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Nati morti

2021
REGIA:
Alex Visani
CAST:
Ingrid Monacelli (Luna)
Lorenzo Lepori (Tony)
Corinna Coroneo (Clizia)

Il nostro giudizio

Nati morti è un film del 2021, diretto da Alex Visani

“Morire è un’arte, come ogni altra cosa”, diceva Sylvia Plath. Distruzione che diventa creazione, dunque: una nuova vita laddove vita non è più. E si può anche amare, pure eroticamente, la morte. Non il morto o la morta, ma la morte, intesa proprio come la manifestazione naturale e finale dell’esistenza. È per questo che viene da storcere il naso quando si creano, imprudentemente, legami tra storie, film, prodotti che poi alla luce dei fatti non ne hanno poi così tanti. Buio Omega di Massaccesi, facciamo pure nomi e cognomi, non lega con Nati morti di Alex Visani, se non per una questione di spirito, di idea rappresentativa. Che poi, magari, è  proprio lo spirito ciò che più interessa a chi guarda. E senza dubbio il secondo non si sentirà mai offeso di essere messo nello stesso discorso con il primo, anche se non guasta mai scavare più a fondo e dare a Cesare quel che è di Cesare e a Visani quel che è di Visani. Che, per inciso, è un metteur en scène di indubbio talento.

Secondo prodotto, dopo Flesh Contagium, del sodalizio artistico tra Visani e il collega Lorenzo Lepori, Nati morti ha dalla sua un gusto del macabro assolutamente d’impatto. La base è l’incontro tra Luna e Tony, due amanti della morte in diversi campi d’impiego. Lei ha rinunciato a fare il medico per dedicarsi alla sua passione per la tassidermia; lui, semplicemente, uccide. Senza troppi fronzoli e velleità artistiche, ma con la forza bruta e il pragmatismo di chi deve fare un lavoretto senza difetti. La situazione che li mette di fronte è altrettanto inequivocabile: lui è ferito gravemente, legato ad una sedia, con la sua ultima vittima stesa sul tavolo mortuario e Luna a vigilare. C’è già tutto, quando ancora in realtà non c’è niente: un altro particolare pregio del film. Le poche coordinate offerte bastano già da sole, serve soltanto, appunto, il contenuto più “organico”, che non tarda comunque ad arrivare. L’atmosfera si fa sempre più rarefatta e, proprio nella parte centrale, assistiamo a quella che senza dubbio è la parte migliore del film, tra allucinazioni, smembramenti e un momento “viscerotico” (si conceda il neologismo). Momenti che rimangono impressi nella mente, ottimi nel non scadere mai nel banale o, in un caso specifico, nel cringe. Lo stesso ambiente assume sempre di più tratti da cinema gotico, con tonalità tendenti al grigio a smorzare i pochi colori accesi del quadro.

Naturalmente se da un punto A si è arrivati al B, in qualche modo si dovrà anche arrivare al C, con la conseguente necessità di allargare l’azione rispetto al solo scantinato e anche di proseguire la mattanza. Necessario, dunque, ma non altrettanto affascinante, tra matrigne ed altri malcapitati che dovranno incrociare strade e sguardi con il sempre più probabile duo. Momenti puramente strumentali a stabilire il trait d’union tra i due personaggi, ormai in grado di comprendersi e di apprendere l’uno dall’altra, e in seguito il sigillo capace di legarli ancora di più, in un finale poetico nella sua tragicità. Si poteva, probabilmente, spiegare meno (specie per quanto riguarda Luna) e lasciarsi trascinare dalla storia principale e dai suoi tanti stimoli, tuttavia il succo (non gastrico) c’è ed è ancora l’amore per la morte: quella condizione che, attraverso l’immobilità e l’inespressività, ci fa diventare opere d’arte di un dio creatore e distruttore al tempo stesso. La bellezza più naturale, ma destinata all’eternità: in fondo siamo nati principalmente per morire.