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Masks

2011
Titolo Originale:
Masks
REGIA:
Andreas Marschall
CAST:
Susen Ermich (Stella)
Magdalena Ritter (Roza Janowska)
Julita Witt (Cecile)

Il nostro giudizio

Masks è un film del 2011, diretto da Andreas Marschall.

Prima di Luca Guadagnino e del suo atteso remake di Suspiria, a cimentarsi nel rifacimento del capolavoro argentiano è stato il tedesco Andreas Marschall, già autore del piccolo ma riuscito Tears of Kali che nel 2004 lo aveva portato all’attenzione come uno dei più interessanti registi indipendenti cultori del cinema di genere italiano. Masks nasce in un momento di transizione nella carriera di Marschall, come film a costo prossimo allo zero messo in cantiere in attesa di trovare finanziamenti per progetti più ambiziosi, ma sul lungo periodo si è rivelato un cult a cui il regista ha legato indissolubilmente il proprio nome, nonché suo omaggio definitivo al giallo all’italiana. Remake per forza di cose apocrifo, potrebbe essere malinteso come un mockbuster che si prende troppo sul serio e plagia l’incipit di Suspiria senza però mostrare altrettanta genialità folle nello svolgimento.

Da un punto di vista strettamente narrativo si ritrova, in effetti, molto del film del 1977, dall’esclusivo istituto di insegnamento tedesco alle crudeltà e gli atti di sadismo che si consumano tra le sue mura, ma Marschall, pur rimanendo legato al mondo del teatro da un sottile filo che intreccia esoterismo e filosofia, abbandona la dimensione sabbatica della danza per esplorare i risvolti psicologici propri della disciplina della recitazione. Non mancano riferimenti ad altre pellicole di Dario Argento, in particolare ad alcune soluzioni narrative di Inferno, che però non portano mai il film oltre il limes che separa il thriller dall’horror sovrannaturale (soglia che il regista aveva invece attraversato senza indugi in Tears of Kali), svelando così come la vera natura di Masks sia solo superficialmente quella del remake. Sembra più opportuno invece parlare di un’indagine, soprattutto stilistica, che si muove dalle parti del primo Argento e territori limitrofi (non a caso il film è dedicato, oltre che al maestro romano, a Mario Bava e a Sergio Martino).

Innamorato della particolare atmosfera che si respirava nei thriller italiani degli anni Sessanta e Settanta, Marschall pare quasi un alchimista alla ricerca della formula perfetta per creare il proprio personale giallo: ci sono eros, thanatos e mistero miscelati sapientemente, ma c’è anche di più. Si scorge, in qualche scena, l’ombra di una ferocia tipicamente teutonica che fa pensare ad un altro Andreas, Bethmann, anche lui cultore del cinema italiano d’antan, ma di quello crudele e gore di Joe D’Amato. Si ritrova anche l’immagine più potente di Tears of Kali, il nudo femminile avvolto dall’atmosfera malsana di un edificio in rovina, elemento che già da solo contiene in nuce la dimensione espressiva entro la quale il regista interessa muoversi.Tra la prima e la seconda opera di Marschall passano Cattet e Forzani con il loro Amer, ma se è inevitabile notarlo non si deve cadere nella tentazione di vedere nel film del nostro la furbizia di chi si mette in fila a raccogliere i frutti altrui. Lungi dall’optare per la stilizzazione autoriale e maniacale del duo francese, Marschall ha concepito Masks come un fatto essenzialmente di mestiere e artigianato, un atto d’amore pieno di quella espressività esasperata e quell’oscurità di cui sono capaci solo i mitteleuropei quando rileggono i classici latini.