Featured Image

Caleb

2020
Titolo Originale:
Caleb
REGIA:
Roberto D'Antona
CAST:
Caleb (Roberto D'Antona)
Rebecca (Annamaria Lorusso)
Gaspare (Francesco Emulo)

Il nostro giudizio

Caleb è un film del 2020, diretto da Roberto D’Antona.

Prima o poi arriva un momento nella vita in cui è necessario cominciare a far sul serio. Intendiamoci: non che finora il buon Roberto D’Antona abbia giocherellato, anzi! Forte di una precoce quanto florida carriera, tutt’ora in fiorente attività, costellata di numerosi corti, due web series e ben tre lungometraggi in meno di quattro anni, D’Antona ha avuto tutto il tempo per ribadire più di una volta di che pasta è fatto. Ma ora, con Caleb, qualcosa è decisamente cambiato. Come infatti si confà a un qualunque autore pienamente avviato verso il sentiero della maturità, il Nostro ha sfornato quello che molti, utilizzando forse a sproposito un termine in molte (troppe) occasioni decisamente abusato, potrebbero definire, se non un capolavoro, quantomeno il caposaldo di un’incisiva e personalissima poetica, Un’opera che, seppur nella propria conclamata classicità, pur replicando l’ormai collaudata triade di horror, action e humorsceglie per la prima volta di sacrificare quasi interamente l’ultimo magico elemento in favore quasi esclusivo del primo, con risultati stavolta a dir poco impressionanti. Dopo il malefico demone del sonno di The Wicked Gift, gli infettivori mangiacarne a tradimento di Fino all’Inferno e le malefiche stregacce di The Last Heroes, il parco mostri marchiato D’Antona accoglie stavolta a braccia e grinfie aperte una delle più letali e seducenti figure del brivido folkloristico di tutti i tempi, progenitore di millanta e più incubi su celluloide partoriti grazie a un mantello, un paio di aguzzi canini e parecchi litri di sangue ciucciati via senza troppi complimenti.

Ed è infatti il regista stesso, col suo consueto aplomb, a dar mortifero corpo al Caleb del titolo: seducente, vorace e decisamente pallido secolare Nosferatu che, sotto le mentite spoglie (non) mortali di un suadente produttore di vini di chiara emoglobinica provenienza, estende, come un malefico cancro, la propria influenza sullo sperduto paesino di Timere, dove di cose da temere ve ne sono a bizzeffe. Ed è appunto in questo luogo dimenticato da Dio che la coraggiosa giornalista Rebecca Leone (Annamaria Lorusso) decide di infrattatrsi per far luce sulla misteriosa scomparsa della sorella Elena (Erica Verzotti), trovando ad attenderla tanta desolazione, altrettanta ostilità e un terribile segreto acquattato dietro l’angolo. Con la complicità dello scrittore Gaspare Innocenti (Francesco Emulo), della di lui consorte (Nicole Blatto) e di un bizzarro gruppetto di agguerriti Van-Helsing (Mirko D’Antona, Sheen Hao, Fabrizio Narciso) capitanati dal custode della chiesa locale (Alex D’Antona), la nostra eroina dovrà vedersela con un terribile vampiro (Roberto D’Antona) deciso a mantenere saldo il proprio controllo sulle anime della cittadella e, se possibile, ad acquistarne di nuove a prezzo più che stracciato. Non vi è alcun dubbio che il Caleb immaginato e posto in essere da D’Antona appaia quanto di più classico e codificato la filmografia vampiresca ci possa fornire. Ma è appunto in questa sua evidente “classicità” che risiede tutto il morboso fascino dell’unica mostruosa figura in grado di racchiudere in sé, con perfetta complementarietà, eros e thanatos, fascino e truculenza, la vita che fu e la morte che è.

Una storia classica, popolata di personaggi tutto sommato classici messi però in scena con una bellezza e una potenza visiva davvero sbalorditive, avvalendosi della solida e scafata collaborazione di un ormai conclamato manipolo di fedelissimi, i quali mettono brillantemente a disposizione i propri talenti per dar anima e corpo a uno splendido e onirico incubo gotico. Ormai pienamente padrone della scena, del montaggio, della fotografia e, ovviamente, della macchina da presa, il giovane cineasta tarantino, consapevole di poter fare tutto il cacchio che gli pare senza dover render conto a niente e a nessuno, si prende con calma ciascuno dei ben 158 minuti di durata per approfondire, tra le altre cose, lo struggente background del suo insaziabile non morto, aggiungendo un insolito tocco di dramma romantico a un succoso impasto nel quale, come già accennato, l’orrore in particolare, ma anche una non indifferente dose di adrenalina, rendono il piatto decisamente appetitoso. Non mancano ovviamente le solite stilettate di umorismo che hanno fatto la fortuna del marchio D’Antona, che stavolta appaiono decisamente addomesticate a una forma generale tutta all’insegna di un brivido a tratti decisamente erotico. Tutta robetta che non fa altro che confermare il talento di uno dei più importanti cineasti di genere del panorama italiano contemporaneo, finora preoccupato solo di intrattenerci ma qui chiaramente votato a rimarcare una volta per tutte il proprio status di autore. Non che ci fossero dubbi, sia chiaro. Solo che certe cose, oggi come oggi, è sempre meglio ribadirle. Non si sa mai!