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La società della neve

2023
Titolo Originale:
La sociedad de la nieve
REGIA:
Juan Antonio Bayona
CAST:
Enzo Vogrincic (Numa Turcatti)
Agustin Pardella (Fernando Parrado)
Matias Recalt (Roberto Canessa)

Il nostro giudizio

La società della neve è un film del 2023, diretto da J.A. Bayona

Juan Antonio Bayona è da sempre un profilo capace di conciliare, all’interno della sua filmografia, il fantastico al realismo. Partendo da The Orphanage, si è però presto distaccato da quella che poteva essere il nuevo horror spagnolo dei vari Balaguerò e Plaza, dimostrando di essere un regista assolutamente spendibile per prodotti anche più confezionati e liberi da qualsivoglia limitazione di budget. La componente spettacolare ha presto preso piede e, tralasciando il pur ottimo Sette minuti alla mezzanotte, ne sono dimostrazione il suo coinvolgimento in operazioni come Jurassic World e il televisivo The Rings of Power tratto dall’opera di Tolkien. Ma se bisogna trovare un collegamento, un’affinità elettiva con questo nuovo La società della neve il pensiero va inevitabilmente a quell’incrocio tra disaster e survival movie che è The Impossible. Tra i punti d’incontro, sicuramente, il riferimento a fatti realmente accaduti.

Cosa che rende il film di Bayona, tra le altre cose, il terzo adattamento cinematografico ispirato a questa vicenda: l’ultimo fu diretto dal produttore Frank Marshall esattamente trent’anni fa. La storia della squadra uruguagia di rugby vittima del disastro aereo sulle Ande è dunque un evento che ancora ispira riflessioni. Ciò che il regista catalano decide di fare è non porre all’estremo gli aspetti più cruenti della vicenda, lasciando invece spazio a tutt’altro tipo di registro. Naturalmente il dramma ha da essere dramma e sequenze come quelle dell’incidente e della valanga hanno una potenza emotiva e un impatto d’immagine molto forte, oltre ad essere realizzate in modo davvero encomiabile. Il senso della tragedia e dell’impotenza di fronte al disastro sono restituiti perfettamente e non possono non colpire. Ma, aldilà dei due accadimenti che comportarono il maggior numero di perdite umane, è proprio la precarietà dei sopravvissuti ad avere giocoforza lo spazio maggiore: a volte, va detto, fin troppo dilatato. L’elemento più estremo appunto, rappresentato dal cannibalismo cui i superstiti furono costretti, viene relegato al non mostrato o a fugaci e sottintesi momenti. L’obiettivo è difatti spostare lo sguardo su implicazioni più profonde e di natura morale, ossia sulla sospensione, o sarebbe meglio dire sull’annullamento di qualsiasi tipo di legge. Che si tratti di quella divina o di quella degli uomini, entrambe evocate e progressivamente abbandonate nel nome della sopravvivenza.

Anche da ciò scaturisce una delle scelte che probabilmente faranno più discutere, in particolare chi non conosce nel dettaglio la storia. Un espediente classico come quello della voce narrante viene infatti usato con risvolti pressoché inediti e che possono rappresentare, a seconda dello spettatore, un limite o un quid in più. Resta il fatto che il personaggio di Numa, aspirante avvocato e credente, serve a sintetizzare lo sconvolgimento di qualsiasi convinzione, il crollo del senso stesso del vivere. È soltanto la preparazione ad una tesi finale che vuole lasciare l’amaro laddove c’è comunque stato il raggiungimento dell’obiettivo: cosa vuol dire sopravvivere? È possibile uscire veramente vivi da un’esperienza simile, quando anche il sacrificio e lo spirito di gruppo non sono bastati a salvare delle vite? Possono essere quegli uomini, quelli sorridenti prima della partenza e quelli sfibrati e denutriti nel gelo delle montagne, le stesse persone? La risposta, purtroppo, rimane lì: sotto metri di neve, impossibile da tirare fuori.