infermiera / lei si spaventa, colpisce il comodino e fa cadere un bicchiere / da esso gocciola dell’acqua: la scena riassume sia l’apparente animarsi degli oggetti, sia lo scatenarsi d’una vendetta che nel suo sfuggire a un criterio di identificazione (complesso di colpa o magia?) diventa una riflessione sui canali di percezione che il cinema sfrutta, solo che si rifletta sulle riprese, dove soggettività e oggettività giocano continuamente a rimpiattino.