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American Horror Story: Asylum

2012
Titolo Originale:
American Horror Story: Asylum
CAST:
Zachary Quinto (Dr. Oliver Thredson)
Joseph Fiennes (Monsignor Timothy Howard)
Sarah Paulson (Lana Winters)

Il nostro giudizio

American Horror Story: Asylum è una serie del 2012, trasmessa in Italia nel 2103, ideata da Ryan Murphy  e Brad Falchuk.

Stati Uniti: una giovane  coppia di sposi in viaggio di nozze (lui è Adam Levine, frontman dei Maro-on 5) la cui lei è una fanatica visitatrice di luoghi maledetti, si ritrov , ai giorni nostri, in quello che negli anni 60 era stato un ospedale psichiatrico scenario di efferatissimi delitti e sanguinari misfatti. Iniziano  i giochi  della caccia al deforme, del bondage sul letto di contenzione,  della ricerca di un selfie con il mostro, ma purtroppo tutto finirà in una mattanza il cui artefice non è un gang di bulli come si poteva pensare in un primo momento, ma un serial killer dalla storia personale legata a doppio filo al maniero/manicomio di Briarcliff. Ma gli sviluppi di questa prima scena di American Horror Story: Asylum saranno rilasciati al pubblico con il contagocce, puntata dopo puntata, perché gli eventi ci riportano ben presto al 1964, anno in cui il manicomio di Briarcliff è nel pieno della sua attività sotto la direzione di suor Jude (ancora una Jessica Lange in stato di grazia). Qui ci si accorge di come la casa di cura mentale sia un significativo specchio dell’America puritana, borghese  e perbenista, degli anni ’60, in cui convergono personaggi che riportano l’attenzione su temi caldi dell’epoca, ma diciamo pure di sempre: il razzismo, l’omosessualità, la religione e i religiosi, la maternità, l’infanzia, la lotta tra il bene  e il male, l’amore libero, il sesso, la morale, il Natale, l’uso di elettroshock e altre aberranti terapie mediche sperimentali, c’è persino spazio per il nazismo e i criminali di guerra riciclati nella società.

Ci piace che gli autori di American Horror Story: Asylum  abbiano trattato questi argomenti con il massimo della libertà, fuori da ogni stereotipo, in  maniera ironica e  dissacratoria; la sensazione è che attraverso le storie dei personaggi che entrano ed escono ciclicamente dal manicomio si voglia accusare di tanti misfatti una società dalle vedute  molto ristrette, mentre lo stato di follia, reale o anche solo presunta, diciamo pure la condizione di folle, sembra una  tappa tanto dolorosa quanto fortunata, che solo chi riesce a superare può dirsi capace di aver capito come gira il mondo. Molti dei personaggi principali da visitatori  (giornalisti, medici, parenti, religiosi) diventano pazienti, per poi tornare ancora una volta fuori nella società “libera”, attraverso uno sviluppo circolare che conferisce ai caratteri spessore e profondità: l’elaborazione dei personaggi è uno dei punti  a favore di questa serie. L’infanzia, come la maternità, sono sempre tappe fondamentali: le peggiori nefandezze sono spesso frutto di traumi infantili, i diversi maniaci e assassini presenti nelle storie hanno vissuto l’esperienza dell’orfanotrofio, o dell’affetto materno mancato, del contatto materno negato, dell’allattamento rifiutato. E le nascite possono essere momenti sacri o maledetti da cui dipenderà il destino degli individui.

Dal punto di vista tecnico, si rivela molto efficace l’uso delle nuance pastello tipo pubblicità  anni ’60 per gli esterni, alternato al B/N del manicomio, dove, invece, solo l’arrivo del Diavolo può strappare qualche nota di colore. O l’arrivo degli extraterrestri. Si, proprio loro. Esseri venuti dall’al di là in soccorso di umani tanto sfortunati quanto “predestinati” che, attraverso il loro intervento, hanno un’altra chance di una nuova e diversa vita. L’inserimento di questo elemento crea un anello debole o quantomeno sconnesso con il resto della narrazione, che diversamente sarebbe risultata ben omogenea e coerente, forse anche troppo:gli autori Ryan Murphy e Brad Falchuk sono avvezzi all’inserimento di elementi di rottura degli schemi. Colonna sonora eccezionale, brani fondamentali del repertorio americano “sixties” che si inseriscono nel contesto narrativo con sapiente maestria, abbinando la loro leggerezza melodica a immagini forti e raccapriccianti. Ne citiamo uno fra tutti, quello che fa un po’ da leitmotiv alla serie: ”Dominique”,  un inquietante brano, unico grande successo di Jeanine Deckers, una suora che negli anni ’60 lo incise dedicandolo a San Domenico. La suora rinunciò ai voti innamorandosi di un’altra ex-suora con la quale poi condivise un destino tragico. Asylum è l’Inferno, un luogo maledetto dove la violenza abbonda e insieme a essa la corruzione, la degenerazione e la perversione; ma se si riesce nello sforzo, piccolo o grande, di guardare oltre tutto ciò, vi si può trovare, ben celata, la strada per il Paradiso.