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Grida dalla palude

2022
REGIA:
Lorenzo Lepori
CAST:
Simona Vannelli (Angela)
Lorenzo Lepori (Max)
Pio Bisanti (Ivan)

Il nostro giudizio

Grida dalla palude è un film del 2022, diretto da Lorenzo Lepori

Che sia benedetto, per una buona volta, il diabolico perseverare. Ad insistere sono Lorenzo Lepori e Alex Visani, anime distanti ma affini del nostro cinema di genere underground che hanno deciso, negli ultimi anni, di navigare assieme da co-ammiragli attraverso diversi progetti. Flesh Contagium e Nati Morti, per citare i precedenti, furono due ottimi prodotti: ben costruiti seppur sbarazzini, viscerali ma anche romantici, cattivi e divertenti come solo i migliori imbonitori sanno essere. Grida dalla palude, che vede Lepori alla regia e Visani alla fotografia, è una coerente continuazione, anche se stavolta possiamo permetterci di dire che l’asticella si è alzata. Come nei suddetti lavori del duo, l’anima multiforme e anarchica dell’impianto narrativo tende ad attrarre, come minimo a non lasciare indifferenti anche qualora non si sia assidui frequentatori del sottosuolo italico. Unico obiettivo: stupire e osare, anche con un po’ di nostalgia e riverenza verso un cinema che fu e che probabilmente non sarà mai più. Appunto, il diabolico perseverare. Così come non molla Angela, protagonista della storia interpretata da una Simona Vannelli intensa ed immane. La sua è una missione vendicativa contro l’uomo che lei ritiene essere stato la causa della morte del compagno e del figlio: il viscido e mefistofelico dottor Max (Lepori).

Una vedova disperata e sull’orlo della follia, ad un primo sguardo. Una strega pronta a scatenare le sue arti, si scoprirà subito dopo o almeno parrebbe. C’è il calderone, c’è il rituale tra nudità e sinistre formule, c’è il lungo coltello millenario protagonista della nemesi tragica. C’è tutto e anche di più, perché dentro la scatola si nasconde un’altra scatola da aprire: è così che la nostra scopre la vera faccia del male, assai più impressionante delle aspettative. Max usa infatti rapire e seviziare delle donne assieme a due suoi amici, qui interpretati da Pio Bisanti e Antonio Tentori (entrambi spaventosamente convincenti), presso un’isolata tenuta di caccia. Siamo dalle parti, insomma, de La pericolosa partita, con sfumature varie tra rape & revenge e vera e propria exploitation: un gioco perverso che trova nella sopraffazione totale della vittima l’unico scopo di fondo. La caccia come spietata dimostrazione di superiorità, che sia di genere o di classe sociale.

Ma appunto i conti bisogna farli con Angela, che a dispetto del nome sa cos’è il vero Male e anche come scatenarlo. Lei è veramente la strega, come invece capiscono i piccoli figli di Max quando vedono (o avvertono) la donna aggirarsi nei dintorni della casa. Il ribaltamento vittima-carnefici, nel frattempo, viene costruito nelle premesse, con la consapevolezza che non si tratterà di qualcosa di convenzionale. È qui che la parte sovrannaturale del film inizia a conferire al tutto l’atmosfera che rimarrà più impressa, con quel carnale ed allucinato preambolo all’ingresso in scena del deus ex machina o, meglio ancora, del kakòn daìmona, ossia il “cattivo genio”, il demone degli inferi. Che, in questo caso, è Lucio Fulci. L’Aldilà risuona assordante nei minuti finali, tra zombi che non sono proprio zombi e bulbi oculari strappati con ultraterrena violenza. Ecco le grida dalla palude, ecco la catarsi compiersi nell’oscurità, come nei teatri classici. Ecco un finale potente, poetico, come horror comanda. La forza delle idee che trova la bellezza delle immagini, in un abbraccio che sa di eternità e in uno sguardo che è cinema. Quello che vorremmo vedere più spesso.