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Isabelle – L’ultima evocazione

2018
Titolo Originale:
Isabelle
REGIA:
Robert Heydon
CAST:
Amanda Crew (Larissa Kane)
Adam Brody (Matthew Kane)
Zoë Belkin (Isabelle Pelway)

Il nostro giudizio

Isabelle – L’ultima evocazione è un film del 2018, diretto da Robert Heydon.

Isabelle invece di Annabelle. L’ultima evocazione, speriamo. Lontani sono ormai i tempi in cui i produttori e distributori italiani iniziavano a rifarsi ai titoli classici importati nel nostro paese per attirare più curiosi possibili nelle sale. Funzionava alla grande e a volte c’era qualche sorpresa, anche in pellicole apparentemente acchiappa-citrulli. Inutile dire che oggi, per il pubblico più mainstream, ogni riferimento alla saga di The Conjuring basta e avanza a suscitare un riflesso pavloviano, una curiosità spontanea e allo stesso tempo pericolosa come quella dei malcapitati protagonisti dei film horror. Fatto sta che, in quest’ultima parte del 2019, tra una serie di uscite di genere molto interessanti ed attese, arriva anche questo Isabelle, il piccolo grande intruso in una stagione qualitativamente confortante. Piccolo perché gli va almeno dato atto della natura low-budget, scusante tuttavia non sufficiente per l’enorme spreco di tempo che la sua visione rappresenta. Ottanta minuti ad attendere una sensazione che non sia la noia.

Matt e Larissa sono una giovane coppia in attesa del primo figlio e appena trasferitasi in una nuova casa. Poco dopo aver conosciuto Anne, la vicina di casa che vive insieme ad una figlia costretta su una sedia e rotelle e che non esce mai, Larissa ha un aborto spontaneo che la fa addirittura morire clinicamente per un minuto. Tornata a casa e costretta a fronteggiare il lutto, la ragazza si renderà conto di essere insistentemente spiata da Isabelle, la figlia di Anne: che ci sia lei dietro tutte le sue sventure? Domanda retorica che però non ha alcun peso nella valutazione del film. Il ritmo narrativo è sin dall’inizio lesto, con campi e controcampi fugaci, così come lo sono i dialoghi. La situazione non migliora neanche nei momenti in cui noi spettatori ci aspetteremmo un minimo di costruzione della suspense: essa è invece rilegata a banali e maldestri jump scare, movimenti di macchina e giochi di specchi. Tutti momenti buttati via in maniera irritante, mentre l’azione trova un minimo di flemma soltanto nei ripetitivi scontri e chiarimenti tra i due coniugi, interpretati da un Adam Brody e un’Amanda Crew, nel migliore dei casi spaesati. L’attenzione è dunque rivolta al dramma familiare, al rapporto con la morte ed il dolore capace di mettere in crisi anche la migliore delle coppie, mentre, piano piano, iniziano ad uscire, sussurrate, le prime e non richieste battute pro-life.

Cosa dire invece dell’elefante nella stanza, o in questo caso affacciato alla finestra? Più che ad un’oscura presenza all’americana, ci troviamo invece dinanzi ad uno spirito di derivazione orientale, ricalcato solo nei contorni, ingobbito e reso quindi terribilmente inoffensivo anche allo spettatore più pavido, tanto da ricordare più Marty Feldman in Frankestein Junior che una Sadako o una Kayako. Ecco dunque il peccato più imperdonabile: Isabelle non fa paura, a volte provoca risate, molto spesso indifferenza. La regia di Robert Heydon è tremendamente svogliata, poco studiata anche quando le soluzioni per fare meglio sarebbero molteplici. La sceneggiatura invece, firmata da   Donald Martin, pur avendo delle buone intuizioni che però non vengono adeguatamente messe in scena, non decolla mai; va anzi a sbattere contro un muro fatto di personaggi secondari di passaggio, dialoghi (quelli sì) agghiaccianti e un finale anticlimatico ed insensato.