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Il morso del coniglio

2023
Titolo Originale:
Run Rabbit Run
REGIA:
Daiana Reid
CAST:
Sarah Snook (Sarah)
Lily LaTorre (Mia)
Damon Herriman (Peter)

Il nostro giudizio

Il morso del coniglio è un film del 2023, diretto da Daiana Reid.

La paura secondo Netflix ha un nome. Anzi, un titolo. Magari non uno particolarmente evocativo o ad effetto ma, ehi, certamente degno di rispetto. Sì perché, da un film che si presenta come Il morso del coniglio ci si potrebbe davvero aspettare di tutto. Tranne, forse, proprio quello che Daiana Reid sembra aver scelto di propinarci; vale a dire un loffio thriller psicologico giusto un tantino sollazzato da un laccato e patinato orrore, così come il Verbo del sacro Algoritmo dispone e comanda. Un film a suo modo certamente ambizioso, immerso fino al midollo in un’opprimente cappa di oscure atmosfere cariche di promesse per lo più non mantenute o, alla peggio, sorseggiate a metà. Una sceneggiatura potenzialmente affascinante ma a lungo andare oggettivamente incocludente, firmata da una solitamente brillante Hannah Kent qui intenta a pescare a mani basse dallo stesso cestone delle offerte già ampiamente saccheggiato da titoli come il baviano The Prodigy, il folkloristico The Twin, il modestissimo La fattoria maledetta e il ruffiano Riposo forzato, cercando disperatamente di darsi un certo tono senza tuttavia poter vantare nemmeno un ingrediente di prima scelta. Un’opera talmente ossessionata dal voler inseguire una paura di testa piuttosto che di pancia da dimenticarsi totalmente che, così come sperimentato a caro prezzo dal recente Noise, prima ancora del cervello è lo stomaco a reclamare la propria parte. A maggior ragione quando la fame, così come la suddetta paura, tende, come si suol dire, a fare 90.

 Non novanta ma in realtà cento sono infatti i minuti entro i quali Il morso del coniglio vede dipanarsi la sua anemica e preconfezionata paura, quest’ultima incarnata appieno dalla nevrotica e complessata figura della dottoressa Sarah (Sarah Snook), tipico personaggio dell’orrore netflixiano schiacciato tra i mille traumi irrisolti del proprio passato prossimo e remoto, fra un matrimonio ormai naufragato, la recente dipartita dell’amato padre, l’incipiente demenza senile di una madre da tempo rinnegata e l’oscura ombra di una sorella scomparsa in gioventù. Una donna, una madre e una figlia, inspiegabilmente incapace di ricoprire a dovere ciascuno di questi ruoli nonostante la sua mission risieda proprio nell’offrire aiuto clinico alle coppie con problemi di fertilità. Ma il peggio, si sa, ha ancora da venire, soprattutto dopo che l’innocente figlioletta Mia (Lily LaTorre), rincasata con un bianco coniglietto dal morsico facile scovato chissà dove, inizierà a mostrare inquietanti comportamenti, arrivando addirittura ad identificarsi con la desaparecida e mai conosciuta zietta, in perfetto accordo con l’adagio secondo cui gli infanti malevoli (e possibilmente irritanti) hanno sempre fatto e sempre faranno tendenza al cinema. Ed è proprio quel purulento e inaspettato morso dato alla mano della già instabile Sarah a simboleggiare, di fatto, la riapertura di un’oscura quanto dolorosa ferita del passato, così come quella sibillina puntura di ape che, infettandosi ed espandendosi come un malevolo tumore sull’epidermide dello Yahya Adbul Mateen II protagonista dell’ultimo tenebroso Candyman di Nia DaCosta, non faceva altro che urlaci dritto in faccia che, si, il Male, quello vero, è tornato più forte che mai.

Stavolta, però, stando a ciò che Il morso del coniglio sembra realmente celare al di sotto della sua patina di horror on demand, il male sembra non avere affatto la M maiuscola, così come per altro nemmeno quello che scorreva in misura egualmente annacquata nelle giovani vene di quei due bigotti diavoletti di Tin & Tina. A dimostrazione di come i tempi del celeberrimo Giglio nero e della demoniaca stirpe del Damien di Omen siano ormai, letteralmente, morti e sepolti. Ed è così che la nostra Sarah – (anti)eroina simpatica quanto una martellata sui calcagni ma pronta tuttavia a contendersi una sonora seggiolata sul muso con la propria indisponente unigenita –, si troverà, così come la vedovella Nicole Kidman del freudiano Birth – Io sono Sean, dinnanzi a uno spinoso bivio: dare la colpa del perturbante patatrac al caro vecchio sviluppo ormonale oppure, volendo giocare la sempreverde carta del paranormale, credere che il preadolescente corpicino dinnanzi alle sue occhiaie custodisca lo spirito vendicativo e reincarnato di un proprio trapassato affetto. E se è vero che il buon Morfeus, sbandierando ai quattro venti la sua celeberrima pillolina rossa, prometteva di svelarci quant’è profonda la tana del bianconiglio, il background seriale della buona e cara Daiana Reid non può che lasciarci soli, tristi e per lo più annoiati ad ammirare da lontano i confini di questo promettente ma di fatto insipido rabbit hole, gonfiato a dismisura dal dolce vento delle aspettative ma destinato ad evaporare in un’inconsistente bolla di sapone.