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Jurassic World – Il dominio

2022
Titolo Originale:
Jurassic World Dominion
REGIA:
Colin Trevorrow
CAST:
Chris Pratt (Owen Grady)
Bryce Dallas Howard (Claire Dearing)
Laura Dern (Ellie Sattler)

Il nostro giudizio

Jurassic World – Il dominio è un film del 2022, diretto da Colin Trevorrow.

Per avvicinarsi a Jurassic World – Il dominio è necessario fare una premessa: a trent’anni di distanza lo stesso Jurassic Park probabilmente non è tra i capolavori di Steven Spielberg, presentando uno scavo psicologico dei personaggi piuttosto tradizionale, un’interazione semplice e leggibile, una divisione archetipica tra buoni e cattivi e problemi etici tutto sommato di facile soluzione. La sua forza dirompente, che resta intatta, è un’altra: la meraviglia. La capacità spielberghiana di evocare lo stupore costruiva nello spettatore una sorta di voyeurismo dinosaurico: la volontà di guardare, vedere cosa sono le creature, come si muovono e cosa fanno, fino a diventare motivo fondante della serie che è eminentemente cinematografico, ossia affidato non alla trama bensì al potere dell’immagine. Di cui Spielberg è da sempre maestro. La politica dello stupore, in realtà, Colin Trevorrow l’aveva parzialmente mantenuta nel progetto Jurassic World, almeno all’inizio. Basti vedere, nel primo capitolo della nuova trilogia, l’invenzione del più grande dinosauro del mondo, l’Indominus Rex, che nel finale si produceva nello scontro con la T-Rex offendo uno spettacolo del tutto visivo. Poi certo, a contorno c’erano una serie di nuovi personaggi poco memorabili, e le loro relazioni, ma questo fa parte del gioco. Se l’impostazione nel successivo Il regno distrutto si andava lentamente sgretolando, questa svanisce totalmente ne Il dominio. L’errore di partenza di Trevorrow, con la sua sceneggiatrice Emily Carmichael, è voler scrivere una storia: c’era anche prima, appunto, ma non era mai il centro della questione. Qui invece, nella scelta di comporre un finale narrativo, gli animali passano quasi in secondo piano per dare spazio al racconto. E sono dolori.

Il sesto capitolo della serie convoca i grandi personaggi primari, gli iniziatori, ovvero il paleontologo Grant interpretato da Sam Neill, la Ellie Sattler di Laura Dern, il Malcolm di Jeff Goldblum. Tre icone bipedi, che si aggirano nel film con la loro immediata riconoscibilità, ma che da subito suscitano l’effetto della rimpatriata tra vecchi amici, che dopo i saluti di rito non hanno più nulla da dirsi. Questi vengono presentati e mescolati alle nuove figure jurassiche: Claire e Owen che sono ormai coppia stabile (Bryce Dallas Howard e Chris Pratt), ideali genitori di Maisie Lockwood, la ragazza con DNA di dinosauro, l’ibrido che tutti desiderano, in particolare la multinazionale Biosyn. Ovvio che la giovane sarà rapita e la banda dei buoni dovrà andarsela a riprendere nel quartier generale dell’azienda cattiva. Tutto intorno, intanto, c’è un mondo di uomini e dinosauri, con gli pterodattili che fanno il nido sui grattacieli, in cui la nostra razza è chiamata alla convivenza civile con i bestioni senza sfruttarli o calpestarli. Difficile, quasi impossibile, vista l’avidità intrinseca dell’uomo che è sempre il peggiore degli animali. E questo dà il pretesto per lanciare il messaggio ecologista.

La scrittura, come detto, è debolissima: c’è ancora una multinazionale coi suoi sporchi affari, c’è il rapimento e la liberazione, c’è una parte nella base ipertecnologica del nemico che diventa lunghissima (il film sfiora le due ore e mezza), c’è il ritorno dei personaggi storici come già fatto per Ghostbusters e Matrix, solo che questa mitologia era poco mitica e i reduci entrano in scena già spompati. L’ambizione è tornare all’originale per chiudere il cerchio, come evidente da alcune citazioni letterali al primo film (l’occhio del T-Rex, il Dilofosauro che sputa veleno), ma si rivela presto malriposta. Non basta riscrivere una scena per evocare un immaginario. Va detto, ci sono anche momenti riusciti, come la fuga di Grady dai velociraptor assassini (chiamati Atrociraptor, sigh), ma siamo molto sotto il minimo e si naufraga tra dialoghi pleonastici, poca azione e troppa trascuratezza per le creature. A meno di non considerare notevoli le locuste giganti, che possono colpire forse per i primi dieci secondi. Quel voyeurismo dinosaurico non si ricrea mai: neanche nel finale con lo scontro tra creature a dir poco deludente. Il pistolotto conclusivo, infine, fa la morale ambientalista nell’epoca di Greta Thunberg, evidentemente rivolta ai più giovani, e sottovaluta lo spettatore nell’ansia di spiegare tutto.