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Chronicle

2012
Titolo Originale:
Chronicle
REGIA:
Josh Trank
CAST:
Dane DeHaan (Andrew Detmer)
Alex Russell (Matt Garetty)
Michael B. Jordan (Steve Montgomery)

Il nostro giudizio

Chronicle è un film del 2012, diretto da Josh Trank

Chissà perché, quando si parla di gente che si balocca coi fumetti, si pensa sempre a qualche ragazzotto un po’ nerd, pacioccone, occhialuto e magari con un orrendo berretto a ore sei a coprirgli un’altrettanto orrida pettinatura a uovo. In effetti Josh Trank, che con i fumetti ci è nato, rientra in quella categoria lì, quella degli strampalati con una marcia in più, che fanno grandi film, intelligenti, ponderati e ottimamente lavorati. Trank lo si conosce per Fantastic 4 – I Fantastici Quattro (2015), ma forse non per la sua pellicola d’esordio, che stimolò lodi sperticate da parte di critica e pubblico per poi finire nella zona grigia, il limbo delle cose non proprio in vita ma neppure morte. Eppure Chronicle è bello, piace e diverte, come direbbe un imbonitore da baraccone, a suo modo è una specie di forma geometrica perfetta, dove tutto è al posto giusto, proporzionato e simmetrico. L’idea segue la moda del cinema in finto stile documentaristico che proprio in quegli anni aveva raggiunto il vertice di una parabola discendente: un liceale di nome Andrew (Dane DeHaan, il protagonista del recente La cura del benessere) vive in un mondo tutto suo: la madre sta morendo, il padre è un falso invalido buzzurro e manesco, i compagni di classe lo prendono in giro con quella cattiveria pelosa di cui soltanto un americano sa fare sfoggio. Tutto ciò che gli resta è comprarsi una bella videocamera e riprendere quel che si muove attorno a lui. Perché? Per dare senso a una vita che non ne ha, per mettere ordine, allacciare misteriose armonie che soltanto i suoi occhi da disadattato riescono a cogliere.

Presto fa comunella col cugino Matt (Alex Russell) e con l’amico di questi, Steve (Michael B. Jordan, il nero di Black Panther e Torcia Umana del successivo film di Trank). L’allegro terzetto scopre una fossa nel terreno nella quale è contenuto uno strano meteorite sbrilluccicante. La tentazione di toccare l’intoccabile è più forte del buon senso, e dopo un bel trambusto durante il quale non si capisce bene cosa succede, i tre compagni di merende si ritrovano dotati di strabilianti super poteri. Ecco che muovono oggetti, cominciano a volare, insomma praticano la cara vecchia telecinesi con una destrezza che nemmeno il mago Otelma saprebbe vantare. Chronicle segue un copione ben strutturato: all’inizio i tre amici esplorano come per gioco le proprie capacità preternaturali, spostando gli oggetti del supermercato per terrorizzare gli sprovveduti acquirenti, disegnando il volto di Gesù sul fondo della minestra per mandare in deliquio l’immigrata addetta alla mensa; quindi alzando la posta fino a rischiare un incidente mortale. Allora cominciano a darsi delle regole: mai utilizzare il Potere sugli esseri viventi, mai usarlo quando si è arrabbiati. Tutto funziona per il meglio, il giovane Andrew si è fatto dei nuovi amici con cui serbare un inconfessabile segreto. Ciononostante basta poco per incrinare la situazione di calma apparente e turbare di nuovo la sua indole inquieta…

Il riferimento a Carrie (1976) è dietro l’angolo, ma Chronicle non ne è una specie di rifacimento occulto, quanto una riflessione sull’essere adolescenti nell’Occidente odierno. E non è una cosa bella perché, lontano dagli sbrodolamenti pedagogici di Boyhood (2014), dall’estetismo cazzone di Richard Linklater (anatema su di lui!), questo film parla del dolore. Il dolore di crescere in una famiglia disfunzionale, il dolore di chi, per conoscere una ragazza o farsi degli amici, deve partecipare giocoforza a quelle terribili feste per teenagers che vanno tanto per la maggior oltreoceano: luoghi dello sballo, dell’omologazione, dove basta una scortesia involontaria, uno sguardo di troppo alla persona sbagliata, e giù botte, umiliazioni e isolamento. Il dolore, ci ricorda Trank, è connesso all’energia mentale, al desiderio, alla libido, anzi ne è una delle tante forme, forse la più tragica e disperata. Così, mentre i compagni di Andrew utilizzano questa energia per fare del bene, il ragazzo più debole la incanala verso lidi oscuri, l’addomestica e la raffina in qualcosa di terrificante destinato all’annientamento. Chronicle segue una sua logica matematica, e anzi possiamo dire che il finale è già iscritto nel suo inizio. A fare la differenza è la qualità dell’enunciato, la delicatezza della regia, il piacere sottile e nemmeno troppo compiaciuto con cui Trank sposta la macchina da presa, facendola volare insieme ai suoi protagonisti, esplorando infine la palude della rabbia e della disperazione. Ed è strano, perché non ci sembra mai, il suo, un film fumettistico, ma un lavoro assai umano sul senso profondo dell’essere giovani oggi.