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Blood

2022
REGIA:
Brad Anderson
CAST:
Michelle Monaghan (Jess)
Skeet Ulrich (Patrick)
Finlay Wojtak-Hissong (Owen)

Il nostro giudizio

Blood è un film del 2022, diretto da Brad Anderson.

Chi non muore, prima o poi, si rivede. Ma, a volte, anche chi ritorna dopo parecchio tempo è destinato inevitabilmente a lasciarci le penne. E nonostante il buon Brad Anderson sia, cinematograficamente parlando, tutt’altro che morto e sepolto, era proprio l’ora che il nostro Uomo senza sonno tornasse a farsi vedere da queste orrorifiche parti; soprattutto dopo un interessante e ingiustamente snobbato filmetto come Fractured. Ma d’altronde, si sa, il cinema è un po’ come il sesso: più lunga è l’astinenza e più c’è il rischio di perdere per strada il proverbiale tocco magico. E malgrado l’indubbio buon mestiere e tutte le residue buone intenzioni, non vi è alcun dubbio che Blood sia, in fin dei conti, un’occasione irrimediabilmente persa. Una di quelle occasioni che, con una sceneggiatura un poco più in grazia di Dio e una regia un tantinello più ispirata, forse – e dico forse – qualcosina di graffiante avrebbe potuto anche cavarlo fuori. Un po’ come asportare un canino, insomma: difficile, doloroso ma, in certi casi, terribilmente necessario. Ed è appunto un’ennesima storiella di canini ben appuntiti quella che Blood sembra volerci schiaffare dritta sul muso con il suo tutt’altro che equivocabile titolo.

Una storia che, così come molte altre sin dalla notte dei tempi, ha inizio da una rottura: quella tra la ex farmacodipendnete infermierina Jess (una Michelle Moneghan inspiegabilmente sfrattata dalla consueta comfort zone della romedy) e il di lei ormai fu maritino Patrick (Skeet Ulrich), reo di averla rimpiazzata con la bella e giovane tata Shelly (Danika Frederick) all’indomani di un crollo nervoso. Costretta a trasferirsi nella grande casa appartenuta alla defunta zia per far fronte all’agguerrita causa di affidamento degli amati – e a lungo trascurati – figlioletti Owen (Finlay Wojtak-Hissong) e Tyler (Skylar Morgan Jones), la nostra complessata ragazzona interrotta si troverà a dover fare i conti un inaspettato grattacapo quando Pippin, l’allegro Golden Retriever di famiglia, farà misteriosamente perdere le sue tracce nei pressi del melmoso bacino di un lago ormai prosciugato, al centro del quale un sinistro albero rinsecchito sembra gridare Pet Sematary da ogni sua fronda e oscura cavità.  Ma il provvidenziale ritorno all’ovile del nostro aggressivamente trasfigurato Fido sarà solo il preludio di un orrore ben più grande, dal momento in cui un virulento morso, sferrato a tradimento alla gola del suo fidato padroncino, trasformerà quest’ultimo in un aspirante succhiasangue sotto apparenti innocenti spoglie; costringendo la nostra scioccata e combattuta mammina a fare di tutto – persino a rapire un’oncologica anziana con già un piede nella fossa per trasformarla nella sua personalissima sacca ematica ambulante – pur di nutrire a dovere il proprio imberbe e preadolescente Nosferatu.

Volendo rimanere in tema – e nonostante tutte le emoglobiniche premesse del suo titolo –, Blood è quel che si suol dire un film decisamente anemico, tanto nelle idee quanto nella sua stessa messa in scena. Uno di quei film innegabilmente mediocri che, fossero usciti nei tardi anni Novanta, avrebbero probabilmente avuto ancora qualche chance di conquistare un posticino, se non nel nostro cinefilo cuore, quantomeno alla periferia delle nostre menti e delle nostre arrossate retine. Ma essendo in un 2023 in cui, tra i vari Renfield, Day Shift e Demeter di vampirica compagnia mordente ne abbiamo ormai da vendere e rivendere, non bastano più un paio di occhietti traslucidi nel buio e qualche ciucciatina di flebo per scomodare crocifissi, acqua santa e paletti di frassino. Anche perché, a volerla dire proprio tutta, se l’intento di Anderson e della sua combriccola era quello di porre l’accento sul distorto rapporto di co-dipendenza fra un Mostro e i suoi amorevoli (co)stretti familiari procacciatori, beh, un’occhiatina al ben più valido My Heart Can’t Beat Unless You Tell It To sarebbe forse occorsa; anche solo per capire perché, qualche volta, (Non)Solo gli amanti sopravvivono al sorgere del sole. Alla facciaccia del caro Jarmusch.