Intervista a Luca Paniconi

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Luca Paniconi lo sento appena ha terminato un provino. Pubblicità. Forse è andato bene, ma si deve attendere la risposta. La vita dell’attore: attendere. Luca è in buona emersione di questi tempi grazie a un ruolo in Suburra 2. Quando lo intervisto, io ancora non ho visto la nuova stagione su Netflix. Ero rimasto alla vecchia e al film germinale di Stefano Sollima. «La seconda stagione è migliore della prima. E te lo dico prima da spettatore che da interprete. Tutto è molto più dinamico e più veloce», mi dice. Gli credo anche senza avere visto. In effetti, la prima era una stagione faticosa e lenta. «Io sono un personaggio nuovo nella serie, nella precedente non c’ero. Sto in campo cinque puntate, finchè mi ammazzano. Muoio molto male», ride Paniconi, del quale sono andato alla ricerca delle origini, ritrovando film dell’inizio di questo secolo, per esempio uno di Daniele Vicari, Velocità massima. «Ho iniziato veramente presto, quando avevo 8 anni. Prime pubblicità. Poi, dopo, questo bel bambino iniziò a fare anche qualche filmetto, però sempre in sordina, in ruoli piccoli. Finché non ho fatto la prima scuola, teatro di improvvisazione, al Manzoni di Roma». Luca è romano, nato a Roma: «Ho questa fortuna», dice, «nel senso che vivo in questa città dove il cinema esiste». Filmetti, lavoretti, utili a pagarsi l’Accademia di Enzo Garinei, che ha frequentato a partire dai 18 anni. Il cinema gli proponeva ruolini, personaggini: genere, amico di scuola e cose così. «Non ho mai fatto comparse, questo no. Le cose di cui parlo erano Un medico in famiglia, Amico mio… cose vecchie, antichissime e io ero davvero piccolo…».  Luca deve dire comunque grazie ai suoi che lo hanno aiutato, sostenuto e se non ci fossero stati loro, sarebbe stato difficile continuare. «Senza di loro, avrei mollato da anni. Mi esortavano: “Hai studiato una vita, hai fatto sforzi enormi”… Mi hanno sempre dato la carica. Mi hanno dato e mi danno qualcosa di inestimabile».

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Il discorso scivola così, inevitabilmente, sulle difficoltà di essere attore oggi, in questa Italia, in questo panorama: «Devi lottare contro tutto. Devi davvero lottare contro tutto. Può darti il 100% della gioia e può darti il 70% di tristezza. Non è che il lavoro non ci sia, anche se dipende poi molto dall’ambiente in cui capiti. Con Netflix, per esempio, c’è più lavoro per gli attori…». Gli attori, già. Il problema è chi rientra in questa definizione, oggi. «Se sei bello, sei attore. Oggi, in determinati contesti, funziona così. Per noi diventa quindi un po’ più difficile fare il nostro mestiere». La iattura dei belli. Non dei belli in quanto tali, ma dei belli in quanto belli e basta. La Rai e Mediaset con le loro fiction sono esempi preclari di tale andazzo. Paniconi mi porta come speranza al contrario Il primo re che: «È pieno di emozione. E a me piace questo cinema, che definisco cinema verità, dove l’occhio deve parlare, deve dire la sua».  Luca ha studiato per oltre dieci anni. Le scuole servono: «Sì, perché ti formano, ti danno una base, anche se poi è necessario l’allenamento sul set o sul palcoscenico, perché tu hai la tua arte e tutto quello che ti hanno insegnato lo fai tuo e diventa una cosa personale». Suburra 2 non può non essere considerato una sorta di traguardo per un attore: «Fare Suburra non è stato facile. Parliamo di una serie che va in quasi duecento Paesi del mondo e che mette in scena eventi che ti chiedono di interpretare qualcuno, di essere qualcuno. Devi studiarti la verità del personaggio per restituirla. E poi entri in una macchina di serie A, sei su un Ferrari. Suburra mi ha cambiato proprio a livello di lavoro sul set e mi ha fatto crescere. L’ho percepito mentre facevo due nuovi film, ultimamente. Perché ero molto più tranquillo sul set…». I più recenti impegni di Luca sono stati Din Don, di Claudio Norza, e un cortometraggio come protagonista, Core nero, sul fattaccio del Vicolo del Moro (che finì anche sullo schermo nel 1973, con il film Storia de fratelli e de cortelli, di Mario Amendola): «Il fattaccio è trasportato ai giorni nostri. Io interpreto questo magnifico personaggio, Nino. L’8 marzo è stato proiettato in anteprima nazionale al cinema Apollo di Roma. E andrà in tutti i festival. La regia è di Antonella Laganà».

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Tornando a Suburra 2, Paniconi non ha voluto controfigure, nelle numerose scene movimentate ma anche decisamente pericolose alle quali ha dovuto adattarsi: «Ho voluto farle io, sì, perché ogni cosa che ho fatto nella vita me la sono guadagnata. Quindi, qualsiasi cosa nel limite della sicurezza e del possibile, cerco di farla da solo. In Suburra mi hanno fatto fare un piccolo corso, all’inizio, di action movie: come cadere, come prendere un pugno o un colpo in arrivo. C’era uno stuntman che ci addestrava e a me questa cosa è piaciuta tantissimo. Ti insegnano tutto. A me dicevano che ero molto bravo a prendere gli effetti, ad esempio i proiettili in arrivo ma pure le borsettate, come quella che in una scena mi dà Alessandro Borghi». Il personaggio di Luca in Suburra, però, non muore per un colpo in arrivo, ma bruciato vivo: «Io sono per natura un perfezionista. Le cose, per me, devono riuscire perfette. Nel caso della mia morte, il totale non potevo farlo io, ma ci voleva uno stunt che conoscesse tutta la procedura, che è molto rischiosa, anche per un cascatore professionista. Ma in un’altra scena che poi, purtroppo, non hanno montato, mi sono prestato per il dettaglio delle gambe che andavano a fuoco. Il produttore mi aveva chiesto se mi andasse e io avevo accettato. Lì per lì non ci avevo riflettuto molto, poi al momento di farlo, vedendo che vai a fuoco, un po’ ti caghi addosso!». Il tutto va in direzione dell’amore per il cinema verità: «Questo mestiere mi fa vivere, nel senso che mi sento vivo. Mi ha dato il 100% della gioia e io devo ridare tutta questa gioia. Quindi, qualsiasi cosa faccio, la devo fare al 100% di tutta la mia energia».