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The Hunt

2020
REGIA:
Craig Zobel
CAST:
Betty Gilpin (Crystal Creasey)
Ike Barinholtz (Staten Island)
Emma Roberts (Yoga Pants)

Il nostro giudizio

The Hunt è un film del 2020 diretto da Craig Zobel.

Non c’è approccio migliore nei riguardi di The Hunt se non andare dentro senza sapere, con un titolo e al massimo una locandina in testa. Quello di Craig Zobel è il film-polemica di questa folle stagione cinematografica abortita al terzo mese; presentato a settembre e accolto con teatrale sdegno dall’account Twitter di Donald Trump (“Racist at the highest level with great anger and hate”, nientemeno), finì congelato dalla sparatoria di El Paso, rimanendo a fluttuare per sei mesi in attesa di centrare furbescamente la stagione delle primarie americane. Al momento del debutto in sala ci ha pensato il Covid a bloccare di nuovo tutto, obbligando il film ad una distribuzione on demand di ripiego, e ridimensionando le sue ambizioni incendiarie al rango di quelle scaramucce social che quotidianamente insaporiscono  l’offerta streaming. Non ha avuto vita facile, The Hunt, ma come spesso accade in questi casi, è la sua insperata aura da film maledetto che potrebbe farne la fortuna cult. Pur presentandosi come film politico, The Hunt non si fa certo un favore a prendere parola in un dibattito che non sa sostenere. Rende invece infinitamente di più per quello che davvero è: un The Purge più violento e cattivo,  rielaborazione con velleità verhoeveniane del trope action della “caccia all’uomo” (La Decima Vittima, Senza Tregua, The Running Man e Battle Royale solo per citare i più famosi).  Il motore della polemica risiede in un “sottotesto sociale” non delegato a vaghe e facoltative interpretazioni del plot, ma strillato sardonico dai personaggi come in un episodio di South Park in live action. Senza scendere nel dettaglio, The Hunt racconta quindi di un gruppo di rednecks, drogati e trasportati nel mezzo di una foresta misteriosa. Muniti di armi, si riscoprono in pochi minuti prede di un manhunt in carne e ossa, inseguiti da un nemico invisibile e apparentemente invincibile. A guidare riluttante i pochi superstiti c’è la final girl Crystal (Betty Gilpin), una Dutch Schaefer white trash con lineamenti rettili e un’attitudine sospetta allo sfracellare teste.

La prima delle sorprese che ad altissimo ritmo ribaltano continuamente le aspettative dello spettatore, è che non si tratta di un horror Blumhouse. Ne porta il marchio, ma mancano quasi del tutto quelle caratteristiche legate alla ghost story no budget che definiscono i prodotti della Casa. E’ invece un action a tutti gli effetti, che segue il solco tracciato dai succitati modelli ispiratori e mette la quinta quando si tratta di affrontare l’azione violenta, veloce e sorprendentemente brutale. Dall’ottimo utilizzo del corpo a corpo, dell’arma da taglio e dell’oggetto di scena, è chiaro che il bravissimo Zobel ha studiato e maturato una certa affinità con la recente scuola indonesiana di arti marziali; c’è consapevolezza, e genuina passione per il  genere. Più difficile da inquadrare è invece l’anima balck comedy di The Hunt. Al netto dei brillantissimi dialoghi e delle battute a martello, si percepisce la fatica degli autori nel centrare quella vena “satirica” alla quale il film agogna più nelle premesse che nei fatti. Che il commento politico del film rimanga sul piano dello scherzo senza andare in nessuna direzione, era naturale aspettarselo conoscendo l’autore dello script: Damon Lindelof in persona, uno che ha saputo fare un brand dell’ingegnare millimetrici macchinari della suspense con lo spessore di carta velina.  Nei suoi film e nelle sue serie, premesse forti e fulminanti agganciano la curiosità degli spettatori, li avvolgono nella rete di quesiti, misteri e anticipazioni, e al momento di “venire al dunque” scompaiono come bolle di sapone, rivelandosi in quanto soggetti costruiti unicamente su selling point.

Purtroppo, in questo il film non fa eccezione. The Hunt segue la linea poetica del Lindelof agit prop inaugurata dal suo recentissimo Watchmen, progetto quasi sicuramente messo insieme in contemporanea allo script del film. Rispetto alla gradevole fan-fiction ispirata al capolavoro di Alan Moore, il film di Zobel guadagna sicuramente in acidità e cattiveria; l’idea è ancora quella di giocare sulle divisioni politico-sociali dell’America spaccata tra le élite privilegiate e democratiche delle grandi metropoli, e le ignoranti classi lavoratrici dei deplorables trumpiani.  Se la miniserie era però una classica fantasia classista, e rappresentava ovviamente questi ultimi come rivoltosi mostri senza cervello da sterminare con l’aiuto di polizia e supereroi “buoni”, The Hunt si presenta a sorpresa come l’esatto contraltare. Lindelof e Zabel hanno quindi la faccia tosta di prestarsi all’inevitabile massacro critico raccontando una delirante allegoria rovesciata, in cui protagonisti, vittime e infine eroi non sono i famigerati liberal, ma proprio un branco di impresentabili maniaci delle armi, repubblicani e complottisti. Come in Watchmen e pressoché tutta l’opera di Lindelof, la pochezza dei concetti teorici emerge nel finale, quando tutto si sgonfia e il film regredisce allo stato di barzelletta senza punchline. E’ un film che prende in giro con gusto stereotipi e soluzioni facili, ma quando arranca in cerca di una conclusione non trova di meglio che un  generico invito a superare insieme le divergenze. Perché il gioco valga la candela, è necessaria la freddezza di distaccarsi dal marketing di contorno; l’azione, il ritmo, l’inventiva e la scoperta della strepitosa Gilpin come nuova stella action bastano e avanzano a fare il film.