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La casa del terrore

2019
Titolo Originale:
Haunt
REGIA:
Scott Beck, Bryan Woods
CAST:
Katie Stevens (Harper)
Will Brittain (Nathan)
Lauryn Alisa McClain (Bailey)

Il nostro giudizio

La casa del terrore è un film del 2019, diretto da Scott Beck e Bryan Woods.

Un chiodo conficcato in un’asse di legno, e già dal principio si può ben intuire dove si andrà a parare. Si perché La casa del terrore (alias Haunt) è innanzitutto un film di chiodi. Chiodi che bucano, lacerano, fissano e puntellano. Insomma, chiodi che dispensano tanto ma tanto dolore. Se poi lo si distribuisce in Italia con un titolo come questo, beh, il tutto si fa ancora più limpido. Basta infatti sostituire la suddetta casuccia con un bel tunnel oscuro ed ecco che, come per magia, lo zio Tobe Hooper torna a far capolino da dietro l’angolo. Come si dice infatti in questi casi? I bravi citano, i grandi copiano. Se Scott Beck e Bryan Woods siano veramente grandi o semplicemente bravi non è cosa facile a dirsi, soprattutto dopo quelle due gran boiate di The Bride Wore Blood  e Nightlight, con le quali i due giovani registi, nonostante l’ottima sceneggiatura di A Quiet Place, ci avevano fatto seriamente dubitare della loro permanenza nell’habitat del cinema di genere per l’immediato futuro. Un dubbio che ora pare essersi un poco ridimensionato dopo aver assistito a novanta minuti di trappole, cunicoli, pazzoidi mascherati e generosi dosaggi di creativa emoglobina, offertici nella forma di un trap movie per nulla originale ma ugualmente gustosissimo. D’altronde, in un era in cui tutto è già stato detto, scritto e di conseguenza filmato, i nostri non possono far altro che guardare al passato con amore, rispetto e tanto tanto divertimento, riconoscendosi eredi di un sano cinema di serie B fatto di poche idee e parecchi assi nella manica.

Assi nella manica, dicevano. Ma assi di legno sono invece quelle che, come nel già citato incipit, vengono inchiodate e rinchiodate senza ritegno da non ben definiti figuri mascherati per dar vita alla magione degli orrori che fa sfondo alla truculenta vicenda de La casa del terrore, classica attrazione di Halloween made in USA in cui la giovane Harper (Katie Stevens), reduce dalla sua personale casa degli orrori infantili e con un fidanzato violento alle calcagna, decide di infrattarsi assieme al suo piccolo gruppetto di amici (Will Brittain, Lauryn Alisa McClain, Shazi Raja e Andrew Lewis Caldwell). Un manipolo di adolescenti desiderosi di puro svago adrenalinico tra i quali, sorpresa delle sorprese, forse per la prima volta in tutta la filmografia orrorifica non si ravvisa nemmeno un idiota che invochi a gran voce la propria morte già dal primo fotogramma. I teenagers, credendo di passare una normale vigilia di Ognissanti fra ragni di carta pesta e scheletri di polistirolo, si ritroveranno invece ben presto prigionieri di un autentico labirinto di orrore e dolore, al cui confronto le escape room di Jigsaw paiono nulla più che una giostra di Gardaland. Costretti a barcamenarsi fra mille letali trabocchetti messi a punto dai non certo amichevoli proprietari dell’altrettanto poco amichevole baracca, i ragazzi verranno messi dinnanzi alle loro più recondite paure, senza più la sicurezza di poter rivedere la luce del sole.

L’approccio iniziale verso La casa del terrore non è certo dei migliori, ben sapendo di star per assistere all’ennesimo prodotto che pesca a piene mani dalla gloriosa celluloide anni ’80 per rimpastarla alla bell’e meglio in chiave postmoderna, con tutti i cliché e le ovvietà del caso. Tuttavia, mano a mano che la visione procede, ci si accorge non solo di essere seriamente coinvolti dalle disavventure dei nostri malcapitati personaggi, ma, oltretutto, di provare una straordinaria simpatia nei loro confronti, accentuata forse da una stereotipizzazione non poi così marcata che rende tutti, buoni e cattivi, decisamente convincenti. E sono appunto i villain il piatto forte della situazione, ciascuno di essi plasmato con l’intenzione di omaggiare i grandi babau del cinema de paura, senza tuttavia ridicolizzarli o farne troppo il verso. A differenza del ben più mediocre Hell Fest, dove, a parità di contenuto narrativo, lo sforzo creativo rasentava lo zero termico, qui di robetta sfiziosa ne abbiamo più che a sufficienza, non fosse che per i dolorosissimi destini a cui i nostri sperduti vitellini umani sono costretti a soccombere, il tutto traghettato verso un epilogo che, seppur forse un po’ troppo buonista, così come prescritto dai tempi che corrono, non potrà che lasciare una nota di sana soddisfazione tanto negli occhi quanto nel cuore. D’altronde l’impronta del cuginetto Eli Roth si sente eccome, e il suo truculento stile, così come i suoi generosi dollaroni, sono stati decisamente provvidenziali per far nascere e crescere questo interessante progettino. A conti fatti non si tratta certo di nulla di particolarmente eccezionale, sia chiaro. Anche perché, a lungo andare, il gioco finisce per non valere certo l’intera candela, rischiando persino di stancare un pochetto a ridosso dei titoli di coda. Ma nel mezzo di un’offerta di genere sempre più in crisi d’identità, questo piccolo fiero prodotto non può che fare la sua porca figura.