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Somnia

2016
Titolo Originale:
Before I Wake
REGIA:
Mike Flanagan
CAST:
Kate Bosworth (Jessie Hobson)
Thomas Jane (Mark Hobson)
Jacob Tremblay (Cody)

Il nostro giudizio

Somnia è un film del 2016, diretto da Mike Flanagan

Mike Flanagan – facciamo una breve premessa – è il regista di Absentia del 2011 – cinema horror per modo di dire che persino quelli che né di horror né di cinema capiscono un cazzo, sono costretti ad ammettere che almeno per tre quarti d’ora è valido – e poi di Oculus, che tutti abbiamo visto qualche anno fa e che abbiamo apprezzato – ora ne stanno facendo un remake in India, pensate un po’ –, tratto da un vecchio cortometraggio del regista e la cui moralità, diciamo così, si riassumeva nel potere sconcertante di uno specchio. Lo Specchio come strada a doppia percorrenza, quel che c’è di là può venire di qua e quel che è di qua può andare dall’altra parte. Non ci deve essere del metodo nel fatto che dopo lo Specchio, Flanagan abbordi adesso il Sogno, ma forse al di sotto di tutto striscia un po’ l’ossessione per i varchi che si aprono tra il mondo atomico e l’autre monde. Il deus ex machina della faccenda, in Somnia, è un bambino di otto anni di nome Cody. Un bambino talmente bello, voce compresa, che sembra una bambina – Jacob Tremblay. Cody è un orfano ed è già passato attraverso una famiglia adottiva dove è successo qualcosa di poco piacevole. Sembra un incipit classico da horror americano inutile della generazione Duemila. Sembra. Cody viene affidato a due nuovi genitori, Kate Bosworth e Thomas Jane, che sono giovani e belli ma si portano sulle spalle un sacco di pieno di sassi neri, avendo avuto un figlio piccolo affogato nella vasca da bagno.

Il delizioso Cody viene fuori in fretta che ha un cattivo rapporto con il sonno: fatica a chiudere gli occhietti e a lasciarsi scivolare nelle braccia di Morfeo. E si capisce altrettanto in fretta perché. Una cosa che si evince dai film di Flanagan è che gli piace quell’ora tarda in cui la sera sta cedendo alla notte, quando la gente poltrisce sul divano a vedere gli ultimi scampoli di tv prima di portarsi nel letto. È in un frangente del tipo che Jessie e Mark, i nuovi genitori di Cody, vedono il proprio salotto riempirsi di farfalle colorate, arrivate non si sa da dove e guidate da un lepidottero fosforescente azzurro. Poi, gli insetti spariscono e appare Cody. Succede una volta, e un’altra ancora. Uno più uno fa due e i personaggi arrivano all’unica conclusione possibile, che il piccolo, cioè, quando sogna, proietta nel mondo della veglia quel che sogna. A questo punto, Somnia smette di essere pronosticabile negli sviluppi e si addentra in un territorio complesso e inquietante. Se Cody viene suggestionato in stato di veglia da qualcosa, poi è matematico che la sogni e che, quindi, essa prenda vita, seppure per la sola durata del suo fragile sonno, “ombra di un sogno fuggente”. Capita così che Cody, dopo aver visto una foto del bimbo annegato di Jessie e Mark, lo sogni: facendo materializzare la sua immagine nel salotto di casa.

C’è un che di allucinante e di straziante in questa idea, di un ritorno a scadenza breve, e un giorno qualcuno potrà pensare a un cineforum in cui il film di Flanagan venga appaiato a Pet Sematary, Zeder o Luci lontane. A questo punto, Kate Bosworth, la madre, che cosa fa? Comincia a riempire le pareti di casa e gli occhi di Cody con immagini del bambino che ha perso. Affinché il morticino, ogni notte, puntualmente, le si presenti. Somnia non si ferma a questo, naturalmente, perché deve pur manifestare e giustificare la sua natura di horror ed ecco quindi che dalla mente e dai ricordi di Cody scaturisce nella realtà anche una creatura molto poco simpatica che si può cercare di descrivere come una specie di demone-farfalla…
Somnia – chi lo vede capirà – è un film sul lutto, sull’elaborazione dello stesso e sulla riconciliazione con i propri fantasmi, dai tocchi sorprendentemente intensi che usano l’orrore come un cavallo di Troia per arrivare da altre parti, al cuore delle cose e delle persone, sebbene alla stretta finale Somnia non sia affatto un film consolatorio e si conceda il lusso di far ingoiare allo spettatore un paio di pillole molto amare.