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I Wanna Rock: The 80s Metal Dream

2023
REGIA:
Tyler Measom
CAST:
John Corabi (se stesso)
Janet Gardner (se stessa)
Vicky Hamilton (se stessa)

Il nostro giudizio

I Wanna Rock: The 80s Metal Dream è una docu-serie del 2023 diretta da Tyler Measom.

Quello dell’esplosione commerciale dell’heavy metal, durante gli anni Ottanta, è un argomento di critica ancora rilevante, in particolare se si parla di quella corrente più hard rock, impropriamente detta “hair metal” (in riferimento alle grandi capigliature dei suoi protagonisti), che andò generandosi attraverso i locali del Sunset Strip di Los Angeles e che diede vita a fenomeni musicali di cui si continua a discutere ampiamente. A godere di successi esorbitanti furono in tanti, in quella decade, ma ponendosi in antitesi rispetto a un ambito dove a dominare erano formazioni sul genere di Ratt, Poison e Mötley Crüe, furono i Guns N’ Roses a lasciare un segno di reale autenticità grazie all’epocale debutto Appetite For Destruction. Sarebbe stato troppo semplice, però, se questa breve serie proposta da Paramount+, e realizzata in collaborazione con MTV Entertainment Studios (e quindi con Gunpowder & Sky), avesse scelto di concentrarsi sulle gesta dei big della scena, rimestando quanto già messo ampiamente su schermo in passato da altri lavori sul tema. Invece i tre episodi qui ben diretti da Tyler Measom (già dietro alla serie I Want My MTV del 2019, che raccontava la storia della pionieristica rete televisiva musicale), guardano le cose da un’angolazione differente, rappresentando cioè chi il successo poté sì effettivamente sperimentarlo, ma per di più a tempo determinato o in forma minore. Per discutere di ciò, vengono sentiti personaggi emblematici come l’ex leader delle Vixen Janet Gardner, oggi super rocker sessantenne e igienista dentale; l’ex cantante degli Scream John Corabi, noto per aver sostituito Vince Neil nei Mötley Crüe (e per questo stupidamente sbeffeggiato nel biopic romanzato The Dirt); il cantante e polistrumentista Kip Winger, e quindi il chitarrista degli Skid Row Dave “The Snake” Sabo. “Cinque giovani sognatori che inseguono la celebrità nel mondo spietato del metal degli anni ’80”, recita così lo sbrigativo trafiletto che accompagna il trailer.

“Alcuni avranno successo, altri falliranno, ma ognuno vi mostrerà un lato completamente nuovo del genere metal”. Cinque perché, oltre ai quattro nomi citati, uno dei volti cui la telecamera si rivolge spesso è anche quello di Vicky Hamilton: non una musicista, nel suo caso, bensì una manager operosa che da giovane gestì per prima i Guns N’ Roses (e anche i Poison) e che accompagnò per mano fino ai giorni del contratto con la Geffen Records, prima di vedersi chiudere senza troppe cerimonie la porta in faccia. E a sorpresa attraverso Measom, Vicky ci conduce fino all’appartamento dove al tempo diede ospitalità ad Axl Rose e al resto del gruppo, quando i suoi membri, in sostanza, erano ancora tutti dei senza fissa dimora. Per affrontare (ma solo di traverso) il discorso sulla censura che interessò il mondo dell’heavy spunta – com’era supponibile – l’ex leader dei Twisted Sister Dee Snider, colui che forse più di altri contrastò le insidie del PRMC, il ridicolo comitato di Tipper Gore (moglie del noto Al) che fu istituito per valutare sotto il profilo morale/educativo il contenuto dei prodotti discografici, in particolare i riferimenti sessuali più o meno espliciti che essi veicolavano (il risultato fu l’obbligo di apporre per legge il famoso bollino con la scritta “Parental Advisory” su certi album). Non per nulla, il titolo di questa serie è esattamente lo stesso del secondo brano più noto dei Twisted Sister (l’altro è “We’re Not Gonna Take It”, che assieme con “I Wanna Rock” figura sull’album più venduto del gruppo, Stay Hungry).

Katherine Turman, co-autrice del libro Louder Than Hell, l’ex conduttore del defunto programma Headbangers Ball di MTV, Riki Ratchman, ma soprattutto Lonn Friend di “Rip Magazine”, vecchia rivista metal statunitense, danno manforte agli interventi di Gardner, Hamilton, Corabi, Winger e Sabo, i quali ricostruiscono con grande trasporto i rispettivi percorsi mettendo al centro, seguendo lo spunto narrativo del “then and now”, le loro storie di conquiste, fallimenti e rinascite a partire dalle rispettive origini. Interessante e ardimentosa è in questo senso l’idea registica di supportare l’oscillazione dei periodi temporali qui in esame attraverso lo scorrimento in rewind del nastro di un’audiocassetta, notoriamente il medium simbolo della fruizione musicale di quegli anni. Il primo dei tre episodi, I Wanna Be Somebody (come il titolo di un brano dei W.A.S.P.), osserva i ribollenti inizi della scena, tra spandex e dosi eccessive di lacca; il secondo, Headed For A Heartbreak (come il brano omonimo dei Winger), documenta i vari punti di svolta e le lotte per il successo, mentre l’ultimo, Smells Like Change (che gioca maliziosamente con il titolo del pezzo che fece esplodere il fenomeno Nirvana, “Smells Like Teen Spirit”), considera l’impatto negativo che presumibilmente causò da Seattle l’arrivo del grunge come corrente, e quindi la lotta per la sopravvivenza dei musicisti metal di casa a L.A. Difficile dire se fu veramente Kurt Cobain, e non la più semplice ciclicità delle cose, a terminare la fase mainstream di un qualcosa la cui eredità resta – a prescindere – ampia e duratura.