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Il Diavolo è Dragan Cygan

2024
Titolo Originale:
Il Diavolo è Dragan Cygan
REGIA:
Emiliano Locatelli
CAST:
Enzo Salvi
Ivan Boragine
Sebastiano Somma

Il nostro giudizio

Il Diavolo è Dragan Cygan è un film del 2024, diretto da Emiliano Locatelli

Perché il Diavolo sia Dragan Cygan, in questo noir diretto, oltre che scritto, da Emiliano Locatelli, può essere materia di varie speculazioni, ma può anche essere, più verosimilmente, una definizione “a partire dal contrario”. Perché Dragan, che ha le fattezze poderose, inedite e silenziose, di un grande Enzo Salvi, è un delinquente en retraite, che ha deciso di appendere il crimine a un chiodo e di portarsi a vivere in una località isolata, remota, coltivando la solitudine e il gioco degli scacchi, in cui eccelle. Ma come nella migliore tradizione dei neri, colui che cerca il ritiro dal mondo, nel mondo si ritroverà proiettato, malgré lui, per assecondare la richiesta di aiuto di un ragazzo, Daniele (Gennaro Lilio, ex GF, bravo), giovane sposo e padre, che dalla sera alla mattina ha perso il posto di lavoro ed è, ora, strangolato dalle necessità della vita, praticamente alla canna del gas. Questa è una parte dell’universo del film, che va a collidere con altre parti, segnatamente con le strade di un poliziotto corrotto fin nel midollo e violento, non solo fuori casa ma anche in famiglia, al quale il Caso fa balenare di fronte Dragan e il ragazzo mentre fuggono dopo aver compiuto lo “sgobbo”.

La prima inquadratura, dopo i titoli di testa sui quali è posta a esergo una frase di Marx, viene architettonicamente, pittoricamente costruita su un bel campo lungo, al margine destro del quale, il poliziotto, Fabrizio, cioè Ivan Boragine, alza il revolver e fa fuoco. Tutto in velocità rallentata. Tutto introdotto dal Padre Nostro, recitato in voice over da Boragine. Se il Diavolo è Cygan, allora Fabrizio dovrebbe tenere le parti di Dio, però nel film questa equazione è rovesciata, sovvertita, dalle cose. E se il Diavolo è uso fare le pentole e non i coperchi, Dragan ha forse addosso il peccato dell’involontario tentatore e l’errore di essersi illuso di aiutare il ragazzo tornando al crimine, anche se per un’ultima volta. Viceversa, lo sbirro che recita il Pater Noster e che crede – poiché tale è il suo lato in luce, cioè in ombra: è guidato da un profondo senso del divino e della religione, che non è né psicosi né semplice fede di vernice –, è un Dio assassino, letteralmente: che proprio nel momento in cui, per le vicende della storia, inchioda un “povero cristo”, entra in un gap di vera redenzione. Forse… Ad un livello meno metafisico e concettuale, il film di Locatelli fila come un treno in quel registro disperato e occiduo che è proprio dei migliori noir, cioè di quegli universi cinematografici dai quali non ci può essere via di fuga. Per quanto, sul complesso personaggio di Ivan Boragine, che sta in perenne metamorfosi, si operi alla fine una scelta, non di speranza, che sta fuori dal raggio del genere, ma di consapevolezza.

Altre figure scandiscono il racconto e segnatamente un imprenditore–squalo (Sebastiano Somma), le cui scelte di feroce profitto hanno ridotto Daniele in quello stato di bisogno da cui nasce la “tentazione”. Ma anche Somma, spietato, laido e puttaniere, viene relativizzato e complicato dalla presenza di una figlia, Lara Balbo (ottima), che si droga e si prostituisce. Fare un film sulle psicologie, che sono vipere a maneggiarsi e corrono sempre il rischio di mordere velenosamente, cioè di restare psicologismi, è un rischio, tanto più in Italia, oggi, e tanto più dentro un nero. Ma Locatelli, che esordisce al lungo dopo diversi corti (nel 2020 aveva girato un Solamente tu dove già aveva ben mosso sia Salvi sia Boragine, con già diverse premesse di Dragan Cygan), dimostra che è possibile andare al di là dell’ovvio dominante oggi e tira fuori dal cilindro questo film da cui si resta fortemente invischiati, ad un livello proprio di visceri, prima che di testa e di ragione. E non è che succeda tanto spesso.