Intervista ad Antonio Stea

Parla il regista di Stranger premio della Giuria Unisalento al Festival del Cinema Europeo
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In occasione dell’edizione 2020 del Festival del Cinema Europeo, abbiamo incontrato Antonio Stea che, grazie a Stranger, ha ricevuto dalla Giuria Unisalento, una menzione speciale.  Nato nel 1991, sin da bambino mostra interesse per l’arte teatrale e cinematografica, partecipando a laboratori in ambito scolastico. All’età di 16 anni scrive e dirige il suo primo cortometraggio. Nel 2014 consegue il diploma presso l’accademia del Cinema Ragazzi Enziteto (Bari), un percorso che gli consente di conoscere e perfezionare le tecniche relative ai diversi campi della cinematografia. Durante questo periodo ricopre più figure su vari set, specializzandosi nelle riprese e nel montaggio video. Maturato da queste esperienze, inizia a realizzare una serie di prodotti filmici, tra cortometraggi, documentari e videoclip. Si dedica allo studio delle tecniche di animazione, stop-motion e puppet animation. Vince il premio “Miglior cortometraggio” con il corto animato Liminal al The Next generation short film festival 2018, il primo premio con il videoclip Grim July al Cineconcerto 2019 e il premio miglior videoclip con Nope Face al Long story shorts international film festival. Attualmente procede alla realizzazione di diverse opere in stop-motion.

Antonio, Stranger racconta di un uomo estraneo a sé, al mondo e al proprio simile. Fa riferimento ad un mondo fisico o ad uno interiore?

Il corto racconta di un uomo che cerca. La ricerca è certamente interiore, ma noi spettatori non siamo nella sua interiorità. Lo spazio è reale? Sicuramente il personaggio si muove da qualche parte… Egli è straniero per tre volte fin dall’inizio con la mancanza di consapevolezza di sé, l’essere apolide, l’assenza dell’altro.

La stella ad otto punte indica la sacralità dell’uomo. Qual è il significato che le ha voluto attribuire?

La simbologia, sulle porte e sul suo talismano, rappresenta la rosa dei venti. Il suo simbolo è una strana bussola che lo guida magneticamente tra le stanze. Egli è un viandante, un migrante… In cerca della sua stanza.

Cosa o chi rappresenta l’interno della casa?

L’intento è quello di comunicare un sentimento di solitudine, avvolto dall’illusione del focolare domestico. La stanza accogliente non è la sua casa; è un non-luogo destinato a essere ancora una volta un’altra stanza di passaggio. Un momento di quiete, prima della tempesta.

Lei ha utilizzato dei quadri noti, ha voluto indicare un preciso momento storico?

I quadri sono simbolici. Ho utilizzato alcuni dipinti per mostrare la sua condizione tragica; altri come rimandi alle sue scene vissute, come il suo passaggio nella foresta incendiata; altri ancora come anticipazione del suo futuro.

Com’è nata l’idea di quella particolare presenza sonora?

Per questa risposta lascio la parola al mio amico e compositore Gianvito Novelli, che collabora con me in tutti i miei progetti: “Ho immaginato di essere dentro del materiale gleboso, gelatinoso ed elettrico. È venuto fuori un racconto sonoro disturbante, irrequieto fino alla fine. Le pareti di un non-luogo potrebbero suonare così. L’idea è quella di far venir fuori uno stato dell’anima”.