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Gli arcangeli

2007
Titolo Originale:
Gli arcangeli
REGIA:
Simone Scafidi
CAST:
Andrea Riva (Christian)
Francesca Inaudi (Marlena)
Franco Branciaroli (Padre Siro)

Il nostro giudizio

Gli arcangeli è un film del 2007, diretto da Simone Scafidi.

Lo dico così, senza mezzi termini: Gli arcangeli, il primo lungometraggio di Simone Scafidi, è uno dei film più importanti e innovativi del panorama italiano dal 2000 a oggi. Può sembrare una provocazione, ma non lo è. Poiché la massima di Robert Bresson a cui il regista si ispira – “Il cinema sarà salvato quando i giovani prenderanno i loro soldi e faranno i loro film” – si è incarnata in Scafidi come forse in nessun altro regista italiano contemporaneo, essendo autore di un cinema scomodo e che ha il coraggio di osare. Alla base del suo cinema c’è infatti lo scardinamento del linguaggio cinematografico tradizionale e dei generi nel senso in cui li intendiamo, per approdare a qualcosa di nuovo: una rivoluzione copernicana pari a quella realizzata da Carmelo Bene nel teatro – e non è un caso probabilmente che il cinema di Scafidi sia per certi versi anti-narrativo come l’anti-teatro del geniale artista leccese. In questo dramma mistico, ribelle e furente, attraversato da una straordinaria forza visiva e narrativa, sono contenuti in nuce gli elementi che caratterizzeranno le sue future opere (in particolare Appunti per la distruzione ed Eva Braun, che formano con Gli arcangeli una sorta di ideale trilogia). Scritto dal regista insieme all’attore protagonista, è incentrato su Christian (Andrea Riva), che durante il battesimo all’età di dieci anni compie in chiesa uno strano gesto. Padre Siro (Franco Branciaroli) rassicura i genitori preoccupati, dicendo che tale comportamento è dovuto alla sua particolare sensibilità, ma in privato spiega la verità al bambino: egli ha avuto una visione, ha visto gli Arcangeli che pulivano il volto di Cristo dalle ferite della sofferenza umana, e ciò significa che dovrà affrontare una vita tormentata. Una volta cresciuto, Christian vive infatti un’esistenza vuota, all’insegna del dolore, della violenza, dell’annullamento. Neanche il rapporto con Marlena (Francesca Inaudi), una ragazza segnata a sua volta da una vita difficile, riesce a placare il suo nichilismo.

Vedere Gli arcangeli significa immergersi in un’esperienza cinematografica al di fuori di ogni logica spettacolare e commerciale, un unicum che vuole battere nuove strade e dire qualcosa di nuovo. Esteticamente affascinante e quasi teatrale (piani-sequenza, lunghe inquadrature fisse, primi piani, contrasti fra luce e ombra), Gli arcangeli segue sì una linea narrativa, ma al contempo si distanzia dal racconto classico procedendo attraverso dei quadri visivi: sequenze visionarie, allucinate, surreali, mirabilmente fuse con altre estremamente concrete di sessualità e violenza, in una continua mescolanza tra allucinazione e realtà. Ai momenti di narrazione lineare si alternano – e volutamente prevalgono – potentissimi squarci visionari in cui misticismo e realtà si confondono, sottolineati dalle altisonanti musiche a contrasto (Bach, Beethoven, Mascagni, il Requiem di Mozart). Ricordiamo la crocifissione di Christian, accompagnato in una landa desolata dalle consuete figure della sua vita, e con le mele nella corona di spine di ispirazione bunueliana; i profondi dialoghi con Padre Siro, quasi un Virgilio che accompagna questo novello Dante nella sua crudele esperienza (ultra)terrena; i monologhi di Christian, che “urla sussurrando” la sua rabbia e follia; le scene di violenza e sottomissione sessuale, di ispirazione pasoliniana, molto crude ma mai gratuite; il finale, con il progressivo e misterico sprofondare nella luce sulle auliche e potenti note della Passione secondo San Matteo di Bach. Possiamo definire Gli arcangeli come un film antropologico, perché ciò che interessa all’autore è mettere in scena l’uomo, con tutti i suoi interrogativi: il disagio e lo smarrimento dell’essere umano (in modo particolare dei giovani), la vita e la morte, il Bene e il Male, il dolore, la religione, l’incomunicabilità, il declino del mondo contemporaneo. Alla base del film c’è un ricco sostrato letterario e cinematografico, con Bret Easton-Ellis che incontra I demoni di Dostoevskij e il cinema di Pasolini, il tutto filtrato dalle radici cristiane e dalla rappresentazione della piccola borghesia italiana: con la sua opera, Scafidi mette in scena un “sacro sporcato” unito a una ribellione giovanile vicina per certi versi a quella inaugurata da I pugni in tasca di Bellocchio. Nichilista, dissacrante e provocatorio, Gli arcangeli è la quintessenza del cinema di Scafidi, poiché non dà risposte, ma pone domande, interagendo con lo spettatore: racconta un mistero esistenziale e metafisico, carnale e spirituale, è un viaggio iniziatico al contrario nella vita del protagonista, che si abbandona alla violenza e alla sottomissione del prossimo e compie una specie di “sfida” blasfema a Dio; la sua è una vita segnata da dolore, solitudine, desiderio di annullamento e rifiuto della morale borghese.

Il tutto è rappresentato attraverso immagini surreali e dialoghi profondi e deliranti, ai quali bisogna abbandonarsi senza seguire alcuna logica razionale. Lungo tutto il film, Christian è seguito da Padre Siro, colui che per primo ha scoperto il suo segreto, entità fantasmatica che fa quasi da (arc)angelo custode, e da una serie di figure tra cui spicca Marlena: una ragazza che potrebbe essere la risposta al suo bisogno d’amore, ma rimane una pura soddisfazione sessuale. La regia è geniale, sorretta da un buon comparto estetico e da un ottimo cast, grazie ad attori che si destreggiano con maestria fra il cinema e il teatro. Gigantesco innanzitutto l’attore e performer Andrea Riva, creatore di personaggi e universi, interprete di un uomo che sembra uscito da un libro di Nietzsche (filosofo citato infatti nel corso del film): schizofrenico, smarrito, drogato, violento e solo, dominato da un furore superomistico. Protagonista anche dei successivi Appunti per la distruzione ed Eva Braun, impressiona per il suo sguardo allucinato e la voce penetrante, oltre che per l’utilizzo del corpo – fondamentale nel film, soprattutto nelle scene quasi da video-arte e body-art (la crocifissione, il monologo nella stanza buia illuminato da un fascio luminoso, lo sprofondamento finale nella luce). Lo affiancano un’ottima e intensa Francesca Inaudi, che all’epoca veniva dal successo di Dopo mezzanotte e che in seguito vedremo spesso nel cinema italiano, e altri bravi attori provenienti da scuole teatrali (Zamira Pasceri, Fabrizio Raggi, Nicole Vignola). Una menzione speciale va al grande Franco Branciaroli: volto austero e voce baritonale, nel ruolo importante di Padre Siro conferisce un’aura di lustro al film, avendo lavorato con grandi registi sia in teatro (Carmelo Bene e Luca Ronconi) sia nel cinema (Antonioni, Bolognini, Jancsó e Brass).