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Raw

2016
Titolo Originale:
Raw
REGIA:
Julia Ducournau
CAST:
Garance Marillier (Justine)
Ella Rumpf (Alexia)
Rabah Nait Oufella (Adrien)

Il nostro giudizio

Raw è un film del 2016, diretto da Julia Ducournau

Raw vuol dire “crudo”. Crudo era l’aggettivo con cui una volta si definivano, nel lessico borghese, equilibrato, né troppo né troppo poco, i film che noi del popolo siamo abituati a definire disturbanti. Raw è un film crudo. Che vuole evocare e difatti perfettamente evoca il colore, l’odore e il sapore della carne cruda. Non il carpaccio al limone, però. La carne nuda, cruda e al sangue dell’essere umano. Da un certo punto di vista, banalizzante ma chiaro, Raw è un film sul cannibalismo, cioè sul piacere che si prova a mangiare un altro uomo, piacere che si scopre pulsione incoercibile. Necessità. Come sono buoni i bianchi. Ma anche i meticci, perché la protagonista del film non è certo razzista o schizzinosa nello scegliere il pigmento delle polpe da mettere sotto le sue giovani mascelle. L’importante è divorare. La mangiatrice è Justine (Garance Marillier, molto brava, molto tagliente), ha sedici anni, proviene da una famiglia di vegetariani di quelli molto strict. E sulle orme della sorella maggiore Alexia (Ella Rumpf), si avvia a studiare in una scuola di veterinaria che sembra piuttosto un dolce mattatoio: il meno che tocchi alle matricole è di ricevere una doccia di sangue, con l’obbligo di restare poi inzaccherati di rosso, gli abiti, il corpo. Più che una semplice iniziazione, un vero e proprio battesimo per Justine, la quale ha l’aspetto attonito e incerto di chi ancora non ha ben capito quale sia la propria natura. La sorella, che invece la propria natura l’ha già scoperta e accettata, è lì per darle una mano.

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Il turning point arriva quando Justine è costretta, sempre per via del nonnismo della scuola, a mangiare delle schifezze crude di un coniglio. Il suo corpo dapprima si ribella, non legge le nuove informazioni alimentari, ha una reazione allergica violenta, con ponfi e orticaria. Dopodiché, tuttavia, si invera il detto che chi assaggia torna. E Justine torna a mettere sotto i denti roba cruda. Rubacchia nel frigo del suo coinquilino, prima. E poi, durante quella che molti considerano la miglior scena del film, mentre Alexia le sta facendo una ceretta all’inguine, ritrovandosi per le mani la falange di un dito accidentalmente mozzato della sorella, lo lambisce con la lingua, lo lecca, lo succhia, lo mordicchia e infine, decisamente, lo addenta e se lo magna. Dal battesimo siamo passati alla comunione. E Alexia che era svenuta, riavendosi, vede ciò che sta facendo Justine e capisce di che pasta è fatta. E noi capiamo di che pasta sono fatte entrambe. Raw meriterebbe forse che la si facesse meno semplice di come la stiamo mettendo. Meriterebbe, forse, che si parlasse di corpo e di sguardi, come dicono i fessi quando vogliono sembrare intelligenti. Ma il bello del film è questa crudezza estrema ma fredda, distaccata, quasi pasoliniana di ciò che Julia Ducournau mette in scena in quei suoi campi lunghi e lunghissimi dove devi sforzarti per vedere e dove la pulsione voyeuristica viene abilmente stuzzicata e frustrata.

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Se un problema esiste, ed esiste, in Raw, è che non sono riusciti a fermarsi a questo, che pure era un piatto sufficientemente ricco per ficcarcisi, ma hanno voluto andare oltre. Allargare il significato dell’iniziazione di Justine dal sangue al sesso, mettendola (con autofagia, d’accordo) sotto i poderosi lombi del suo inquilino bisex e magrebino Adrien (Rabah Nait Oufella) e quindi moltiplicando gli enti oltre la necessità, per dirla con Okkam. Inoltre, il film non sa decidersi se essere la storia di Justine o la storia di Justine e di Alexia. Forse voleva essere entrambe le cose e non riesce ad essere compiutamente né  l’una né l’altra. Certo, resta – e non è poco – il furore controllato di una regia elegantissima e geometrica ma alla francese, ovvero con un pathos dissimulato che ti acchiappa tendendoti delle belle trappole, anche e soprattutto nei momenti più truci, tra i quali si distingue come concettualmente molto disturbante – crudo – un morso a uno zigomo, che lascia letteralmente il segno. Due parole son da spendere anche su Laurent Lucas e Joana Preiss nella parte del padre e della madre, presenze a margine (ma non marginali) all’inizio e alla fine. Lei, peraltro, ci offre senza consapevolezza né premeditazione da parte della regia, un bellissimo momento di feticismo dei piedi.