Autopsia di Salon Kitty: parte seconda

I personaggi
Featured Image

Kitty: una prostituta per il Terzo Reich

“Si chiamava Kitty Schmidt. Non era più giovane, ma nemmeno vecchia. I suoi amici la credevano tra i trenta e i quarant’anni. In realtà ne aveva parecchi di più. […]. Voleva partecipare alla grande vita, alla felicità e alla ricchezza. E poiché non aveva nient’altro da offrire, offrì se stessa, il che non era poco”.

Magistralmente interpretata dalla bergmaniana Ingrid Thulin, la Kitty di Tinto Brass, rispetto a quella raccontata da Norden, è ancora più ingenua e innocente. Di un’ingenuità e un’innocenza che può essere propria solo di una tenutaria di bordello, di una donna che vive il sesso e il suo lavoro come farebbe una crocerossina in un campo militare. Non c’è in lei la malizia e la “cattiveria da puttana” del personaggio interpretato dalla Thulin in La caduta degli dei. La Sophie von Essenbeck del dramma viscontiano era una donna decisa, piena d’ombre, sempre pronta a tramare alla spalle e a usare tutte le armi della seduzione per far capitolare gli uomini che la circondavano (dall’amante al figlio); mentre Kitty Schmidt è una romantica, una sognatrice. È veramente convinta che la sua casa sia il tempio del divino amore. A differenza di quanto riportato da Norden, la Kitty di Brass non sa niente dell’uso improprio che i nazisti stanno facendo del “Salon” e quando lo scopre ne rimane talmente amareggiata che trama subito per la distruzione di Wallemberg e dei suoi folli piani. Kitty è anche una donna di spettacolo, una trasformista che può essere tutto, persino un uomo (come nel balletto iniziale), che sembra trarre linfa vitale da modelli di riferimento old fashion quale la Marlene Dietrich dell’Angelo azzurro. Ma i suoi travestimenti e le sue stravaganze non nascondono assolutamente le perversioni e le malizie della parodia omosessuale messa in scena da Helmut Berger all’inizio di La caduta degli dei. Facile alle lacrime quanto al riso, Kitty non cela l’amore quasi materno che la lega sia alle sue ragazze sia ai suoi clienti, tant’è che a un certo punto la sentiamo esordire con: «un soldato vuol sparare anche le sue cartucce, non solo quelle che gli passa l’esercito». Insomma una “pretty woman” d’altri tempi.

Wallemberg, l’Essenbeck brassiano

Si occupava esclusivamente della propria carriera e di nient’altro. Carriera equivaleva, però, per lui a successo; ed il successo – e ciò lo aveva capito molto presto – era possibile solo usando fantasia, fantasia e mezzi anticonformisti.

Sesso e Potere. Il dualismo su cui si regge il mondo. Il dualismo che muove le file di Salon Kitty. Il sesso è purezza e il potere la sua negazione. Questo è un tema ricorrente nei film italiani che trattano il nazismo. C’è una frase in Pasqualino settebellezze (1974) di Lina Wertmüller pronunciata dalla laida secondina del campo di concentramento in cui è imprigionato Giancarlo Giannini, di fronte al vile tentativo di questi di barattare la propria vita con una focosa prestazione sessuale: «Tu mangia, poi tu fick; se tu no fick, tu kaputt». In queste poche parole si palesa tutto lo squallore che permea il rapporto Sesso e Potere. Il sesso si trasforma, di fronte all’esercizio incondizionato del potere, in qualcosa di schifoso e repellente. La stessa kapò lo esplicita insieme a tutto il suo disprezzo nel prosieguo del discorso: «In Parigi un greco faceva l’amore con un’oca, faceva questo lavoro per mangiare, per vivere; e tu, larva subumana mediterranea riesci a trovare la forza per tua erezione di maschio. Per questo rimarrete voi, vincerete voi, piccoli vermi vitali senza ideali». Quello che la donna vuole intendere è che la razza “non ariana” è talmente infima da infangare se stessa pur di sopravvivere; ma quello che invece non riesce a capire è che dietro l’erezione di quel relitto umano si nasconde la più genuina e incondizionata voglia di vivere. Il sesso riesce così ad emergere dal suo squallore diventando, nonostante tutto, espressione di vita. Lo stesso valga per i “baratti sessuali” di Charlotte Rampling in Il portiere di notte (1974) di Liliana Cavani e di Sirpa Lane in La svastica nel ventre (1976) di Mario Caiano. Più complesso invece il caso del Berger\Essenbeck di La caduta degli Dei che da una parte, pronunciando la fatidica frase: «Io ti distruggo, mamma!», prima di consumare l’incesto, esercita il suo nuovo potere per distruggere il vecchio equilibrio; ma dall’altra sancisce la sua nuova vita di essere indipendente. Chi non è d’accordo né con Visconti né con l’assioma: “Sesso uguale Vita”, è Pier Paolo Pasolini, che in Salò nega drasticamente questo concetto. Del resto sono gli anni dell’abiura alla “Trilogia della Vita” e del crollo di ogni forma di redenzione per l’uomo, la cui natura non può che essere malvagia. Tinto Brass evidentemente non la pensa così. Per Brass il sesso equivale a purezza e, di conseguenza, a vita. Semmai è il potere che corrompe e avvilisce l’istinto. Il folle comandante delle SS Wallemberg, di Salon Kitty, rappresenta il Potere, la corruzione suprema, l’uomo che, dietro la falsa bandiera dell’ideologia, nasconde un’incommensurabile sete di possesso. Il personaggio è tutta farina del sacco di Brass e solo in parte derivato dal Walter Schellenberg di cui riferisce Norden. Schellenberg è un uomo che antepone la carriera e la gloria a tutto, ma nel libro non c’è traccia delle perversioni di cui Brass infarcisce il suo eroe.

Wallemberg è innanzituto un impotente, nel senso che non riesce a sublimare il suo bisogno di possesso, un frustrato, un infelice. È irritato dalla fede politica di Margherita, dal suo offrirsi con freddezza e distacco, solo per palesare il suo sentimento nazista, e non a caso le dice: «Per essere una nazionalsocialista devi saperti compromettere fino in fondo: devi umiliarti». Quello che lo manda in bestia è il non riuscire a sottometterla, a possederla psicologicamente. Quando la obbliga ad avere un rapporto saffico con la povera Tina Aumont (che nel film interpreta la moglie repressa di Wallemberg), il suo ego si infiamma nel vedere come le due donne vivono il sesso con gioia e “naturalità”, complici, loro due, di un sentimento di reciproca appartenenza. Se anche nel finale, in cui Wallemberg confessa la sua natura laida e concupiscente, il personaggio si sfalda dietro una fin troppo banale dichiarazione di intenti, Brass descrive in tutto il film una figura complessa, articolata su diversi piani, sempre in bilico tra la completa assuefazione alla propria natura e l’impossibilità di essere normale. Qualcuno ci ha visto l’ideale sviluppo del giovane e viziato Martin von Essenbeck di La caduta degli dei e in effetti, al di là del fatto che entrambi i personaggi sono interpretati da un sorprendente Helmut Berger (che, all’inizio delle riprese di Salon Kitty, avrebbe detto a Brass: «Tinto, dammi questo biglietto per l’inferno»), alcuni punti in comune si possono riscontrare. L’Essenbeck viscontiano era un debole, un pusillanime mosso da istinti di rivalsa verso una famiglia che lo ha sempre considerato un inetto. Lo si capisce da come sfrontatamente sfida l’illustre patriarca durante la sua festa di compleanno e dalle attenzioni tutt’altro che innocenti riservate alle bambine che gli capitano a tiro (una di questa arriverà addirittura a suicidarsi). La pedofilia che muove Essenbeck è in realtà un subdolo esercizio di potere nei confronti dei più deboli. Non riuscendo a trovare la forza per conquistare una propria posizione in società, il giovane Martin si rifà su chi non ha i mezzi per potersi difendere. Del resto, il tema dell’infanzia violata ricorre anche nel film di Brass, dove una diabolica Sara Sperati non esita a schiacciare il pulcino meccanico di un bambino ebreo, in una sequenza di pochi minuti che vale più delle due ore di La vita è bella (1999) di Roberto Benigni.

Ma il nazismo nella pellicola di Visconti c’entra marginalmente nello spiegare le manie di Martin Essenbeck; anzi diciamo che è solo il pretesto che permette al giovane di trovare una, se pur precaria, dimensione attraverso la quale trasformare la sua debolezza in un cieco esercizio del terrore. Analizzare i meccanismi che hanno portato a questo traguardo (e qui sì che l’ideologia nazionalsocialista incarnata nella figura portante del “nazificatore” master of puppet Aschenbach gioca un ruolo principe) sarebbe qui fuori luogo. Ci basti dire che per Visconti il potere (o meglio la parvenza di esso) posto nella mani di una mente labile porta inevitabilmente alla degenerazione e all’abominio (la sequenza finale del grottesco matrimonio ne è un fulgido esempio); mentre per Brass è la sete di potere che corrompe e degenera qualsiasi animo umano. Wallemberg è un Essenbeck più maturo, più determinato ma ugualmente indifeso di fronte all’impossibilità di non essere se stesso, di aspirare alle cose semplici (come il sesso) a cui aspirano tutti. Il vuoto d’animo di Wallemberg è rappresentato anche dal mondo che lo circonda, dall’enorme e fatiscente casa spoglia e senza quadri, dalla moglie spenta che gli deambula intorno come un fantasma. In  effetti, la bramosia di fama e ricchezza è già di per sé malattia dell’anima e i personaggi che ne sono affetti ci appaiono come degli automi, dei negati alla vita, incapaci di amare e di vivere.

Ecco spiegati i mille tic che affliggono gli ufficiali nazisti: i giochi di lingua di Wallemberg, le frasi urlate di Schwarz, il passo saltellante di Himbler (l’Heydrich di Norden visto attraverso gli occhi di Brass e interpretato dal bravo John Steiner) e tutte le deviazioni sessuali che caratterizzano i frequentatori del bordello (una su tutte, la scenetta con protagonista Gigi Ballista che, dopo aver calato le braghe e aver sfoggiato un paio di mutandine di pizzo, chiede di essere chiamato Greta). Una rappresentazione caricaturale che non toglie nulla alla malvagità dei personaggi. Inoltre, la sete di gloria che muove Wallemberg e che lo spinge a spiare i suoi diretti superiori per poterli un giorno ricattare, ci permette infine un altro paragone con il film di Visconti. Infatti, in La caduta degli dei, Aschenbach e il “nazificato” Bruckman usano come paravento il blitz delle SS contro le forze delle SA durante la “notte dei lunghi coltelli” (situazione questa in cui Visconti sottolinea con estrema maestria i rapporti tra “Sesso deviato e Potere”), solo per sbarazzarsi dello scomodo Konstantin. Un altro tassello che palesa l’inscindibile legame tra due opere che si incastrano perfettamente nel delineare una lucida e spietata accusa al Potere.

Margherita di Lipsia

I loro capezzoli si sfiorarono leggermente ed essi sentirono che la tensione in loro aveva bisogno di trovare uno sfogo. Dimenticarono lo spazio e il tempo. La ragazza si diede con tutta se stessa e all’improvviso si accorse di amare quell’uomo.

Contraltare di Wallemberg in Salon Kitty è Margherita di Lipsia, idealista convinta che scopre l’amore attraverso il sesso e rinnega la sua fede politica. Margherita è la vita. Nel libro di Norden il personaggio che le si avvicina di più è quello di Gitta, la prostituta che cade nella trama di seduzione ordita dalla spia inglese Rodger Wilson, per smascherare il “Salon Kitty”. Nel film, la figura di Wilson viene sostituita da quella ben più monocorde dell’aviatore Hans. Del resto, a Brass non interessa soffermarsi sull’uomo, ma sul sentimento che si instaura tra lui e la ragazza, sul meccanismo che scatta in Margherita e che la porta ad accettare la sua natura di donna e ribellarsi al sistema. Le scene d’amore tra Hans e Margherita sono le uniche girate all’aperto e la loro passione si consuma ovunque, contrapposta agli orrori che li circondano: tant’è che anche un cesso pubblico, ricco di graffiti e volgarità, diventa il luogo ideale per soddisfare i loro sensi. Anche se inizialmente l’attaccamento al dovere spinge Margherita a redigere un rapporto sull’aviatore, quando la ragazza si scopre innamorata di lui fa di tutto per proteggerlo, ma i loro incontri, registrati a sua insaputa, decretano la fine di Hans. A questo punto Margherita trova la forza di dire no, giustiziando nel bagno un cliente che aveva osato parlar mare del suo amore perduto e utilizzando l’ascendente che esercita su Wallemberg per portarlo alla distruzione. Splendidamente interpretata dall’ex hippy Therese Ann Savoy (Le farò da padre e Vizi privati, pubbliche virtù), Margherita rappresenta il sesso e la gioia di vivere, e Therese si concede, impudica, all’occhio indiscreto di Tinto Brass, che ha definito il suo personaggio: «Una macchina del sesso che l’eros riscatta e restituisce a dignità di donna».